Il caso Charlie Gard

A pochi giorni di distanza dalla morte di Charlie Gard, il dibattito intorno alla vicenda è ancora acceso. Proviamo a fare il punto della situazione, partendo dai fatti.

Charlie nasce il 4 Agosto del 2016 da Connie Yates e Chris Gard a Londra. Dopo circa un mese, al piccolo viene diagnosticata una malattia genetica rara per la quale non esiste nessuna cura ufficiale. Charlie viene ricoverato al Great Ormond Street Hospital a Ottobre, dove i medici lo tengono in vita artificialmente con dei macchinari.

Dopo tre mesi di cure, Connie e Chris organizzano un crowdfunding per pagare le spese necessarie a trasferirsi negli USA e sottoporre il bambino ad un trattamento sperimentale controverso. I medici negano il loro consenso e impongono la sospensione definitiva della terapia. La vicenda finisce in tribunale: in tutti e tre i gradi di giudizio (e di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) i giudici danno ragione ai medici.

Il 30 Giugno l’ospedale concede ai genitori una proroga al distacco dei macchinari. La vicenda diventa un caso politico internazionale. Il 19 Luglio, Donald Trump concede la cittadinanza americana a Charlie per permettergli di usufruire delle cure sperimentali.

Purtroppo, dagli esami dei giorni successivi risulta che per il piccolo non c’è più niente da fare. I genitori rinunciano alla battaglia legale. Charlie muore il 28 Luglio.

Ci sarebbe molto su cui discutere intorno a questa vicenda. In molti hanno difeso la scelta (comprensibile, sacrosanta) dei genitori di lottare fino all’ultimo per trovare una cura, andando contro il parere della comunità scientifica e delle corti, solo ed esclusivamente per amore del proprio figlio. Nulla a che vedere né con gli eccessi raggiunti in Inghilterra dai gruppi pro-life (alcuni dei quali hanno minacciato di morte i medici dell’Ospedale, definendoli nazisti) né con le dichiarazioni opportuniste e contraddittorie di alcuni senatori della destra americana (basti pensare a Ted Cruz che su Twitter ha denunciato i governi che (a suo dire) negano il diritto alla vita, dopo avere sostenuto l’abolizione dell’Obamacare).

Il nocciolo della questione è un altro: quale sarebbe stata la scelta migliore per il piccolo Charlie, il suo “best interest”? Sottoporlo a cure mai sperimentate sull’uomo nella speranza di una guarigione miracolosa o mettere fine alla sua agonia?

Difficile rispondere in modo netto, impossibile farlo in poche righe.

Tuttavia, da questa storia emerge un dato su cui tutti dovremmo riflettere: la crisi del rapporto tradizionale tra l’opinione pubblica e la figura degli esperti, in tutti i campi del sapere.

Non è più ovvio che un medico abbia più autorità degli altri in fatto di medicina né che un giudice abbia più autorità di un cittadino comune in fatto di prudenza e moralità del giudizio.

C’è un filo sottile che lega la vicenda di Charlie Gard con il fenomeno dei No Vax, con le teorie cospirazioniste e con il populismo. Quest’ultimo in fondo è inseparabile dalla credenza che né gli esperti né l’establishment (giudici compresi) siano degni di fiducia: ognuno vale uno, in tutti i sensi. Non è un caso se Donald Trump sia stato eletto presidente dopo essersi servito di questa retorica antisistema. Una retorica che si nutre della sfiducia verso chiunque sostenga di agire nell’interesse dell’altro e che per questo è destinata a ritorcersi contro ogni populista che non sia disposto a trasformarsi in un dittatore.

Francesco Puleo


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