Che succede in Albania?

Di Francesco Puleo – Da mesi, per l’esattezza da metà febbraio, arrivano da Tirana foto e video di cortei e scontri con lancio di oggetti e bottiglie incendiarie di fronte alla sede del parlamento albanese. Da un lato i manifestanti che provano a forzare il cordone di sicurezza delle forze d’ordine, dall’altro gli agenti che rispondono con i fumogeni per disperdere la folla.

Questo è lo scenario al quale l’Albania ha ormai abituato i media internazionali e che vede contrapposta la piazza del leader dell’opposizione di centro-destra Lulzim Basha e il governo del premier socialista Edi Rama, in carica dal 2013. Uno scenario che sembra seguire pedissequamente il classico copione della protesta popolare contro le élite corrotte. La realtà, come sempre, è un po più complicata di così.

Il leader dell’opposizione di centro-destra Lulzim Basha

La crisi politica è iniziata in concomitanza con le proteste di piazza. A febbraio, i membri del Partito Democratico di Basha (il partito all’opposizione) hanno abbandonato il parlamento, in polemica con la maggioranza di governo per il fallimento delle trattative su alcune importanti riforme istituzionali richieste dall’Europa. Fra tutte, la riforma della giustizia, approvata nel 2016 ma non ancora pienamente implementata. Nonostante gli sforzi di entrambi gli schieramenti politici e il loro europeismo bipartisan, i tempi per l’ingresso nell’Unione Europea non sembrano ancora maturi.

L’Albania non ha infatti del tutto superato le conseguenze di cinquant’anni di dittatura: quella albanese di Enver Hoxha è stata probabilmente l’espressione più rigida e ortodossa dello stalinismo. Il crollo del regime e la gestione problematica del processo di transizione all’economia di mercato hanno provocato danni enormi a un paese materialmente e psicologicamente provato. Le durissime condizioni di vita hanno spinto tantissimi albanesi a emigrare in Italia: le immagini dello sbarco a Bari nel 1991 di una nave carica di 20mila persone sono la metafora perfetta di quel momento storico.

A distanza di quasi trent’anni l’Albania è ancora segnata da forti contraddizioni: sebbene l’economia sia in crescita (grazie soprattutto al turismo) e il paese sia in generale avviato verso un processo di modernizzazione, la corruzione e la criminalità, in particolare quella legata allo spaccio di sostanze stupefacenti, sono ancora radicate. Dal punto di vista politico, almeno fino a qualche anno fa, il quadro sembrava tendere alla normalizzazione e alla stabilizzazione delle istituzioni democratiche: una tendenza che al momento è contraddetta dai fatti.

L’attuale premier socialista Edi Rama, artista e intellettuale prestato alla politica, è infatti accusato dall’opposizione di connivenza con la criminalità e di corruzione. È stato accusato anche di brogli in occasione delle elezioni del 2017, accuse respinte da Rama e dagli osservatori internazionali dell’OSCE. L’aspetto forse più ironico di questa storia è che Lulzim Basha, il leader dell’opposizione che anima le piazze con comizi impregnati di retorica populista, è accusato di riciclaggio di denaro. Un’indagine che Basha ha ovviamente definito un processo politico.

L’attuale premier socialista Edi Rama

Dietro questo fitto scambio di accuse si cela la realtà del sistema giudiziario albanese che, in seguito a una riforma non ancora del tutto implementata, è carente. E non nel senso che mancano le regole: in Albania mancano i giudici. Le nuove regole impongono infatti controlli talmente rigidi che molti dei magistrati corrotti espulsi dai tribunali non sono stati ancora sostituiti.

A tutto questo si aggiunge lo scontro degli ultimi giorni tra il premier Rama e il presidente della Repubblica Ilir Meta. L’oggetto del contendere è un provvedimento firmato dal presidente che posticipa a data da destinarsi le elezioni amministrative previste per il 30 giugno: al momento, secondo Meta non ci sarebbero le condizioni necessarie per elezioni «democratiche, rappresentative e inclusive».

Un atto accolto favorevolmente dall’opposizione ma non dal governo, tanto che il parlamento ha approvato, su iniziativa del Partito Socialista di Rama, una mozione che ne certifica la nullità. Il risultato è che le elezioni, se si terranno, saranno boicottate (e dunque delegittimate) dall’opposizione, con il rischio di un ulteriore aggravarsi della crisi politica. Sullo sfondo c’è la questione dell’adesione dell’Albania all’Unione Europea che, anche in seguito delle vicende di questi ultimi mesi, è stata posticipata da Bruxelles a Ottobre.

«L’oceano della speranza ieri sera a Tirana, questa maestosa unione della volontà dei cittadini, ha rappresentato la speranza per il popolo albanese di un cambiamento nel paese», ha dichiarato Basha due giorni fa commentando le ultime manifestazioni nella capitale. «Le manifestazioni non sono state messe in scena per rovesciare il governo: il governo non può essere rimosso attraverso le proteste, ma mirano piuttosto a seminare paura tra la gente e denigrare l’Albania agli occhi dell’Europa», ha risposto Rama. Al momento è difficile immaginare se e in che modo si risolverà la crisi.