La Brexit, davvero

Di Maddalena Tomassini – Rilancio del sistema sanitario, investimenti per la scuola, misure contro l’inquinamento da plastica e, ovviamente, portare a compimento la Brexit il 31 gennaio. Sono le priorità del nuovo governo britannico guidato da Boris Johnson, elencate ieri mattina dalla Regina Elisabetta durante il suo discorso di apertura. Più di 30 decreti annunciati, sette legati all’uscita dall’Unione Europea, incentrati su commercio, agricoltura, pesca, immigrazione, finanza e diritto internazionale privato. Il primo, in discussione oggi, è il cosiddetto Withdrawal Agreement Bill.

Inizia così il governo Johnson, emerso dalle elezioni dello scorso giovedì con la vittoria schiacciante dei Conservatori: 365 seggi contro i 203 dei Laburisti.

Si potrebbe scrivere un’enciclopedia sull’analisi di questo voto, partendo dal dato dell’affluenza ferma intorno al 62%. Si potrebbe includere un’analisi sulla posizione “tiepida” dei laburisti sulla Brexit, o una riflessione sul sistema elettorale del Regno Unito, che non favorisce i partiti minori (c’è una ragione se il Partito della Brexit ha ritirato i suoi candidati dalle circoscrizioni dove i Conservatori erano favoriti). Tutt’altra storia il voto in Scozia e in Irlanda del Nord.

Alla fine sembra proprio che la Brexit si farà. Il testo in discussione oggi alla Camera pone le basi per l’uscita britannica dall’Unione Europea, prevedendo anche misure per facilitare il distacco dalla giurisprudenza europea. Qualunque giudice britannico avrà la facoltà di rivederne i contenuti, inclusi gli standard sui diritti umani indicati dalla Carta europea.

Quando sarà effettiva la Brexit? Dopo l’approvazione del decreto, il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea il 31 gennaio 2020 sulla base dell’accordo raggiunto da Johnson. Da quel momento in poi inizierà un periodo di transizione che durerà fino alla fine dell’anno e durante il quale il Regno Unito rimarrà, a tutti gli effetti, all’interno del mercato unico europeo ma sarà escluso dalle istituzioni politiche. In questi mesi, il Regno Unito dovrà contrattare diversi accordi specifici, in particolar modo (ma non solo) sul fronte del commercio, per evitare di essere sottoposto alle tariffe doganali dell’UE.

Quale sarà il rapporto fra Regno Unito e UE al 31 dicembre del prossimo anno, non è ancora facile prevederlo. Come non è facile prevedere il futuro dell’unione britannica, nonostante il nuovo governo abbia fatto proprio l’obiettivo di preservare “l’integrità del Regno Unito”.

Il voto scozzese parla chiaro. Nicola Sturgeon, leader del SNP e premier del parlamento scozzese, in campagna elettorale aveva espresso due punti ben precisi: no all’uscita dell’Unione Europea, sì a un nuovo referendum per l’indipendenza. E gli elettori scozzesi le hanno dato ragione, regalando al SNP 48 dei 59 seggi disponibili. Per Sturgeon, un nuovo voto per l’indipendenza è ormai “indiscutibile”. «La Scozia non è una regione che esprime dei dubbi sul suo posto in un Stato unitario più grande; siamo un Paese in una volontaria unione di nazioni», ha sostenuto in un documento diffuso nella mattinata di ieri, prima del discorso della regina. Opinione non condivisa da Boris Johnson, che già in passato ha respinto l’idea di un secondo referendum: per il premier, il voto del 2014 va rispettato. Sturgeon non ha intenzione di arrendersi e non ha escluso di adire a vie legali. «Non si può trattenere la Scozia nell’unione contro il suo volere».

Non è solo il voto di Edimburgo a far traballare la solidità dell’unione britannica. A Belfast qualcosa è cambiato. Il partito unionista (DUP) è sceso a otto seggi su 18, perdendo quello di Belfast Nord, storica roccaforte leale a Londra. Agli unionisti non resta, quindi, che Belfast Est, dove ha avuto superato di poco il Partito dell’Alleanza dell’Irlanda del Nord (APNI). Per la prima volta nella sua storia, gli unionisti hanno vinto meno seggi dei nazionalisti irlandesi, che ne hanno ottenuti nove fra il Sinn Féin (sette) e il Partito dei Social Democratici e Laburisti (SDLP, due).

Se per il DUP la notte fra il 12 e 13 dicembre non è stata positiva, non si può dire che la sua nemesi – il Sinn Féin – possa cantare vittoria. I reali vincitori nell’Ulster sono i partiti nel “mezzo” che hanno condotto una campagna elettorale anti-Brexit: l’APNI ha vinto un seggio per la prima volta nella sua storia e il SDLP ne ha guadagnati due. «C’è stato un effetto ‘Brexit’» commenta Matthew O’Toole, portavoce a Downing Street durante il referendum per la Brexit. «I partiti pro-Remain hanno ottenuto il maggior guadagno. Questo è un segnale di come l’Irlanda del Nord stia cambiando… nazionalisti e unionisti dovranno persuadere questo ‘centro’ meno interessato alla questione identitaria».


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