Attenti all’arte

Di Alessia Bonura – XXI secolo: quali erano le prospettive riguardo questo centenario? Lo stesso numero progressivo 2000 è stato sin dal suo esordio caricato di ben alte aspettative: progressivo, dunque, come il progresso che poteva da esso derivare, in maniera direttamente proporzionale. Probabilmente, sin da quando eravamo piccoli, le nostre menti sono state “plasmate” da film e cartoni animati che mostravano un ipotetico futuro dove le automobili erano sostituite da luccicanti navicelle e dove il cibo non era altro che qualche pasticca dal potere ultra saziante.

Il progresso tecnologico – perché è questo ciò di cui si parla – vi è stato, sì, ma non siamo andati così avanti come la TV e i suoi contenuti avevano ideato illudendoci, in questo modo, di un “folle”, quasi onirico, cambiamento dello stile di vita o della vita stessa. Questo sviluppo, a oggi, è notevole ed è chiaro, e altresì considerevole, il cambiamento che abbia portato nelle nostre vite. Ma tutto – legge di natura vuole – presenta aspetti positivi e altri negativi, come lo Yin e lo Yang, indissolubili.

Ovviamente è ravvisabile un significativo miglioramento dello stile di vita: la comunicazione è veloce, ottimale; l’informazione viaggia alla velocità della luce da una piattaforma all’altra, tra un social e un altro avendo la possibilità di esser messi al corrente di un determinato episodio, notizia che sia, proprio un secondo dopo il suo accaduto (a volte anche sul momento grazie alle famose “dirette”, una funzione di moda in questo momento dei social Facebook e Instagram che permette all’utente di trasmettere live momenti della propria vita per poterli condividere con la sua cerchia di followers) . Insomma tutto è a portata di click.

Quel click, però, ha iniziato a rappresentare un mondo culturalmente denutrito, un mondo che trova le sue risposte grazie a quell’ormai automatico gesto del dito sul mouse. Un mondo che non trova più la sua ragion d’essere nel passato, ma in un presente sempre più comodo e in un futuro prossimo che non lascia così tanto spazio all’immaginazione.

Dietro i monitor dei pc e degli smartphone, quindi, molti hanno subito una trasformazione, da uomini a “leoni da tastiera”, ma anche in “webeti” – utilizzando l’ormai famoso neologismo di Enrico Mentana – che iniziano a proliferare indisturbati.

Ciò che viene stigmatizzato non è altro che una involuzione culturale, una vera e propria regressione che si nutre di una cultura ormai indebolita dalla “troppa informazione” che non permette più selezione e riflessione, una cultura ormai quasi spoglia di critica e passione, una “nuova cultura” che ha dato vita a, come mi piace chiamarli, Ignoranti 2.0.

Succede, spesso, che gli Ignoranti 2.0, uscendo dal loro mondo virtuale, si imbattano nella vita di tutti i giorni trovandola “strana”. Succede che, all’improvviso, si trovano in territori mai battuti, come quelli dell’arte. Succede che, all’improvviso, diventino critici pur non sapendo un’acca in materia e succede che da “leoni da tastiera”, “webeti” si trasformano in paladini delle cause perse, un po’ come il povero Don Chisciotte.

A oggi sembra essere un fenomeno tristemente diffuso – se non quando la normalità – indignarsi davanti a tele che hanno fatto la storia dell’arte: scandalizzarsi per un nudo firmato Egon Schiele, Ingres o Modigliani, accusare di pedofilia un’opera di Balthus, coprire – grazie a programmi come Photoshop o Illustrator – la Verità Svelata del Tiepolo perché troppo osé. Episodi trasudanti ipocrisia o bigottismo – contestualizzando, tra l’altro, l’era in cui viviamo dove scempi e amoralità scivolano addosso, come fosse normalità – che trovano le loro radici in una disconoscenza del proprio passato storico-artistico. Puntare il dito sulla storia dell’arte è un gesto ignorante tanto quanto lottare con tutte le proprie forze per la rimozione o cancellazione di parte di essa – se non tutta, addirittura! –, alla stregua di novelli Savonarola secondo una loro moderna persecuzione iconoclastica.

L’iconoclastia, dunque, esiste ancora ma è ben lontana da quella di bizantina memoria, dal carattere religioso. Sicuramente longevo, il fenomeno a oggi sembra quasi basarsi sul politically correct cambiando quindi la sua chiave di lettura ma con al centro il solito soggetto: l’immagine. Quasi sempre bella a vedersi, colorata e armoniosa, l’immagine è il mezzo che sicuramente “parla” di più: è propaganda, può divenire angoscia, apre gli occhi, mette in pericolo e mette in ridicolo, ma è pur sempre arte e come tale dovrebbe essere intoccabile. Ma non tutti sono di questo parere.

Recente il caso dei murales per il centro di Roma, opera dell’artista palermitano Salvatore Benintende “Tvboy”. Uno ritrae il leader della Lega, Matteo Salvini, e il penta stellato Di Maio in un caloroso bacio di socialista memoria tra Leonid Breznev ed Eric Honecker a Berlino; un altro raffigurante Giorgia Meloni con in braccio una bambina africana. I murales sono stati entrambi rapidamente cancellati come se l’unico problema della città o la sua stessa sorte dipendesse da questo, che altro non è che pungente satira.

Tuttavia, nonostante la prima e immediata cancellazione, la critica mordace su tela – o su muro in questo caso – sembra non voler risparmiare nemmeno per un istante i nostrani politici in corsa alla poltrona, mira prediletta degli estrosi street artist che si prodigano in geniali rivisitazioni pittoresche.

Di Maio, Berlusconi e Salvini sono i protagonisti, incontrastati,  di un altro murales realizzato pochi giorni fa a Roma,  a due passi dal Palazzo del Quirinale. In realtà altro non è che una reinterpretazione originale e odierna della tela caravaggesca I bari, con tanto di cornice in polistirolo dorata in cui i tre politici, indossando abiti d’epoca, sono intenti a giocare a carte. Come ogni tela che si rispetti è, anche questa, accompagnata da una didascalia su carta bianca, incollata al muro di fianco a destra, riportante la data, la firma dello street artist “Sirante”, la tecnica utilizzata ovvero stampa grafica su carta e un piccolo abstract: «Sirante prende spunto da una celebre opera del suo maestro. Il quadro rappresenta una truffa. Un anziano ‘ingenuo’ sta giocando a carte con un suo oppositore il quale in complotto con un suo avversario trucca il gioco della politica. Questa scena, così teatrale, descrittiva e realistica contiene un monito morale, una condanna del malcostume, in particolare delle strategie dei politici». Ovvia allusione al grande e infinito gioco della politica.

Inutile dire che dopo il rapporto in procura effettuato dai carabinieri riguardo l’opera apparsa sul muro romano, l’Ufficio decoro del Comune si è premurato in men che non si dica a rimuoverla. Ma ciò che più fa piacere constatare è la solidarietà tra i due artisti di strada, fautori di questi pseudo musei all’aperto ma censurati forse perché troppo coraggiosi: Tvboy infatti, si è congratulato pubblicamente sui social con il “collega” Sirante «La buona arte genera sempre altra arte. Bravo Sirante, ottimo lavoro. La street art non può essere fermata, rimuovi un’opera e ne appare un’altra».

La satira sembra democraticamente accettata. Sembra, sì, perché in realtà è caratterizzata da un rigido controllo: che ben venga, dunque, la satira bonaria basata sull’imitazione estetica, verbale, modale del politico in questione, purché non si sconfini al di là dei limiti imposti. Ma esiste quella satira irriverente, pungente, graffiante e fastidiosa di cui (alcuni) vorrebbero far a meno ma che per fortuna esiste. Che non conosce confini, ma conosce la censura. E quando viene applicata la censura significa che la satira ha toccato quelle corde che non devono essere lontanamente pizzicate, secondo un ragionamento tutto democratico – ironia, ovviamente!

E quale mezzo migliore, dunque, per far vivere questa satira unpolitically correct se non attraverso l’arte?  L’arte non è per tutti, così come la satira: ci vuole intelligenza per farla ma soprattutto per accettarla, figuriamoci quando si parla di satira artistica! Al rogo!

La maschera dell’iconoclastia moderna è quella di una presunta sensibilità che millanta di non ledere a sua volta la sensibilità altrui. Ma in realtà ha le vesti della paura. L’arte è logorroica, non ha timore ma intimorisce. È sete di sapere e voglia di far sapere. Tutto. Dunque nel dubbio, è meglio farla tacere.


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