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Inflazione, nuovi scenari a livello globale

Il conflitto in Ucraina ha modificato radicalmente gli scenari, già complicati per via della pandemia, sull’inflazione a livello mondiale. Che cosa ci attende?


Il 24 febbraio del 2022 il mondo è cambiato, radicalmente. Gli effetti di questo cambiamento si faranno sentire a lungo nei prossimi decenni e comporteranno, con buona probabilità, uno stravolgimento dei rapporti economici fra le aree del pianeta. La “Belle Époque” della globalizzazione, sviluppatasi a partire dalla fine degli anni ottanta del novecento, ha probabilmente vissuto il suo “colpo di pistola di Sarajevo”, proprio con l’inizio della “operazione militare speciale” annunciata da Vladimir Putin a reti unificate. Le conseguenze saranno complicate da prevedere.

La traiettoria di cambiamento era già iniziata con la crisi pandemica e si era rafforzata con il termine del 2021. Episodi quali la distribuzione dei vaccini o le strozzature nella catena di distribuzione delle merci a livello globale ne sono state un sintomo, aggravato dalle nuove politiche economiche che tendono a ridurre, proprio per aggirare in parte questi problemi, la dipendenza dalla componentistica estera. 

Esemplare, al riguardo, è la politica messa in campo a livello europeo con l’“European Chips Act”, per rafforzare la produzione e gli investimenti nel settore dei microchip, la cui dipendenza nei confronti dell’estremo oriente è sensibile, in un mercato centrale per quasi tutta la produzione e, in particolare, in quella militare. A livello accademico, la questione inizia a essere dibattuta e, di interesse, sono le posizioni espresse da Kenneth Rogoff in una pubblicazione del Fondo Monetario Internazionale. 

Proprio la globalizzazione – con la seguente riduzione (per qualche studioso compressione) del costo del lavoro – e l’indipendenza delle banche centrali sono i pilastri alla base del crollo dell’inflazione nell’Occidente e, come abbiamo visto, sembrerebbe che il primo pilastro si stia, quantomeno, erodendo. Alla luce di questo cambiamento, un impatto sull’inflazione era inevitabile. Gli effetti delle strozzature nella catena di distribuzione, gli eventuali costi di sostituzione e l’esplosione dei prezzi delle materie prime, in particolare quelle russe, stanno ulteriormente aggravando la situazione a livello europeo e mondiale. 

Scendendo nel dettaglio, l’effetto dell’esplosione di prezzo dell’energia è evidente guardando questo grafico, con il tasso d’inflazione, diversificato per settore, rilasciato da Eurostat nella sua pubblicazione del primo aprile. 

inflazione 2022

Come si vede, il prezzo dell’energia è vertiginosamente salito di oltre il 44% su base annua, con un effetto trascinamento anche sugli altri settori. La media risultante da questo scenario vede l’inflazione dell’area dell’euro crescere del 7,5% su base annua. Da notare è, inoltre, la salita lieve, ma costante, che hanno i prezzi nel settore del “Food, alcohol & tobacco”, influenzati in modo duplice: in primo luogo, dall’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari, sotto pressione per il conflitto fra Russia e Ucraina (tra i principali produttori mondiali); in secondo luogo, come gli altri beni del paniere, dalla crescita dei costi di produzione dovuti al caro energia.

Andando a verificare ulteriormente, al netto della componente energia, l’inflazione crescerebbe “solo” del 3,4%. Il dato dell’inflazione complessiva nell’eurozona nasconde dei picchi non indifferenti di alcuni Stati membri dell’Unione: i Paesi baltici presentano un differenziale in doppia cifra (la Lituania addirittura del 15,6%), i Paesi Bassi toccano quasi il 12% (11,9%, per la precisione) e la Spagna è prossima alla doppia cifra (9,8%). 

Per rendere più chiaro il quadro e fare qualche raffronto, l’inflazione già acquisita in Italia per quest’anno è al 5,3%, il dato più alto dal 1995. Probabilmente il dato finale sarà superiore e per trovare un andamento inflattivo simile bisogna tornare indietro al 1990, se non ad anni precedenti. Anche per il nostro Paese, il quadro delineato dall’Istat non lascia adito a dubbi: «l’accelerazione dell’inflazione su base tendenziale è dovuta anche questo mese prevalentemente ai prezzi dei beni energetici (la cui crescita passa da +45,9% di febbraio a +52,9%), in particolare a quelli della componente non regolamentata (da +31,3% a +38,7%), e, in misura minore, ai prezzi dei beni alimentari…».

Rimanendo sul continente europeo, una forte crescita dell’inflazione è evidente anche nel Regno Unito. Nel mese di febbraio, il Consumer Prices Index (CPI), rilasciato dall’Office for National Statistics, ha visto una crescita del 6,2% rispetto all’anno precedente e dello 0,7% rispetto al mese di gennaio. Analizzando le serie storiche, si tratta del maggiore aumento dal 1992.

Anche in questo caso i due driver principali possono essere rinvenuti nel prezzo dell’elettricità, cresciuto del 19,2%, e del gas, aumentato del 28,3%. Nel caso del Regno Unito (una dinamica simile avviene negli Stati Uniti come vedremo a breve), la crescita è determinata più dall’esplosione globale del prezzo che da una dipendenza delle forniture russe, che è quasi del tutto assente per la sua economia.  

L’andamento dell’inflazione al di fuori dell’Europa mantiene lo stesso identico passo che al suo interno. La crescita dei prezzi negli Stati Uniti ha raggiunto il 7,9% su base annua nel mese di febbraio ed era prevista oltre l’8% nel mese di marzo: secondo Bloomberg, infatti, la crescita si attesterà sull’8,4% su base annua, anche se dovrebbe calare nei prossimi mesi.

In realtà, il dato di marzo ha superato le attese, segnando una crescita annuale dell’8,5%. Anche in questo caso, è il settore energetico a trainare con una crescita del 32% (25,6% a febbraio), seguito dalla crescita del settore alimentare che segna una crescita dell’8,8% (7,9% a febbraio). Per fare qualche raffronto, se la crescita del mese di febbraio è la più alta dal gennaio del 1982, quella di marzo è la più alta da dicembre del 1981.

Nei prossimi mesi l’inflazione non si fermerà. Il conflitto fra Russia e Ucraina non sembra destinato a stabilizzarsi nel breve periodo e i suoi effetti continueranno a riverberarsi anche nel futuro. Anche se gli aspetti militari dello scontro bellico dovessero arrestarsi, il confronto commerciale e le sanzioni difficilmente vedranno una fine nel breve periodo. La politica di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, portata avanti a livello europeo, per quanto renderà il continente meno vulnerabile a livello politico, avrà certamente un impatto sui costi. Se l’Unione dovesse alla fine concordare su un embargo totale dei prodotti energetici russi, l’impatto inflattivo sarà sostanzioso. 

A esacerbare ulteriormente la situazione è l’andamento pandemico tornato rampante nella seconda economia mondiale: la Cina. Il blocco di vaste aree del Paese e, in particolare, di Shanghai, hanno e avranno una forte ripercussione sulle catene di rifornimento mondiale. Shanghai è uno dei porti principali di transito e stoccaggio delle merci da e verso la Cina e la sua chiusura sta già troncando una serie di forniture internazionali. Anche questo, a cascata, comporterà un aumento importante in termini inflattivi.

Il forte incremento dei prezzi non potrà non essere sentito anche a livello salariale: senza una rivalutazione che tenga conto dell’aumento dei prezzi, il crollo del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati sarebbe drammatico. Ne conseguirebbe una forte riduzione della domanda per consumi e a cascata, una probabile recessione economica. I governi dei Paesi occidentali e le Istituzioni europee dovrebbero tenere presente che questa inflazione sarà, probabilmente, di natura strutturale e non potrà essere momentanea. Quindi, un recupero del potere di acquisto di salari e pensioni si potrebbe rendere necessario. 

In assenza di una forte misura in quella direzione, il rischio sarebbe quello di una decisa mobilitazione sindacale in ogni Paese e un eventuale “autunno caldo”, con conflittualità crescente dagli effetti economici non prevedibili. Gli impatti politico-elettorali di un ulteriore impoverimento dei ceti medi e popolari potrebbero essere “rivoluzionari”.

In conclusione, quello a cui assistiamo e assisteremo nei prossimi mesi e (con buona probabilità) anni, è un cambiamento radicale nella struttura di produzione e nel dipanarsi della catena del valore a livello planetario. Molte delle produzioni verranno “rilocalizzate” all’interno degli Stati, in particolare quelle a forte interesse strategico e militare, soprattutto se a livello mondiale dovesse acuirsi una contrapposizione fra Occidente e Oriente, in cui per “Oriente”, oltre la Federazione Russa, si intenda anche la Repubblica Popolare cinese e, chissà, forse anche l’India. 

Questo comporterà accettare di pagare una manodopera locale più cara, assorbendone il costo nel prezzo finale, con una conseguente spinta inflattiva. Servirà del tempo per riassestare il livello dei prezzi e fermare la spirale inflazione-salari che si dovrà in ogni caso innescare per compensare le fiammate inflattive attuali. Si prospettano scelte complicate per i banchieri centrali che dovranno usare una politica monetaria accorta nei loro provvedimenti per arrestare l’inflazione senza deprimere eccessivamente i consumi e, quindi, le economie. Veramente complesso risulterà, infine, rimettere il “genio inflazione” nella sua “bottiglia”. 

Con buona pace di Francis Fukuyama, dopo qualche decennio di apparente stasi, sembrerebbe che la storia non soltanto non sia finita, ma che addirittura sia ripartita e, con essa, l’inflazione.


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