Gli attivisti del clima hanno ragione ma l’arte è bella quanto la vita stessa

Certe azioni contro l’arte di alcuni attivisti non stimolano i governi ad affrontare la catastrofe climatica, ma spostano l’attenzione fuori dai temi delle campagne ambientaliste.


Dobbiamo chiederci anche noi se «l’arte vale più della vita»? Sono queste le parole, in alcuni casi parafrasate, che animano gli appelli degli attivisti che hanno compiuto negli ultimi mesi, con sempre maggiore frequenza, atti vandalici contro celeberrime opere d’arte – senza causare alcun danno – per richiamare l’attenzione delle lotte in difesa dell’ambiente. Non è però la domanda giusta: dovremmo chiederci perché l’attivismo (dei più giovani soprattutto) è giunto a questi gesti, anch’essi sbagliati. 

In nome dell’arte, l’irresistibile shock

Rimaniamo sconvolti quando vediamo come i Girasoli di Van Gogh possano soccombere sotto una colata di zuppa di pomodoro. Ed è esattamente l’ingrediente che serve – lo shock, non il pomodoro – per innescare quella “viralità” che tanto torna utile ai canali social che promuovono lotte contro il cambiamento climatico

La scena alla National Gallery di Londra: un dipinto da 81 milioni di dollari che gocciola di rosso, gli attivisti incollati al muro appena sotto esso e una folla intorno che urla scioccata. Più o meno come tutti gli altri davanti gli schermi poche ore dopo l’attentato all’arte. Impossibile resistere al commento indignato sui social.

Il cibo (oltre che la colla) è entrato di recente all’interno degli attacchi alle opere d’arte – senza la minima intenzione di rovinare alcun dipinto – e in tutti gli ultimi casi, fortunatamente, queste erano protette da vetri capaci di resistere a proiettili o massi di pietra. Gli attivisti coinvolti in queste azioni in giro per l’Europa, dalla torta sulla Monnalisa al purè di patate sui Covoni di fieno di Monet, stanno passando guai giudiziari al massimo per i danneggiamenti alle sole cornici (comunque da migliaia di euro). 

Almeno è “solo” cibo, ma non è una consolazione

In passato il vandalismo contro le opere d’arte ha conosciuto episodi eclatanti, decisamente più dannosi di quelli che abbiamo conosciuto quest’anno, spesso con ragioni altrettanto “politiche” o dettate da un attivismo senza dubbio esasperato. 

La Vergine col Bambino, Sant’Anna e San Giovanni Battista, una celebre opera d’arte di Leonardo da Vinci, divenne bersaglio di un vandalo nel 1987 alla National Gallery di Londra, dove fu raggiunta da un colpo di fucile che scheggiò la struttura protettiva in vetro, i pezzi della quale squarciarono in alcuni punti il dipinto. Come se non bastasse, lo stesso anno, l’opera di Leonardo fu attaccata da un uomo con una bottiglia di inchiostro, sempre sul vetro che la separa dalla variopinta umanità che visita il museo.

Nel 1914 Mary Richardson, una suffragetta, usò invece una mannaia per danneggiare il capolavoro di Diego Velázquez, la Venere allo specchio. Sette “coltellate” inferte alle nudità della donna ritratta nel XVII secolo furono la reazione della Richardson contro l’arresto dell’allora leader delle suffragette Emmeline Pankhurst. «Ho cercato di distruggere l’immagine della donna più bella della storia mitologica come protesta contro il governo per aver distrutto la signora Pankhurst, che è il personaggio più bello della storia moderna» dichiarò successivamente.

Il celebre Guernica di Pablo Picasso è stato preso di mira nel 1974 da “un certo” Tony Shafrazi, oggi uno dei nomi più importanti del mercato dell’arte. Shafrazi allora spruzzò con uno spray rosso le parole «KILL LIES ALL» sul dipinto mentre era in mostra al MoMA di New York, protestando per la grazia concessa al soldato americano William Calley, condannato per il suo coinvolgimento nel massacro di My Lai in Vietnam. Il vetro protettivo conservò l’aspetto in “bianco e nero” dell’opera.

arte attivismo guernica

Vuol dire che possiamo ritenerci fortunati se gli odierni attivisti ambientalisti non sono pericolosi come lo sono stati altri attacchi al mondo dell’arte? No, ma vuol dire che dobbiamo fare una serie di valutazioni senza cascare nelle facili definizioni di “squilibrati” o “terroristi” affibbiate in passato. 

È un dato di fatto: i manifestanti sperano che le proprie azioni estreme stimolino i governi ad affrontare l’incombente catastrofe climatica, ma l’unico risultato che hanno ottenuto è la polarizzazione del pubblico sull’aggressione alle opere d’arte, spostando l’attenzione nettamente fuori dai temi delle campagne ambientaliste.

Servono le azioni dirette contro le istituzioni artistiche?

Nel 2011 un gruppo di manifestanti ha tenuto un sit-in di 25 ore alla Tate Modern per protestare contro la partnership del museo d’arte londinese con la British Petroleum. Alla fine i legami con il colosso del petrolio si sono interrotti e successivamente anche altre istituzioni culturali di un certo livello hanno cessato le loro collaborazioni con le compagnie petrolifere. È ovvio, non basta: queste grandi aziende continuano a fare profitti a discapito del benessere del nostro Pianeta.

Quando gli attivisti di diversi movimenti ecologisti hanno deciso di attaccare direttamente le opere d’arte perché “bisogna scegliere tra la difesa dell’arte e la difesa del Pianeta”, hanno posto un interrogativo certamente critico, mediaticamente efficace ma dannoso per l’attivismo in sé, capace solo di perdere popolarità a vantaggio dell’opinione di chi vede negli ecologisti solo degli eco-terroristi

Perché scegliere tra arte e vita quando l’arte è essa stessa una parte così importante di tutte le nostre vite? Non possiamo arrenderci al fatto che non sia possibile un attivismo “appropriato”, per le cause più disparate, lontano dalle manifestazioni apertamente violente (come accadeva molto spesso decenni fa in Occidente), che non sia l’ostentazione del corpo e della nudità, che non sia darsi fuoco rischiando molto, se non tutto, che non sia il lancio del cibo sulle opere d’arte (anche) per un rapido boom di click.

Inoltre, tra estremismi, ci sono anche le preferenze di un pubblico sempre più materialista, preoccupato di un’opera d’arte inestimabile distrutta – ignorando l’esistenza dei vetri – e meno attento all’umanità delle cause e delle stesse persone. Tristemente, la zuppa sui Girasoli ha portato più attenzione alla causa climatica rispetto alla fine di Wynn Bruce, un manifestante per il clima che si è incendiato davanti alla Corte Suprema lo scorso aprile, morendo proprio come successe in occasione del gesto estremo del monaco buddista vietnamita Thích Quảng Đức nel 1963.

Sugli artisti della distruzione

Oltre un secolo di prove scientifiche sostengono che le attività umane hanno causato un rapido surriscaldamento terrestre. Ci troviamo davanti a inverni più freddi ed estati più calde, disastri naturali come uragani, tsunami e siccità più frequenti e più devastanti. Inoltre, le condizioni climatiche estreme continueranno a uccidere e costringere milioni di persone a emigrare. E molte azioni chiave dai Summit internazionali tardano ad arrivare, accrescendo quel sentimento di ostilità, talvolta futilità e frustrazione di importanti ambienti dell’attivismo per il clima.

Migliaia di importanti opere d’arte – dal valore di una villa, o di una supercar – sono ancora oggi esposte senza la protezione di alcun vetro. Ciò non significa che ci sono tantissime opere esposte al pericolo degli “squilibrati”: è il segno che gli attacchi degli attivisti sono scelti con cura affinché non distruggano alcun bene dell’umanità, quali sono tutte le opere d’arte recenti e meno recenti. Scelte e reazioni dimostrano ancora una volta che quando si attacca qualcosa di grande valore (economico, sia chiaro) i media, la società – o meglio, questa società – riesce a schierarsi subito senza alcuna riflessione contro chi sta deturpando milioni o miliardi di euro su tela.

Non è una questione che implica il “ferire” l’arte, non lo è mai stata, ed è evidente. Sembra però che le proteste di molti movimenti ambientalisti contro le decisioni delle istituzioni siano operative nella normalità come se fossero separate da tutto ciò che accade oltre le mura delle proprie sedi, delle proprie teste, separati dalla vita della gente comune. Sembra che solo le follie, sul piano sia pratico che filosofico, possano arrivare a quel mondo là fuori, forse altrettanto “degenerato”.

Mentre mese dopo mese viene aggiornata dagli scienziati la nostra data di scadenza, su Twitter un argomento in tendenza che ha a che fare con la politica sulle emissioni viene rapidamente sostituito da qualcosa che riguarda una celebrità o un evento televisivo. Forse tutto questo potrebbe essere ben più folle che gettare zuppa sul vetro protettivo di un famoso dipinto. Se siamo di fronte a una fine autoinflitta, anticipata, è naturale che a un certo shock, chi sente di più il peso del futuro, i giovani, rispondano con altrettanto shock, energia contro energia, artisti della distruzione dei simboli contro artisti della nostra stessa estinzione.