Caivano, le vittime muoiono sempre due volte

 
 

Ogni fatto di cronaca può essere specchio di una società. E il riflesso messo in evidenza da quello che è successo a Caivano potrebbe e dovrebbe fare paura.


La storia sembra un fatto di cronaca nera, all’apparenza: un inseguimento in moto, speronamenti e calci, per le strade di Caivano, un paese in provincia di Napoli. E poi, l’incidente che costa la vita a una ragazza, Maria Paola Gaglione, aggravato da un pestaggio al guidatore della moto, Ciro Migliore, per mano di chi li ha speronati. Il tutto in un venerdì sera che sconvolge la vita di questo paese della Campania.

Il fatto finisce sotto la luce dei riflettori, con tante testate, cartacee e virtuali, che narrano la vicenda portando a galla altri dettagli. I telegiornali iniziano a raccontare la storia, aggiungendo al quadro generale tanti elementi che lo rendono molto più articolato e sempre più scabroso.

In primis, Ciro è un ragazzo transessuale; la notizia in sé non dovrebbe suscitare interesse, se non fosse che sarebbe stata la motivazione principale dell’inseguimento. E il famigerato inseguitore che avrebbe causato la morte di Maria Paola altri non era che lo stesso fratello della ragazza, Michele Antonio, che tentava “un atto di intimidazione” verso questa coppia che lui non riconosceva e che riteneva contro natura. 

Arrestato e interrogato dalla polizia, avrebbe parlato di sua sorella come “un’infetta”, come se la relazione con Ciro fosse una sorta di corruzione dello spirito, di una “purezza” d’animo che dipende unicamente da chi si ama. E quindi l’ipotesi di reato, che prima era di lesioni aggravate e morte in seguito ad altro reato, muta in omicidio preterintenzionale con l’aggravante di transfobia.

Ciro alla fine ha riportato perlopiù lesioni dovute al successivo pestaggio, avvenuto mentre cercava di chiedere aiuto per soccorrere la compagna, ferita mortalmente per la caduta in seguito allo speronamento. Ma la storia, nel perfetto stile dell’Italia dei giorni nostri, non termina qui: la violenza fisica che ha portato alla morte di Maria Paola sarà anche finita, ma il problema culturale dietro all’atto è stato esplicitato molto spesso, soprattutto nel modo di riportare la notizia.

A più riprese, infatti, moltissime testate hanno commesso errori nella pubblicazione dei fatti. Ciro, più e più volte, è stato definito come “la compagna” di Maria Paola, ignorando completamente la sua transizione, in un atto di “misgendering” (erroneità della definizione di genere), come se non fosse di alcuna importanza; la vittima, allo stesso tempo, è stata definita come compagna di una relazione “omosessuale”. Inoltre, numerosi servizi hanno parlato delle lesioni di Ciro definendolo “la ragazza rimasta ferita” e spesso è stato riportato il nome femminile registrato all’anagrafe, ignorando quel fenomeno che viene definito “deadnaming“, offensivo per chi rifiuta il suo vecchio nome dopo la transizione.

Se stessimo parlando dei soliti siti amanti dei titoli clickbait, che vivono di visualizzazioni e notizie pseudoscandalose, non ci sorprenderebbe leggere certi errori e certe leggerezze; ma quando anche testate titolate come il Messaggero cominciano a commettere lo stesso errore, allora si capisce che certi errori sono figli di un substrato culturale ormai obsoleto, che ignora completamente qualsiasi norma sociale in merito a omosessualità e transessualità. Quello che appare nei titoli e nei pezzi è quindi un sintomo di qualcosa di ben più grave e più profondo.

Lo dimostrano anche le parole del Parroco al Parco Verde di Caivano, dove vivevano tutti i protagonisti di questa vicenda così macabra; il tono è di difesa rispetto all’atto del fratello, che “non avrebbe di certo voluto uccidere la sorella e che non era semplicemente pronto a vederla con un’altra donna”. In una sola frase, si legge il rifiuto totale della relazione tra Ciro e Maria Paola e il rigetto assoluto della transizione di Ciro, un atto che, per chiunque sia un minimo informato, non è mai un capriccio, come è stato più e più volte rimarcato.

Alla politica spetterebbe il compito di promuovere norme che proteggano da questi atti di violenza omotransfobica verbale, psicologica e fisica, che a più riprese si verificano in questo paese. Alla scuola spetterebbe il compito di educare al rispetto e all’accettazione di un cambiamento culturale ormai in atto che negare e tentare di sopprimere con la violenza è aberrante. Quando certe persone rigettano ogni forma di cambiamento, si cullano al pensiero di presunte “glorie passate” e cedono a istinti e pulsioni fisiche e mentali incontrollate, questo imbarbarimento può soltanto aggravarsi, giorno dopo giorno. E in questa situazione Ciro e Maria Paola, e chi come loro deve vivere l’amore nella discriminazione, verranno sempre aggrediti e speronati, rischiando di morire, spesso due volte.