Roma al voto: una scelta per il rilancio

Adesso la parola passa agli elettori. Dopo mesi di campagna elettorale, fatta di confronti, talvolta rifiutati, di liste bloccate e riammesse, di candidati prima supportati e poi abbandonati, di accuse reciproche, di indiscrezioni sul passato dei vari concorrenti, e di immancabili gaffe, è giunto il momento della scelta del prossimo inquilino del Campidoglio. Un voto che si presenta difficile per i cittadini di Roma, delusi da anni di amministrazioni, rivelatisi fallimentari e permeabili ad infiltrazioni e malaffari. Un voto quanto mai, forse, importante per il futuro della città eterna, della capitale che al netto del suo fascino e della bellezza, non mostra oggigiorno l’immagine migliore di sé. Un voto, e su questo non ci sono dubbi, dal quale non uscirà immediatamente un vincitore, visto che si dovrà attendere comunque il ballottaggio del 19 giugno, ma che potrebbe già delineare un quadro degli equilibri fra le forze politiche.

13 i candidati a sindaco. 5 quelli su cui gira l’intera partita elettorale. Partendo dalla favorita di turno, secondo sondaggi ed addetti ai lavori, Virginia Raggi del Movimento 5 Stelle. L’ex consigliera d’opposizione sotto l’amministrazione Marino sembra avere i favori del pronostico, tanto al primo turno quanto all’eventuale ballottaggio, approfittando sicuramente dell’aria negativa che avvolge destra e sinistra, coinvolti più o meno indistintamente nello scandalo di Mafia Capitale. Anche se proprio la Raggi, a dir il vero, più di ogni altro candidato, è stata al centro di rivelazioni scomode durante la campagna elettorale. A far discutere le omissioni nel curriculum da una parte del praticantato presso lo studio Previti, vicino politicamente all’area berlusconiana, e dall’altra di aver avuto un incarico tra il 2008 e il 2009, in una società, la Hgr, la cui amministratrice e proprietaria sarebbe una beneficiante del sistema di parentopoli instaurato da un «fedelissimo» di Gianni Alemanno, poi, tra l’altro, finito in carcere per Mafia Capitale. Senza dimenticare, alcune dichiarazioni pubbliche, che l’hanno esposta inevitabilmente a critiche ed attacchi. Tra queste, la firma del contratto della Casaleggio Associati, che le impone di interfacciarsi ad uno staff imposto o meno dalla stessa fondazione. Così come la frase in cui si dichiarava “pronta a dimettersi su richiesta di Grillo”. Ma, al netto di queste polemiche, la Raggi rimane la più quotata a diventare sindaco di Roma. Merito sicuramente suo e del Movimento. E demerito anche degli altri candidati, o meglio dire delle altre forze politiche, che in qualche modo stanno facilitando la corsa della giovane avvocatessa.

Roberto Giachetti, candidato per il Pd, si è trovato a dover costruire una campagna elettorale dalle macerie dell’amministrazione Marino, dimessosi su richiesta del partito stesso, dopo un mandato, fatto sì di denunce alla Procura poi rivelatisi vere dati gli scandali giudiziari, ma anche di episodi imbarazzanti, caso della Panda e del viaggio in Usa in particolar modo. Scelto da Renzi, il vicepresidente della Camera dei Deputati ha accettato una sfida, fin dall’inizio, presentatasi in salita. Condurre un partito, tutt’ora commissariato, che agli occhi dei romani appare come uno dei responsabili della situazione odierna della città, e quindi anche degli scandali che l’hanno travolta, Mafia Capitale su tutti, avendone guidato il timone per più 15 anni dal 1993. Giachetti ha condotto una campagna elettorale semplice, senza grossi sussulti, cercando quanto possibile di sfruttare la propria immagine, allontanando da sé quella passata del partito. I sondaggi lo danno in lotta per andare al ballottaggio con Meloni e Marchini. Ma, nonostante abbia recuperato posizioni, il distacco dalla Raggi appare irrecuperabile, anche e soprattutto in un eventuale ballottaggio con la candidata del M5S, su cui sembra possa ripiegare l’elettorato delle altre parti sconfitte.

A sinistra, abbiamo la candidatura di Stefano Fassina, ex viceministro all’Economia, con la nuova realtà politica da lui fondata, Sinistra Italiana, protagonista, suo malgrado, del caso delle liste, prima giudicate inammissibili e poi riammesse al Consiglio di Stato. Le speranze di incidere sul panorama politico, però, non sono tante, a detta dei sondaggi, ma quanto basta per spaccare il fronte del centrosinistra.

Il centrodestra non sembra attraversare, d’altro canto, tempi migliori. E soprattutto non ha mai dato un’immagine chiara di sé durante tutta la campagna elettorale. Prima le primarie lanciate da Salvini e dalla Lega, per chiedere agli italiani chi fosse il candidato ideale tra i vari Bertolaso, Marchini, Storace e Pivetti. Poi si sono avute le “gazebarie” di Forza Italia, tentativo utile a rafforzare la candidatura dell’ex capo della Protezione civile, nel momento in cui veniva ufficializzata l’entrata in campo di Giorgia Meloni, con il benestare di Salvini e della Lega. Tentativo andato a vuoto, dato che qualche settimana dopo, con un altro colpo di scena, Berlusconi, spaventato dai sondaggi negativi di Bertolaso, decideva di ripiegare su altro candidato, Alfio Marchini. Una spaccatura che limita le possibilità di successo per il centrodestra, almeno che in presenza al ballottaggio di uno dei due candidati non avvenga una ricongiunzione, al momento complicata.

Questo il quadro alla vigilia delle elezioni. Tra favoriti e possibili sorprese, sarà interessante capire il dato dell’assenteismo, che si prospetta alto anche questa volta. E come sempre, sarà sui restanti indecisi, che i singoli candidati dovranno puntare per vincere. Per convincerli soprattutto che per Roma possa aprirsi una nuova era politica per restare la città eterna.

Mario Montalbano