Balkan People in Italy, la community che dà voce ai Balcani e all’Est Europa

Nel 2021 nasce Balkan People in Italy, la community che riunisce le persone provenienti dai Balcani in Italia. Ne parliamo con Valentina, la fondatrice della pagina.


Se nessuno ti dà il microfono, te lo devi prendere da solo. Con queste poche parole è possibile riassumere la storia di Valentina, fondatrice di Balkan People in Italy (@balkanpeopleinit), la pagina Instagram che riunisce le persone balcaniche in Italia e non solo. 

In un Paese che fatica a rappresentare tutti i suoi cittadini, tra cui le persone dell’Est Europa, Balkan People in Italy è una realtà che riesce a unire persone che sentivano da tempo la necessità di raccontarsi e decostruire una narrazione dannosa e sbagliata.

Si tratta di una community nata nell’estate del 2021 che smonta stereotipi e pregiudizi nei confronti delle persone dell’est focalizzandosi sul senso di appartenenza e su cultura e tradizioni, piuttosto che su guerra e conflitti. Abbiamo intervistato Valentina per farci raccontare la storia di questa pagina e la narrazione dei Balcani in Italia, tra razzismo, sessismo e il bisogno di cambiare punto di vista.

La nascita della nuova community  

Valentina racconta che la pagina è nata da un’esigenza molto forte di rappresentarsi, durante un processo di ricostruzione della propria identità. Il primo passo di questo processo è stato la scelta di avvicinarsi a diverse comunità di origini straniere, dove i membri raccontavano le loro difficoltà di integrazione e il razzismo subito quotidianamente, rivedendosi appieno in quella sofferenza. 

«Le persone raccontavano le loro problematiche legate al razzismo e le difficoltà di integrazione e io pensavo “oh cavolo, ma anche io ho sofferto in questo modo!”. Mi sono sentita pronta a creare una community […], quindi ho creato la pagina.

Ho iniziato a vedere che le persone volevano interagire e sentirsi parte di qualcosa», ci spiega Valentina, che con la sua community ha creato uno spazio in cui parlare e confrontarsi, anche sulle problematiche che affliggono la comunità balcanica dall’interno, spesso molto disgregata. «Ho puntato sul raccontare ciò che ci lega, invece dei conflitti. Questo ha fatto sì che si creasse una rete di persone che si sono potute sentire per la prima volta parte di qualcosa, che le facesse sentire a loro agio e meno sole».

Di solito, infatti, i Balcani vengono raccontati solamente tramite storie di guerre e conflitti, mettendo in luce solo aspetti negativi della storia di queste comunità e dando spazio a un’unica visione eurocentrica.

«A causa dei conflitti e dei vari gruppi etnici, noi siamo cresciuti con al massimo alcune comunità di riferimento ma non erano abbastanza. […] Partendo dal presupposto che la guerra fa parte di noi e dei nostri corpi questo vuol dire che io e un’altra persona possiamo anche avere avuto un’educazione volta a odiarci, però come nuove generazioni noi abbiamo la possibilità di scoprire invece che il dolore che ha provato l’altra persona è lo stesso che ho provato io. Noi ci incontriamo validando quel dolore e rendendoci conto che è la stessa cosa».

Il lavoro di Balkan People in Italy tenta di cambiare prospettiva riunendo tantissime persone di origine balcanica e dell’Est Europa, dando loro –  finalmente –  un luogo in cui esprimersi. Nella pagina è possibile leggere diversi post di testimonianze ed esperienze di persone di origine balcanica che condividono con l’intera comunità, e non solo, un pezzo della propria storia.

Razzismo e stereotipi contro un’intera comunità

È importante ricordare che, come sottolinea la fondatrice, nonostante il nome la community riunisce chiunque si identifichi con l’Est Europa, soprattutto perché i pregiudizi e gli stereotipi non conoscono confini e non vi sono differenze tra le discriminazioni subite dalle persone provenienti dai Balcani con quelle provenienti da tutto l’Est Europa. «Ci chiamano rumeni, albanesi di m***a, quindi noi siamo la stessa identità, quando veniamo razzializzati. Siamo un tutt’uno che può raccontare questo disagio». Il racconto eurocentrico nei confronti di queste comunità, infatti, è denotato da una approssimazione della loro identità, una mancata distinzione tra le nazioni dell’est.

Se si viene insultati con gli epiteti di cui sopra, non si sta attaccando la persona in quanto rumena, in modo specifico, ma in generale in quanto persone provenienti dall’est Europa ed etichettate in un certo modo. 

Valentina ci racconta che il razzismo subìto dalle persone di origine balcanica è lampante fin dall’infanzia. La parte più dolorosa è che molte persone si sono dovute nascondere, omettendo la propria vera identità al fine di proteggersi. «Nel mio caso l’esperienza è stata negativa già da quando ero piccola. Grazie al mio colore della pelle ho potuto attuare questa sorta di mimetismo […] per proteggermi e per non far emergere le mie origini.

Questo è stato molto doloroso. Il punto fondamentale è che tanti di noi l’hanno fatto e non ce ne siamo accorti fino alla creazione di questa pagina». Queste sono storie comuni che stanno uscendo adesso grazie alla comunità che si è formata, ma è ancora difficile far capire cosa significhi subire queste micro e macro aggressioni giornaliere.

La necessità di nascondere la propria identità spesso nasce dalla rappresentazione mediatica e dalla narrazione proposta della comunità balcanica. Valentina evidenzia che vi sono due tipi di narrazione: la prima è quella razzista tipica dei media contaminata «dai soliti stereotipi, per non parlare del sessismo o della rappresentazione donna-oggetto; oppure quando si parla di queste aree geografiche c’è quella pretesa [di persone esterne alla comunità] di volerci raccontare perché le nostre aree sono interessanti e fa quasi “figo” saperne su guerre e conflitti riguardanti l’Unione sovietica o l’ex Jugoslavia».

È proprio nella narrazione proposta che vengono messi in luce quei fattori discriminatori e impregnati di pregiudizi che rendono ancora più difficile l’integrazione delle donne dell’est. Le donne dell’est vengono dipinte o come religiose e sottomesse, dedite al proprio marito, oppure come donne di facili costumi, prostitute. «Viene supposto, in ragione alla propria origine, che le donne dell’est, così come le donne nere, siano più inclini ad amare il sesso. Infatti, in Europa occidentale c’è un’alta richiesta di prostitute dell’Est Europa e dalla Nigeria, richiesta che ha portato allo sviluppo delle tratte delle donne e al traffico di esseri umani».

Questa narrazione della donna dell’Est influenza la vita delle donne balcaniche fin da piccole, a cui vengono spesso fatte delle proposte indecenti proprio per la loro appartenenza etnica.

Inoltre, nella narrazione della comunità dell’est è sempre assente la comunità LGBT. Valentina mette in luce questo aspetto focalizzandosi, da donna queer, proprio su come le donne queer, le donne trans, le donne che decidono di stare con altre donne, non vengano prese in considerazione anche a causa di un altro stereotipo, quello nei confronti della religione ortodossa, professata in molte aree dell’Est Europa.

La religione ortodossa viene etichettata da molti, in occidente, come una religione più rigida e chiusa rispetto al cattolicesimo, facendo credere che non possa esistere una persona omosessuale e ortodossa allo stesso tempo. La fondatrice però porta un esempio diverso dalla sua esperienza personale, riguardo all’essere queer nella sua comunità. «Tante volte ci siamo sentiti più al sicuro a dirlo nei nostri Paesi di origine che qua. Io personalmente ho potuto dirlo ad amici e parenti che sono ortodossi e magari anche praticanti e non ho mai avuto alcun tipo di problema». Bisogna infatti scindere il governo dal popolo, che molto spesso ha un pensiero contrastante a quello di chi li rappresenta.

L’accoglienza degli ucraini e il cambio parziale della narrazione

In questi giorni si è parlato molto dell’accoglienza degli ucraìni in Italia, che fino a prima dello scoppio del conflitto erano, anche loro, vittime del razzismo e degli stereotipi di cui le persone dell’Est Europa soffrono ogni giorno. Il conflitto odierno sembra aver cancellato questo razzismo, almeno nei confronti degli ucraini. Una strategia politica e un astuto cambio di paradigma che le istituzioni hanno attuato per «dare un segnale forte al nemico [la Russia], quindi in questo caso l’accoglienza è come un torto». 

Questo momento di crisi e la conseguente accoglienza concepita in questo modo ha portato a dividere ancora di più le persone che scappano dai conflitti, tra chi viene considerato un rifugiato di serie A e uno serie B, non meritevole dunque dello stesso trattamento.

«È stato tragico perché il fatto di venire disumanizzate in quanto persone provenienti da quei luoghi di guerra, ed essere chiamati incivili o che scappano per finta è tremendo» ha concluso Valentina, spiegando cosa si prova ad assistere a tutta questa ipocrisia soprattutto da parte del governo, che sembra essersi dimenticato delle guerre balcaniche di non tanti anni fa, e che ancora rilascia dichiarazioni infelici su altri conflitti in corso in altre aree del mondo.

Conoscere e far conoscere contro gli stereotipi

Per poter iniziare a cambiare narrazione bisogna conoscere la storia e visitare luoghi di interesse, anche quelli esclusi dai circuiti turistici. «I Paesi dell’Est non sono conosciuti. Spesso si va in vacanza negli stessi posti, come Budapest, Praga, ma raramente si va a visitare città come Tirana e Sofia. […] Per poter avvicinarsi a questi posti sarebbe necessario conoscere un po’ di storia, come quella dell’influenza ottomana sui Balcani, che ha avuto un impatto anche a livello linguistico e culinario. Per non parlare poi di tutte le danze, i costumi e i sincretismi religiosi che caratterizzano queste aree e che, anche grazie a questa pagina, vengono più valorizzati e fatti conoscere».

Nonostante ciò è ancora difficile farsi sentire in un Paese che, per parlare di queste tematiche, non interpella mai i diretti interessati. «Una persona mi ha detto: “Vale, devi imparare a non richiedere lo spazio, devi prendertelo!”. È terrificante che la nostra comunità non sia ancora a quel punto, noi non veniamo interpellati spesso, non veniamo chiamati, invitati, in quasi niente», conferma amareggiata Valentina, che proprio per questo nella sua pagina riunisce già almeno 70 persone dell’area dell’est che hanno voglia di dare una svolta a questa narrazione. 

Sebbene dunque si cerchi sempre di polarizzare il dibattito, di mettere un popolo contro l’altro, di alimentare conflitti e stereotipi verso un’area invece immensa e poco conosciuta, la realtà di Balkan People in Italy riesce a far scoprire, in chiave positiva, la storia di tantissime persone che finalmente possono esprimersi, mettere insieme quei frammenti che di solito sono sempre sparsi e nascosti da stereotipi e narrazioni che alimentano razzismo e pregiudizi nei confronti di comunità e culture diverse da quelle autoctone. «Io cerco sempre di ricordarmi che queste sono tutte tattiche divisive, politiche, becere, per scopi precisi, è una banalizzazione delle narrazioni. L’importante è andare per la nostra strada e non dividerci».


Immagine in copertina di 350 Vermont