Referendum, quelli del Sì

Di Mario Montalbano – Ci siamo. Ha inizio la settimana che porterà al 4 dicembre, giorno del referendum sulla riforma costituzionale. L’ultima di una lunga campagna elettorale, dai toni forti, velenosi e talvolta ben sopra le righe.

Gli ultimi sondaggi dei vari istituti, usciti qualche giorno fa prima del blackout imposto dalla par condicio, vedevano il fronte del No in vantaggio sul Sì. Ma come insegnano le recenti elezioni presidenziali americane, meglio non fidarsi delle previsioni della vigilia. Ancora di più nel caso dell’Italia, dove il numero degli indecisi sembra essere alto, troppo per non incidere sull’esito finale. Lo sanno bene tutte le parti politiche divise tra i due fronti e ancora di più il premier Matteo Renzi che sul referendum del 4 dicembre ha legato il destino del suo governo, e perché no, parte della sua carriera politica.

Frutto di quella strategia della personalizzazione, prima voluta dallo stesso Renzi per superare gli ostacoli incontrati nel percorso della riforma, e poi puntualmente smentita nel momento in cui sono emerse le avvisaglie con le amministrative di giugno di un certo malcontento attorno al governo. Renzi Sì o Renzi No. Questo il leitmotiv ridondante della campagna referendaria, a cui le opposizioni non si sono certo sottratte e che adesso assurgono a primo valido motivo per votare No.

Il premier ha provato ad allontanare il giudizio sulla propria figura dall’esito referendario. Ma è troppo tardi ormai. E il rischio è quello di cadere sul merito, o meglio di non vedere abbastanza attenzione sui contenuti della riforma. Per questo, il presidente del Consiglio ha intensificato la propria presenza alla ricerca degli ultimi voti, per parlare dei punti su cui la legge Boschi interviene. Magari incrociando anche quanto fatto nel corso di questi anni di esecutivo. Nel territorio, soprattutto al Sud, andando persino in regioni dove la causa sembra essere da tempo persa. Campania, Calabria, ma soprattutto Sicilia, per ben due volte. E anche in tv e in radio, ricevendo un’ammonizione da parte dell’Agcom. Inevitabile che le ragioni del Sì vertano tutte o quasi attorno alla figura e alle parole del premier.

Se vince il Sì, «l’Italia sarà più stabile e in grado di dettare condizioni all’Europa», ha dichiarato Matteo Renzi venerdì in un videointervista a La Stampa. Un tema quello dell’Europa su cui il premier insiste, consapevole che l’esito del 4 dicembre potrà avere delle ripercussioni anche sulla falcidiata Unione Europea. Migranti, terrorismo ma soprattutto economia.

E il pensiero non può non andare alla legge di bilancio, presentata a metà ottobre, e adesso al vaglio della Camera dei Deputati. L’intreccio tra manovra e referendum acuisce lo stato di tensione a livello politico. La preoccupazione di Sergio Mattarella nelle scorse settimane era rivolta a mettere in cassaforte i conti pubblici quantomeno a Montecitorio, limitando al massimo gli effetti di un eventuale No. L’obiettivo è lì a portata di mano, ma molto dipenderà dal modo in cui Renzi uscirà dalle urne. E con esso, a parlare sarebbero i numeri anche nel caso di una vittoria del No.

Naturale pensare a delle dimissioni del premier di fronte ad una forbice netta. Diverso potrebbe essere il discorso, davanti ad una sconfitta all’ultimo voto. Qui Renzi uscirebbe ridimensionato ma non troppo, considerando l’immagine del “solo contro tutti”. E da parte di Mattarella sarebbe difficile trovare un altro con cui condurre a termine la legislatura, anche in relazione alla necessità di portare a compimento la legge di bilancio e le eventuali modifiche all’Italicum in vista delle successive elezioni.

Ma al di là di ogni previsione, il premier Matteo Renzi sembra aver già le idee chiare. «No ad un governo di scopo o a un governicchio», aveva detto a Rtl 102,5 qualche giorno fa, e della stessa idea è tutt’oggi. «Se dobbiamo tornare alle liturgie del passato, le riunioni di maggioranza con i tecnici, per la logica della palude, delle sabbie mobili tanti sono più bravi di me. Io resto solo se possiamo cambiare», evidenzia durante l’intervista a “La Stampa”. Renzi sì o Renzi no, insomma. Un leitmotiv nato con la riforma e che adesso più che mai, piaccia o non piaccia al premier e agli oppositori, diventa un tema centrale per il futuro del paese.