Coronavirus, l’infermiere siciliano in prima linea a Lodi

Originario di un piccolo paese in provincia di Agrigento, Luca vive e lavora al nord Italia ormai da quasi 10 anni. In questa intervista ci racconta come l’intera provincia lodigiana stia vivendo e reagendo all’emergenza Coronavirus dopo il primo caso a Codogno.

Che impressioni hai avuto all’arrivo dei primi casi? E come avete gestito l’emergenza?

Ho capito subito che la situazione era seria e che da lì a qualche giorno si sarebbe aggravata. Nei giorni successivi infatti, il contagio ha interessato diverse province lombarde, non solo il lodigiano. Ci siamo immediatamente attivati, il numero dei pazienti in arrivo al pronto soccorso aumentava drasticamente e tutti presentavano sintomatologie diverse da quelle a cui eravamo abituati. Abbiamo attivato tutti gli enti responsabili al fine di fronteggiare l’emergenza, adempiendo ad obblighi burocratici che consentono di organizzare meglio il lavoro.

Com’è cambiato lo spirito con cui si lavora?

È cambiato molto, noi operatori sanitari ci siamo subito messi a disposizione di ogni paziente, non solo da un punto di vista professionale ma anche da un punto di vista umano e psicologico: i nostri pazienti non sono virus da combattere, ma persone, preoccupate per sé stesse e per le proprie famiglie, abbiamo risposto subito con grande responsabilità e coraggio. Anche noi siamo figli, fratelli o genitori, viviamo – come tutti – preoccupazioni e paure, e ci sentiamo responsabili una volta rientrati a casa dalle nostre famiglie.

Una delle poche note positive di tutto questo è l’immenso senso di solidarietà che coinvolge chiunque arrivi in ospedale: i pazienti si aiutano a vicenda, non si lamentano più delle attese al pronto soccorso, non fanno polemiche, ma comprendono che ognuno – nel proprio piccolo – può dare una mano.

Gli effetti del virus cambiano in base all’età? Alcune categorie sono meno a rischio delle altre?

Non ci sono categorie di età immuni al virus. Possiamo prenderlo tutti. Cosa cambia invece? Il modo in cui reagiamo al contagio. Sono soprattutto i giovani a fare da vettore al virus, sono loro che devono essere maggiormente sensibilizzati. Chi ha un forte sistema immunitario è probabile che rimanga asintomatico. Tuttavia, sono proprio questi i soggetti che contagiano chi ha le difese immunitarie più basse: pensiamo ai nostri nonni, ai nostri genitori, a chi ha un’età compresa fra i 45 e i 60 anni, che può essere padre o madre di un ventenne/trentenne. Loro potrebbero essere immediatamente contagiati da chi non presenta alcun sintomo.

È evidente quindi che non esiste una categoria di persone immune al virus ma esistono vari modi in cui il virus si manifesta. I giovani asintomatici sono quelli più “dannosi” in questo senso e sono loro a dover rispettare più di tutti le indicazioni disposte dal Governo.

Non siamo in grado di fare previsioni su come si evolverà l’epidemia. C’è qualcosa che vuoi dire a chi ti leggerà?

Seppure l’OMS abbia parlato di una pandemia, non possiamo stabilire come si evolverà l’emergenza. Quello che ci tengo a sottolineare è che ognuno di noi deve prendere sul serio questa situazione. Come ogni momento di difficoltà però non deve essere affrontato con paura, ansia o panico, ma con lucidità e maturità.

Bisogna acquisire consapevolezza del fatto che stiamo affrontando un’emergenza difficile e l’esito di quest’ultima dipenderà soprattutto da noi. Abbiamo quindi il dovere di rispettare scrupolosamente le indicazioni forniteci dal Governo. La nostra unica vera arma contro il virus è quella di attenerci alle regole.

In questo momento non c’è miglior detto di quello che dice prevenire è meglio che curare e ormai sappiamo bene come possiamo fare prevenzione.

So che ciò che stiamo vivendo sembra surreale, siamo costretti a rimanere in casa e a non poter uscire. Tuttavia questa realtà deve diventare la nostra nuova normalità, perché probabilmente durerà a lungo. Dobbiamo accettarla ed abituarci a questa nuova vita, almeno per un po’.


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