La Carta delle Nazioni Unite compie 75 anni. Cosa resta di un “miracolo”

Il 26 giugno 1945, gli Stati della comunità internazionale firmavano la Carta di San Francisco, definendo i fini ed i principi dell’ONU.


Sono trascorsi settantacinque anni da quando i rappresentanti dei governi di 51 Paesi si radunarono al Teatro dell’Opera di San Francisco, in California, per firmare la Carta delle Nazioni Unite. Avevano combattuto il nazismo ed il fascismo, avevano visto cadere i propri figli in un conflitto sanguinoso e, intenti a fronteggiarne gli strascichi, decisero di salvaguardare le generazioni future dal “flagello della guerra”, impegnandosi a “promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà”.

Era il 26 giugno 1945 e la comunità degli Stati innalzava un baluardo contro le ingiustizie della guerra e le disuguaglianze tra gli uomini. Con la firma della Carta di San Francisco e la conseguente ufficializzazione della nascita dell’ONU – la nuova organizzazione delle Nazioni Unite che sarebbe entrata in funzione il 24 ottobre dello stesso anno, fornendo le basi per un assetto internazionale incentrato su regole comuni e condivise – si compiva infatti quel che ancora oggi, agli occhi di molti, appare come un vero e proprio “miracolo”.

Riaffermando i diritti e le libertà dei singoli individui, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, la Carta si propose di sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni, fondate sul rispetto dei principio di uguaglianza e di autodeterminazione dei popoli e di adottare misure idonee a mantenere e rafforzare la pace e la sicurezza internazionale, attraverso la soluzione pacifica delle controversie e la disciplina dell’uso della forza.

Nel corso di settantacinque anni, sulla base dei fini e dei principi cristallizzati nella Carta, le Nazioni Unite hanno senz’altro contribuito alla salvezza di vite umane, al progresso economico e sociale degli Stati e alla composizione di preoccupanti crisi politiche, scongiurando lo scoppio di nuovi conflitti mondiali. Mentiremmo, però, se dicessimo che, laddove si sia trovata ad agire, l’ONU abbia costantemente adottato misure idonee e tempestive, rivelandosi di fatto cedevole ai rapporti di forza e ai giochi di potere tra gli Stati.

Se, reduci dagli orrori della seconda guerra mondiale, le nazioni non hanno esitato a collaborare per il mantenimento della pace e della sicurezza globale, oggi gli Stati scelgono frequentemente di sacrificare l’interesse collettivo a favore di quello nazionale, violando senza troppe remore le risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con il rischio di esporre la comunità internazionale a guerre, tensioni e scetticismi. Contro le violazioni degli Stati, l’azione dell’ONU non ha certo brillato (e tuttora non brilla) per prontezza ed efficacia, risultando non di rado manchevole di incisività, soprattutto sotto il profilo sanzionatorio.

Negli ultimi anni, poi, la minaccia dell’uso della forza, specie quella nucleare, da parte di alcuni Stati (basti pensare allo scontro USA-Iran che all’inizio del 2020 ha sollevato non poche preoccupazioni in merito), le crescenti tensioni in Medio Oriente, la crisi ambientale e, da ultimo, la proliferazione di nuove istanze nazionaliste e populiste hanno ulteriormente indebolito le istituzioni democratiche internazionali, aggravando la crisi del multilateralismo e, dunque, del dialogo e della cooperazione tra le nazioni.

Sebbene le istituzioni internazionali – ed il Consiglio di Sicurezza in particolare – fatichino a promuovere la collaborazione tra gli Stati al fine di offrire soluzioni concrete e ad adottare misure efficaci per rinvigorire il disarmo e garantire il rispetto dei diritti umani, l’emergenza sanitaria che negli ultimi mesi ha sconvolto il pianeta, ha comunque evidenziato come, oggi più che mai, risulti imprescindibile un approccio collettivo per contrastare i pericoli attuali e raccogliere le sfide future. Il coordinamento tra le nazioni si impone, dunque, come imperativo per il superamento della crisi globale, attraverso scelte consapevoli e azioni decise.

In un momento profondamente segnato dalle difficoltà della pandemia, che ci chiama ad essere responsabili nei confronti della storia, commemorare il 75° anniversario della firma della Carta di San Francisco non può allora ridursi ad una sterile riflessione su quel che resta di un “miracolo” (un successo o un fallimento?) ma deve inevitabilmente tradursi nell’impegno concreto degli Stati a dare nuovo impulso al multilateralismo e riaffermare i principi sempre attuali della Carta, cui occorre tornare a guardare per ribadire ancora una volta “mai più guerra, mai più disuguaglianze”.


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