La Turchia, gli attacchi terroristici e la spregiudicata politica estera di Erdogan

«Un soldato eroico del califfato ha colpito uno dei più famosi nightclub dove i cristiani celebrano la loro festa apostata». Così il Califfato rivendica in una nota l’attentato della notte di Capodanno nel club di Istanbul in cui sono morte 39 persone e ne sono rimaste ferite altre 70. «Che il governo apostata della Turchia sappia – prosegue la nota – che il sangue dei musulmani che viene sparso dai bombardamenti dei suoi aerei si trasformerà in fiamme nella sua casa».

In effetti, al di là dei richiami simbolici di cui l’Isis ha bisogno di nutrirsi, di fermento religioso dietro questo attacco alla Turchia c’è ben poco, come evidenzia il riferimento ai bombardamenti aerei in Siria. Secondo la gran parte degli analisti, la Turchia paga, con molta probabilità, la spregiudicata politica estera del Presidente Erdogan, il volta faccia alle forze ribelli in Siria e l’accordo raggiunto con Russia e Iran.

Il paese vive certamente un momento di grande difficoltà in cui si intrecciano instabilità di matrici diverse: non solo lo jihadismo ma anche l’opposizione interna e l’irredentismo curdo che, nonostante la svolta autoritaria, le forze di sicurezza non riescono a contrastare. 

 Dopo aver permesso il passaggio di foreign fighters dai propri confini per combattere Assad in Siria e aver lasciato che le frange islamiche presenti nel paese si radicalizzassero, la Turchia adesso fa i conti con l’Isis e con gli altri movimenti eversivi islamici che non le perdonano di essersi riavvicinata alla Russia di Putin e dunque di aver abbandonato l’obiettivo di abbattere il regime di Damasco per evitare la formazione di uno stato curdo ai propri confini.

La notizia dell’asse Mosca-Ankara-Teheran sulla tregua in Siria, approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha segnato una svolta per lo scenario siriano. I tempi «del trastullarsi improduttivo» americano – così ha definito le posizioni della politica estera di Barack Obama il Ministro degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov – sembrano finiti e la partita adesso è tutta in mano alla Russia, all’Iran e alla Turchia, mentre l’Europa e gli Stati Uniti sono rimasti alla finestra a guardare l’evolvere in un assetto mediorientale in cui sono sempre più spettatori e non protagonisti. L’accordo di “cessate il fuoco” scattato il pochi giorni fa, esclude i gruppi considerati terroristici, dunque Isis e al Nusra ma anche i curdi, e se c’è uno stato che tra i tre paesi garanti rischia maggiori ripercussioni è certamente la Turchia che rischia di sacrificare sull’altare delle sue ambizioni, a più voci definite “neo ottomane”, altre vite umane. È notizia di oggi che la tregua sia nuovamente ad un passo dal fallimento. Combattimenti sono in corso ad una quindicina di chilometri a nord-ovest di Damasco, tra ribelli da un lato e, dall’altro, forze governative siriane e milizie libanesi sciite Hezbollah dopo che i ribelli avevano annunciato il “congelamento di ogni discussione legata ai negoziati di Astana”, e quindi praticamente il boicottaggio dei colloqui voluti da Ankara e Mosca, previsti per fine gennaio. Se le cose dovessero andare male la Turchia rischia di pagare un prezzo ancora più alto in termini di terrorismo.

Antinea Pasta


 

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