Dove va la Spagna?

Di Francesco Puleo – La situazione politica della Spagna è a un punto di svolta: tra due mesi gli spagnoli torneranno alle urne. La notizia era nell’aria da tempo. Pedro Sanchez, leader del partito socialista (PSOE) subentrato a Mariano Rajoy a giugno del 2018 dopo l’approvazione di una mozione di sfiducia, era riuscito tra enormi difficoltà a formare un governo di minoranza appoggiato dalla sinistra radicale di Podemos e dai partiti indipendentisti.

Fino a ottobre, la possibilità di un accordo sulla manovra finanziaria e del proseguimento della legislatura fino al 2020 sembrava concreta. La manovra rappresentava un’inversione di rotta considerevole rispetto a quasi un decennio di riforme all’insegna dell’austerità: controllo degli affitti nei quartieri più poveri, raddoppio degli assegni familiari, investimenti nella ricerca.

Tutto finanziato con un aumento delle imposte sulle fasce di reddito più alte. Il punto principale della manovra, l’aumento del salario minimo a 900 euro, è stato l’unico obiettivo raggiunto dalla fragile coalizione di governo, attraverso l’approvazione di un decreto regio (procedura svincolata dall’approvazione del parlamento) entrato in vigore a partire da quest’anno.

I partiti indipendentisti, il PdeCAT e la sinistra catalana di ERC, avevano posto una condizione fondamentale all’approvazione della manovra: l’istituzione di un referendum per l’autodeterminazione della Catalogna. Vicenda questa che ha segnato la politica della Spagna degli ultimi anni e ha portato a una vera e propria crisi costituzionale tra il 2017 e il 2018, con proteste di massa sfociate nell’annullamento del referendum consultivo e nell’arresto di 12 leader indipendentisti, tra membri del parlamento catalano e di associazioni impegnate nella causa dell’indipendenza.

Il governo centrale ha optato per la soluzione giudiziaria, mostrando un atteggiamento repressivo e punitivo visibile non solo nei modi in cui le forze dell’ordine hanno gestito la protesta (e per i quali in molti, all’estero, hanno sollevato critiche), ma anche nelle vicissitudini del processo ai leader arrestati. Nove di loro sono stati infatti sottoposti a un anno e mezzo di carcere preventivo per il reato di ribellione. Ciascuno degli imputati rischia pene che oscillano tra i 16 e i 25 anni di carcere, per accuse che vanno dalla malversazione all’appropriazione indebita.

A differenza di Rajoy, Sanchez ha tentato la via della mediazione, proponendo l’istituzione di una figura apposita per portare avanti il negoziato (il Relator) e la ricerca di un accordo per un nuovo referendum sull’autogoverno della Catalonia volto a modificare le prerogative della regione rispetto allo stato centrale. Nulla di tutto questo è stato sufficiente a far cambiare idea agli indipendentisti, i quali hanno bocciato la manovra e dato inizio così alla crisi di governo.

Al di là del fatto che la decisione di indire elezioni anticipate sia stata una scelta obbligata, c’è da chiedersi chi ne uscirà avvantaggiato. Soprattutto se consideriamo che l’estrema destra è in ascesa, come dimostra il successo ottenuto alle elezioni in Andalusia da Vox, il partito nazionalista, islamofobo e antifemminista guidato da Santiago Abascal, entrato a far parte di una coalizione di governo con i conservatori del Partido Popular e con i liberali di Ciudadanos. Una coalizione che gli ultimi sondaggi danno in vantaggio anche a livello nazionale.

Probabilmente Sanchez punterà sui risultati ottenuti in questi sette mesi di governo per consolidare la sua leadership e l’immagine rinnovata del suo partito: in fondo, seppur per poco tempo, il premier spagnolo ha messo in campo un governo in maggioranza composto da donne (6 su 11), con posizioni decisamente progressiste in tema di diritti civili, di diritti sociali e di immigrazione.

Se consideriamo inoltre che Podemos, dopo l’uscita di Iňigo Errejon (uno dei suoi leader storici) in polemica con il leader storico Pablo Iglesias, è in una fase di crisi, si potrebbe ipotizzare che Sanchez speri di ottenere un vantaggio dalla “sana concorrenza” tra socialisti vecchi e nuovi. Dall’altro lato, gli indipendentisti metteranno al centro della loro campagna elettorale lo scontro con il governo centrale di Madrid e il processo politico ai loro leader, ma nulla esclude l’ipotesi di una nuova coalizione post-elettorale con Sanchez e Podemos, stavolta con una maggioranza più solida. Tuttavia, considerata l’ascesa della destra, gli scenari sono aperti.


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