Coronavirus, non tutto il mondo è paese

A pochi giorni dall’annuncio dell’OMS, che ha dichiarato quella da coronavirus una pandemia globale, la situazione a livello internazionale sta rapidamente peggiorando. I governi europei, uno dopo l’altro, stanno adottando misure identiche o simili a quelle adottate dall’Italia a partire dalla settimana scorsa.

In Spagna, che per numero di contagi e di decessi è il secondo paese in Europa, il governo Sanchez ha ordinato la messa in quarantena di intere città, la sospensione di eventi pubblici, la chiusura di bar, ristoranti, cinema, musei e monumenti e ha imposto restrizioni agli spostamenti, invitando la popolazione a restare in casa. “È il momento della responsabilità e della disciplina sociale, è necessario proteggere le persone, proteggendo noi stessi”: queste le parole di Pedro Sanchez nel discorso alla nazione di sabato scorso. La durata prevista delle misure restrittive è di 14 giorni e con buona probabilità sarà prolungata per fare fronte all’emergenza.

Simile la situazione in Francia, dove il presidente Macron ha appena annunciato un lockdown di 15 giorni in tutto il paese. “Siamo in guerra”: queste le parole di Macron. Decisione che arriva dopo l’annuncio di venerdì da parte del primo ministro Eduard Philippe di chiudere tutti i luoghi pubblici non indispensabili (ristoranti, bar, luoghi di culto) e il primo turno di elezioni amministrative in tutto il paese, il cui esito è al momento sospeso. “Come sapete dall’inizio – ha affermato Eduard Philippe – la strategia non è quella di impedire che il virus circoli, sappiamo che passerà probabilmente da oltre una metà di noi, ma è di fare in modo che passi nel modo più dilatato nel tempo”.

In Germania il governo federale ha deciso di chiudere le frontiere con Francia, Svizzera, Danimarca, Lussemburgo e Austria, garantendo la circolazione delle merci e dei lavoratori pendolari. Nessuna chiusura sul modello italiano o spagnolo, probabilmente in virtù della condizione della sanità tedesca, che con quasi 30 posti di rianimazione ogni centomila abitanti è il paese più preparato di tutti all’epidemia. Diversa la situazione in Austria, che a partire da oggi ha imposto le stesse restrizioni che vigono in Italia. Chiusura di scuole, università ed esercizi commerciali anche in Belgio. Oltre ad Austria e Germania, chiudono le frontiere Danimarca, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria.

Viene dunque messa alla prova, per l’ennesima volta, la solidarietà interna ai paesi dell’Unione Europea. Dopo le dichiarazioni improvvide della presidente della BCE Christine Lagarde e la polemica sul blocco alle esportazioni di mascherine e materiale sanitario con la Germania, quello della chiusura delle frontiere interne all’Unione Europea rappresenta un altro rischio per la coesione interna dell’Unione. Al momento la Commissione europea ha limitato solo gli ingressi dai paesi extra-Ue. “Il coronavirus è diffuso già in tutti i paesi quindi la chiusura dei confini tra i nostri paesi non è il modo migliore per bloccarlo”, ha affermato il portavoce capo della Commissione europea, Eric Mamer.

Altrettanto diversa è la situazione nel Regno Unito, dove sulla scia della Brexit il governo si è mosso in direzione opposta a quella degli altri paesi europei, nonostante l’aumento di casi di contagi e decessi da Covid-19. “Molte famiglie perderanno i loro cari”: queste le parole controverse pronunciate dal premier Boris Johnson.

Al momento non è stata messa in campo nessuna misura di contrasto sul modello dei paesi europei; secondo indiscrezioni del Guardian, il governo starebbe discutendo di una quarantena obbligatoria, con auto-isolamento in casa fino a 4 mesi, per tutti i cittadini da 70 anni in su. Scuole, eventi e locali pubblici subirebbero invece chiusure “a rubinetto”, ossia alternate, in modo da gestire il flusso e il numero degli inevitabili contagi senza gravare troppo sulla sanità pubblica.

Questa dunque la situazione nel vecchio continente. Ben diversa è invece nel resto del mondo. Negli Stati Uniti il presidente Donald Trump ha annunciato la chiusura delle frontiere esterne l’adozione di misure straordinarie per 50 miliardi di dollari. La Camera dei rappresentanti ha approvato a larghissima maggioranza un pacchetto di provvedimenti per proteggere l’economia americana e le fasce più deboli. Si attende l’approvazione in Senato e l’approvazione di un’altra misura legislativa, oltre alle due appena citate.

Diversa e variegata la situazione nell’America latina, con divieti di assembramento circoscritti alle capitali di alcuni paesi (Brasile, Costa Rica e Argentina), obbligo di quarantena per gli stranieri positivi al virus (Cile) o provenienti da voli internazionali (Ecuador) e chiusura delle frontiere (Colombia). La Bolivia è l’unico paese ad avere dichiarato l’emergenza nazionale, mentre il Venezuela ha annunciato la chiusura dei voli dall’Europa e dalla Colombia.

Dopo lo scoppio dell’epidemia a Gennaio e l’adozione di drastiche misure di contenimento, in Cina la situazione sembra invece tornare alla normalità. I contagi sono in costante calo, ad eccezione di quelli arrivati dall’estero. Per questo motivo, Pechino ha annunciato la messa in quarantena di chiunque arrivi nella capitale con voli internazionali, ad eccezione di casi speciali.

L’epidemia sembra rientrare anche in Corea del Sud: merito dei tamponi di massa e dell’utilizzo di app per segnalare le condizioni cliniche e controllare gli spostamenti dei cittadini nei cluster di contagio. Un modello frutto della passata esperienza con l’epidemia di MERS del 2015 che fa da contraltare “democratico” al modello di contenimento cinese.

Nel resto dell’Asia, la situazione appare al momento più stabile. In Giappone il premier Shinzo Abe non ha dichiarato lo stato d’emergenza, dal momento che i contagi sono sotto il livello di guardia. Lo stesso vale per Bangladesh, India, Indonesia e Sri Lanka.

Un alone di mistero circonda invece la Russia. Al momento i casi registrati di contagio da Covid-19 sono 90, con un numero di decessi pari a zero. In molti tra cittadini e stranieri si chiedono quale sia la reale dimensione del contagio. Le autorità hanno fin da subito individuato e isolato i contagiati e chi era entrato in contatto con loro, senza però imporre restrizioni particolari sulla vita sociale.

Difficile invece la situazione in Iran, altro paese gravemente colpito dall’epidemia. Il numero dei contagiati ammonta al momento a 15mila, con 853 decessi. Numerosi i casi di contagi eccellenti tra ministri e parlamentari, da più parti accusati di scarsa trasparenza sulla reale entità dell’infezione. A differenza di altri paesi vicini, l’Iran per fortuna ha un sistema sanitario sviluppato. Difficile dunque individuare le cause dell’epidemia in questo paese, tra i più colpiti a livello globale. In crescita i contagi in Arabia Saudita, Bahrein e Kuwait.

Si registrano i primi casi anche in Africa, dove quasi tutti governi hanno preso misure precauzionali: maggiori controlli agli aeroporti e quarantena per passeggeri provenienti dai Paesi maggiormente colpiti dall’epidemia. Il paese più colpito al momento è l’Egitto, con 150 casi confermati e 2 morti, seguito da Sudafrica, Algeria e Marocco. Per quanto riguarda infine i Balcani, tutti i paesi della regione hanno vietato l’ingresso o introdotto misure restrittive speciali per i passeggeri che arrivano da paesi con rischio medio-alto di coronavirus. È prevista la chiusura delle scuole in Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Macedonia del Nord.

Una situazione dunque complessa e in costante evoluzione, con differenze tra una regione e l’altra sia in termini di tempo che di picco del contagio. È presto ancora per fare previsioni sullo sviluppo dell’epidemia e molto dipende dalle misure adottate dai governi e dai comportamenti dei singoli individui. Di certo, servirà uno sforzo immane e coordinato a livello globale per risolvere quella che è a tutti gli effetti la più grave crisi sanitaria di questo secolo.


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