Il Leone con le ali sott’acqua

Di Daniele Monteleone – La “città sull’acqua” per eccellenza, la meta italiana fra le più famose nel mondo, è in questi giorni letteralmente sommersa. Venezia, da martedì, sta affrontando una straordinaria acqua alta che ha raggiunto un livello massimo di 187 centimetri, dopo decenni di frequenza sempre maggiore di questo affascinante quanto dannoso fenomeno. Nel 1966 si registrò la marea record di 194 centimetri, ma la storia – misurazioni o no – racconta un fenomeno con cui i veneziani convivono come fosse un “grande concittadino”. Un mantello che presto o tardi coprirà per sempre la Serenissima.

L’acqua granda, come la chiamano localmente, è il fenomeno che vede il livello del mare salire di (almeno) 80 centimetri. Questo tema ricorrente nella storia di Venezia ha abituato generazioni di cittadini e di amministrazioni alla gestione speciale degli spazi cittadini, ma da quando la marea è misurata (dal 1872) è certo che il fenomeno stia crescendo in maniera preoccupante. Leggendo il sito del CPSM è possibile consultare le statistiche relative all’acqua alta a Venezia, una marea di dati che arrivano fino all’origine delle misurazioni, ricostruite attraverso diverse fonti. È generalmente considerato preoccupante il raggiungimento del livello di 110 centimetri della marea e queste occasioni in passato erano oggettivamente più rare. Basti pensare che tra il 1870 e il 1949 ci sono state 30 situazioni di alta marea superiore ai 110 centimetri, mentre solo negli ultimi 9 anni se ne contano 76. In questi stessi giorni le previsioni veneziane parlano di una marea fino a 160 centimetri. E dovrebbe essere un “sollievo” rispetto ai giorni scorsi.

Piazza San Marco durante l’alluvione di Venezia (4 novembre 1966) – Wikimedia Commons

Certo, non è un caso questo aumento delle maree nel giro degli ultimi cinquant’anni. Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, lo scioglimento dei ghiacciai antartici, prodotto dal riscaldamento globale, è da ritenere una causa rilevante dell’innalzamento del livello generale del mare e quindi di maree sempre più devastanti. Il fenomeno dell’innalzamento dei mari, confermato anche dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), ci racconta la catastrofe presente e, soprattutto, futura di Venezia: l’innalzamento dei mari fino a 1,1 metri previsto entro la fine del secolo vuol dire la fine del Capoluogo veneto per sempre. E come se non bastasse la crescita del livello marino, gli va incontro l’uomo con l’abbassamento del livello del suolo. Proprio così, Venezia, la città che rischia di annegare, contemporaneamente, sprofonda: oltre all’eustatismo (il fenomeno d’innalzamento del mare) va aggiunto il fenomeno della subsidenza, dovuto principalmente allo svuotamento della falda acquifera da parte dell’uomo. Una condotta che ha portato all’abbassamento di Venezia di una decina di centimetri negli ultimi cinquant’anni.

La Repubblica di San Marco arriva così alla costruzione del MOSE, iniziata circa quindici anni fa, ancora incompiuta dopo diverse inchieste giudiziarie che hanno fatto “affondare” nomi eccellenti della classe dirigente veneta e con una conclusione stimata per il 2021. Si tratta di una diga subacquea – curioso, vero? – che si innalza automaticamente al raggiungimento di una marea uguale o superiore al livello di allarme pari a 110 centimetri. Una soluzione che doveva coniugare l’assenza di alterazione del panorama con la protezione dei cittadini veneziani da maree sempre più pericolose. Drammaticamente, il panorama che si staglia davanti gli occhi di migliaia di turisti, questa settimana, è quello di una città in ginocchio. Una città che chiede aiuto e autonomia allo stesso tempo, che affronta da sempre l’acqua come fonte di unicità fra i suoi numerosi canali – cresciuti a dismisura negli ultimi decenni – e come vero e proprio trauma.

Dal Medioevo arriva un certo malessere esistenziale che nel 589 recita: «non in terra neque in aqua sumus viven-tes» (non viviamo né sull’acqua né sulla terra), una massima contenuta in uno dei documenti più antichi che citano la marea veneziana, tratto da “Historia Langobardorum” di Paolo Diacono. Nei secoli successivi sembrerà di leggere le agenzie di questi giorni che denunciano una città sott’acqua, commercianti disperati e cittadini costretti a trasferirsi da parenti o amici che abitano a piani più alti. Nel 782 si scriveva che «C’era tanta abbondanza d’acqua che quasi tutte le isole furono sommerse» o, ancora, molti anni dopo, nel corso del nono secolo, si descriveva un panorama agghiacciante: «Il mare attorno a Venezia aumentò talmente, che tutte le isole furono sommerse oltre misura […] L’acqua inondò tutta la città, penetrò nelle chiese e nelle case». Da una fonte del 10 agosto 1410 il bollettino del disastro è grave e ricorda per certi tratti la scena che si presenta ai soccorritori intervenuti dopo un terremoto che annega le vittime sotto le macerie: «Perirono molte barche, e di quelli che venivano dalla fiera di Mestre e altri luoghi s’annegarono quasi mille persone. Caddero molti camini, il campanile di S. Fosca con rovina di molte case e quello del Corpus Domini con gran parte della chiesa».

Veduta di Piazza San Marco allagata, Vincenzo Chilone – 1825

Tutti gli eventi precedenti alla registrazione precisa dopo l’operato del Genio Civile veneziano, seppur meno disastrosi di quelli più recenti, sono da considerarsi inondazioni di altezza paragonabile all’attuale quota di 140-150 cm, ben al di sopra del livello di guardia dei 110 centimetri. Essendosi trattato di eventi oggetto di attenzione da parte di storici e cronisti dell’epoca deve essersi trattato sicuramente di eventi eccezionali. Basandoci sugli eventi tracciati dalle fonti storiche, possiamo ipotizzare che la frequenza degli eventi eccezionali si dimostra abbastanza regolare nei secoli precedenti la misurazione col mareografo. Come già detto, è la portata della marea ad essere drammaticamente maggiore.

Mentre le storiche inondazioni della laguna veneta risultano, in alcuni casi, la conseguenza di una combinazione fra l’acqua dei fiumi e l’acqua di mare – i primi arrivavano in laguna senza poi trovare sbocco in mare, e la seconda costituita dalla minaccia della marea – le inondazioni odierne, dopo l’estromissione dei fiumi in laguna, dipendono unicamente dal fattore mare. Un mare conosciuto anche troppo bene dal Leone di San Marco che, con l’ausilio della storia, delle cronache dal passato, della scienza e dello studio del cambiamento climatico, delle moderne tecnologie, è riuscito a produrre una diga di tangenti subacquea che ha dell’incredibile per una città importante come Venezia e per una Regione come il Veneto. Dobbiamo davvero dire addio alla piazza San Marco come la conosciamo, alla superba Basilica, al Palazzo Ducale e al Canal Grande (in quanto tale, soprattutto, un ricco canale di Venezia!), la Scuola di San Rocco, la Basilica di Santa Maria della Salute? Le ricchezze inestimabili e i tesori della Serenissima non potevano essere protetti che da materiali resistenti – tra i quali non figurano le mazzette – e una Regione che della pretesa autonomista ha fatto la propria bandiera negli ultimi decenni resta in un mare di lacrime prima che arrivi mamma Italia. Al leone servirebbe volare sopra i due metri di questo passo.