Le grandi incompiute italiane: il segno dell’arretratezza

Di Giuseppe Sollami – Siamo l’ultimo dei paesi occidentali e il primo dei paesi del Terzo Mondo, non possiamo negarlo. Le infrastrutture italiane sono le peggiori d’Europa e noi italiani facciamo di tutto per non evitare tale involuzione.

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Il recente no al nucleare – che ritroviamo a pochi chilometri dal confine, in Francia – le proteste per la TAV (la linea dei treni veloce che dovrebbe collegare Torino a Lione, nell’ottica del completamento del corridoio Siviglia – Budapest – Russia), il blocco della TAP (il Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che collega il Mar Caspio con la penisola via Puglia) e l’infinita diatriba del ponte sullo Stretto di Messina, mettono in luce un provincialismo e un’arretratezza senza paragoni nella programmazione e realizzazione del sistema infrastrutturale italiano.

La realizzazione della TAV dovrebbe velocizzare il trasporto di persone e merci tra Torino e Lione, nell’ambito del progetto ferroviario europeo denominato “Asse 6”. Ideato nel 1992 nell’ambito dei trattati di Maastricht, ha trovato l’ostilità delle popolazioni della Val di Susa.

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La realizzazione del TAP (acronimo inglese di Trans Atlantic Pipeline) è collegata allo sviluppo della rete di gasdotti che dall’Azerbaigian aggirerà le linee terresti europee che fino ad ora hanno fornito la Penisola di gas. L’opera nel corso degli anni ha incontrato notevoli opposizioni, soprattutto da parte degli ambientalisti, che lamentano il fatto che l’approdo del gasdotto e la centrale di depressurizzazione sorgeranno vicino a Brindisi, a Melendugno, una località a forte vocazione turistica.

L’ultima grande incompiuta del nostro paese (la più famosa), è il Ponte sullo Stetto di Messina, un’opera imponente che dovrebbe collegare le due sponde dello stretto, Villa San Giovanni e Messina, fino ad oggi collegate con il servizio traghetti. L’opera è di leggendaria ideazione: già i Romani pensavano ad un collegamento tra le due sponde per collegare l’area metropolitana dell’Impero alla provincia romana di Sicilia. Negli anni duemila l’idea della realizzazione del ponte si fece sempre più forte. Tuttavia le numerose proteste per ragioni ambientali ed economiche fecero naufragare l’idea e il progetto.

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Lo Stato, per chiudere l’affare “ponte”, stanziò nel 2013 circa 300 milioni di euro per pagare le penali contrattuali convenute con le società appaltatrici. Il Ponte collegherebbe la Sicilia al resto d’Italia, facendo cosi proseguire la tratta ferroviaria veloce Milano-Salerno, che si ricongiungerebbe alla linea fino a Palermo.

Viviamo in una Nazione dove si protesta per il notevole impatto ambientale prodotto dalle grandi opere infrastrutturali, dove lo sviluppo è visto come minaccia e il conservatorismo è visto come l’unica via. Intanto, gli altri paesi progrediscono e noi rimaniamo sempre il vecchio paese di sempre, impaurito dall’innovazione.