Accordi di Malta: un passo avanti, nessuna rivoluzione

Di Antinea PastaLo scorso 23 settembre è stata sottoscritta a Malta un’intesa tra cinque paesi – Italia, Malta, Francia, Germania, e Finlandia – sulla gestione degli sbarchi nel Mediterraneo centrale. C’è chi l’ha definita una svolta epocale e chi una “grande sola” ma probabilmente non è nessuna delle due: è semplicemente un piccolo passo avanti, significativo ma non decisivo, rispetto alla gigantesca questione dell’immigrazione. La bozza d’accordo siglata a Malta dai Ministri degli interni dei cinque paesi – tra questi il neo ministro Luciana Lamorgese alla sua prima uscita internazionale – prevede un meccanismo temporaneo di ricollocamento dei migranti salvati in mare (sei mesi con eventuale possibilità di rinnovo) che verrà sottoposto il prossimo 8 ottobre al Consiglio degli Affari interni dell’UE per cercare di allargare la schiera dei paesi che decideranno di sottoscriverlo. Ma vediamo quali sono i punti salienti dell’intesa.

– Alle navi delle Ong e a quelle militari e commerciali che soccorrono i migranti lungo la rotta del Mediterraneo centrale sarà assegnato in tempi rapidi – massimo quattro settimane – un porto sicuro. Se attualmente le imbarcazioni si dirigono in Italia e Malta, il nuovo accordo cercherà di stabilire una rotazione che, su base volontaria, indirizzerà le navi nei porti di altri paesi firmatari, ad esempio Spagna o Francia.

La redistribuzione dei migranti in maniera preventiva permette di superare il Regolamento di Dublino poiché, compiuti i primi adempimenti nei paesi di sbarco, saranno i paesi di “ricollocamento” a farsi carico delle richieste d’asilo così che i migranti che non dovessero ottenere l’asilo non possano essere rinviati nei paesi di primo sbarco. La distinzione tra migranti economici e profughi è stata superata. Avranno diritto al ricollocamento tutti coloro che faranno richiesta di asilo.

L’adesione all’accordo è volontaria ma tra i paesi firmatari l’accoglienza è obbligatoria. Al momento non sono previste sanzioni né le quote di redistribuzione.

È macroscopico intanto il cambio di atteggiamento di Francia e Germania nei confronti del nuovo governo. Diciamo che la “desalvinizzazione” effettuata dal nuovo esecutivo ha disteso gli animi in Europa e, proprio per evitare un ritorno dell’inviso ex ministro degli Interni Matteo Salvini sul proscenio politico, i principali azioni azionisti di maggioranza dell’UE – Angela Merkel ed Emmanuel Macron- si sono resi conto che una delle principali materie su cui era necessario fare concessioni era proprio l’immigrazione.

Se la fine dell’isolamento italiano in Europa è fondamentale per poter finalmente affrontare il fenomeno migratorio in maniera seria, scevra da bieca propaganda, concreta nel proporre soluzioni, non dobbiamo però dimenticare che il percorso è ancora molto lungo e complesso.

Per capirci meglio possiamo dare uno sguardo ai numeri che ci propongono i ricercatori dell’Ispi. Con la politica dei porti chiusi si sono verificate 25 crisi in mare, risolte caso per caso, con in media 9 giorni di attesa al largo delle coste italiane per le imbarcazioni cariche di migranti. Nell’80% dei casi, nel corso del 2019, i migranti alla fine sono sbarcati in Italia. Su 1.346 persone arrivate con imbarcazioni di Ong ne sono state ricollocate in altri paesi 593. Nonostante l’opinione pubblica si sia concentrata proprio sui salvataggi effettuati dalle Ong, nello stesso periodo sono arrivati nel nostro paese tramite piccole imbarcazioni 15.095 persone per i quali chiaramente la politica dei porti chiusi non poteva essere applicata e non potevano essere aperti neanche i negoziati per il ricollocamento con gli altri stati europei. Dunque, solo per il 4% dei migranti sbarcati in Italia tra giugno 2018 e agosto 2019 si sono attuate le procedure per l’eventuale redistribuzione.

La questione degli sbarchi autonomi che avvengono sui barchini resta aperta anche a seguito di questi accordi, così come non vengono presi in considerazione i migranti che provengono da altre rotte come l’Egeo o il Mediterraneo occidentale. Quindi anche se gli accordi garantissero le migliori condizioni possibili per l’Italia, verrebbe ricollocata una minima parte rispetto al numero di persone in arrivo sulle nostre coste, per un massimo di circa l’8%. Ad ogni modo, si tratterebbe di circa il doppio di quello che si è ottenuto con la politica salviniana dei porti chiusi.

Il superamento del Regolamento di Dublino, con la valutazione delle richieste d’asilo nei paesi che si faranno carico dei migranti, potrebbe essere un’importante fattore di spinta per gli altri paesi europei rispetto ad uno degli aspetti più complessi da attuare, ovvero quello dei rimpatri: ci sono maggiori possibilità che gli stati si possano impegnare in maniera congiunta nello stipulare nuovi accordi con i paesi di provenienza.

Aggiungiamo che la volontarietà dell’adesione e il suo status provvisorio rendono l’accordo debole nei casi di maggiore pressione migratoria e le sanzioni non ancora concordate potrebbero non bastare come deterrente per i paesi del gruppo di Visegrad, più che disposti a sostenere le sanzioni piuttosto che cedere sulle politiche migratorie restrittive.

Resta un’ulteriore importante criticità da sottolineare. La ministra Lamorgese ha specificato che gli accordi con la Libia restano in piedi. Non dobbiamo dimenticare che la guardia costiera libica è composta da corpi paramilitari e da miliziani, spesso accusati di gravi violazioni di diritti umani e che i porti libici non possono essere considerati porti sicuri, senza possibilità di smentita. Per cui no, gli accordi di Malta non sono la «svolta storica» di cui parla il premier Conte. Tuttavia rappresentano un approccio più serio a una questione complessa che va affrontata, in maniera sistemica e una volta per tutte, dall’intera Europa.