Ucraina, paura e preoccupazione per i diritti delle donne transgender

Il dramma nel dramma per centinaia di donne transgender in fuga dall’Ucraina respinte al confine e costrette a combattere contro i russi.  


Dieci milioni di persone in fuga dalle loro abitazioni, più della metà bambini sfollati e a rischio di abusi, oltre 1035 le vittime finora registrate tra i civili. Questo approssimativamente è il bilancio provvisorio delle vittime e degli sfollati dall’inizio del conflitto in Ucraina. Come qualsivoglia conflitto, anche questa volta a pagarne il prezzo saranno i civili, sui quali continuano ad abbattersi drammatiche conseguenze per i diritti umani. Tra questi, le categorie maggiormente a rischio sono, come in qualsiasi periodo di crisi, le persone vulnerabili e in particolare, le minoranze.

Nei giorni scorsi le preoccupazioni per gli abusi e le violenze subiti dalle donne cisgender e transgender si sono sempre più intensificate. Alle voci sugli innumerevoli stupri commessi da militari russi su donne civili e su soldatesse ucraine si sono poi sono aggiunti i timori per la sicurezza delle donne transgender, molte delle quali rischiano di non riuscire a fuggire dal Paese. 

Le testimonianze al confine

Centinaia di donne transgender hanno, infatti, riferito di essere state respinte lungo la frontiera nel tentativo di lasciare il Paese alla ricerca di riparo altrove. Il motivo è presto detto: nonostante esse abbiano completato il processo di transizione e si riconoscano nel genere femminile, sui loro documenti di riconoscimento si legge ancora la lettera “M”. Pertanto, continuano ad essere riconosciuti come uomini e come tali, respinti e spediti al fronte. Talvolta, poi, nonostante siamo in possesso di documenti che attestino formalmente la loro identità di donne a tutti gli effetti, subiscono ugualmente e irragionevolmente trattamenti pregiudizievoli e vengono rispedite indietro.

Dall’inizio del conflitto, il presidente Zelensky ha imposto la legge marziale, ovvero un insieme di norme introdotte – o sospese – in un Paese per straordinarie esigenze di ordine pubblico, di cui la guerra è l’esempio. Tra queste vi è il richiamo alle armi di tutti i cittadini di sesso maschile di età compresa tra i 18 e i 60 anni. 

Proprio in virtù di quest’imposizione, la polizia di frontiera blocca le donne transgender al confine iniziando a esaminare il loro aspetto fisico con trattamenti che violano la dignità e il rispetto che ogni essere umano meritebbe. 

«La polizia di frontiera ti spoglia e ti tocca ovunque. Gli si può leggere in volto che si stanno chiedendo “Che cosa sei?” come se tu fossi qualche tipo di animale o qualcosa di simile». Con queste parole, Judis ha raccontato al The Guardian la paura e l’umiliazione vissuti quando la polizia l’ha fermata e ha ispezionato il suo corpo in cerca di un dettaglio che confermasse il suo essere uomo nonostante fosse in possesso di un valido certificato di nascita che attestasse di essere una donna. Judis ha raccontato la violenza con cui la polizia ha controllato il suo corpo, tirandole i capelli per controllare che non fossero una parrucca. 

Una testimonianza simile a quella di Judis, resa sempre al The Guardian, è quella di Alice e sua moglie, bloccate dalla polizia nel tentativo di attraversare il confine con la Polonia. Alice racconta di essere stata condotta in un ufficio dove tre ufficiali hanno chiesto a lei e alla moglie di togliersi la giacca e hanno iniziato a controllare le loro mani, braccia, collo per verificare la presenza del pomo d’adamo e palpato il seno. Al termine dell’ispezione hanno detto loro di considerarli uomini rendendo vano ogni tentativo di spiegazione.

La situazione oltre il confine

Le numerose testimonianze e gli appelli di aiuto pubblicati da diverse organizzazioni non governative non hanno tardato a raggiungere l’Italia generando diverse prese di posizione da parte della politica.

Le più discutibili risultano essere  le posizioni contrarie che alimentano sterili questioni ideologiche, come quella del senatore leghista Pillon il quale, rifiutandosi di riconoscere le donne transgender in quanto tali, considera giusto che alle stesse venga impedito di lasciare il Paese per rimanere a combattere.

Altri politici hanno, invece, sottolineato l’urgenza di un intervento atto a contrastare e prevenire le violazioni commesse al confine. Il portavoce del Partito gay per i diritti LGBT+, Fabrizio Marrazzo ha lanciato un appello al ministro Di Maio chiedendogli di intercedere con il governo ucraino, anche eventualmente inviando medici italiani volontari che certifichino le persone trans consentendogli di uscire dal Paese.   

Anche il deputato Alessandro Zan è intervenuto denunciando l’evidente violazione dei diritti umani in atto in Ucraina e dichiarando di stare ragionando con la Farnesina circa la possibilità di favorire dei corridoi umanitari per consentire a queste persone di lasciare il Paese.

La tutela dei diritti della comunità LGBTQI+ in Ucraina

La condizione della comunità LGBTQI+ in Ucraina, sebbene migliore di quanto accada in Russia, non è così promettente. Secondo la International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association, l’Ucraina figura al trentanovesimo posto su 49 Paesi europei per il trattamento generale riservato ai diritti della comunità LGBTQI+. Basti pensare che lo Stato ancora non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Fino al 2017, stante le disposizioni normative contenute nell’ordinanza n. 60 emanata dal Ministero della salute ucraino, per ottenere il riconoscimento del loro status e sottoporsi all’intervento chirurgico di riassegnazione di genere, le persone transgender erano costrette a sottoporsi a trattamenti degradanti, tra i quali l’obbligo di sottostare a lunghi periodi di valutazioni in istituti psichiatrici e sterilizzazioni irreversibili.

La situazione sembra aver subito un leggero miglioramento quando questi trattamenti sono stati in parte mitigati a partire dal 2017. Tuttavia, ancora oggi le persone transgender che vogliano ottenere il riconoscimento della loro identità di genere devono sottoporsi a esami psichiatrici ambulatoriali che potrebbe comunque culminare in ricoveri ospedalieri. 

I rischi per le persone transgender

Per le persone transgender costrette a restare in Ucraina i rischi sono innumerevoli e non riguardano solo la loro sicurezza.

Innanzitutto, si teme per la loro sorte qualora Putin riuscisse a prendere il controllo del Paese. Basti ricordare che, nel 2013, Putin varò una legge contro la “propaganda omosessuale” a seguito della quale si considerava reato la promozione dei diritti della comunità LGBT e la fluidità di genere veniva dichiarata un crimine contro l’umanità. Il termine propaganda, appositamente vago, lascia alla discrezione del giudice la condanna dei più disparati comportamenti e soprattutto, il potere di bandire e vietare preventivamente tutti quei comportamenti e quegli eventi da loro considerati come un potenziale rischio di “propaganda gay”. 

Il timore è, inoltre, accresciuto dal fatto che, già all’inizio dell’attacco, i servizi segreti americani fossero al corrente dell’esistenza di liste di ucraini nel mirino dei russi, tra cui anche membri della comunità LGBTQI+. 

In secondo luogo, si teme per la salute delle donne transgender. Infatti, la guerra ha comportato una grave difficoltà di reperimento di farmaci e, di conseguenza, una drastica riduzione delle disponibilità di ormoni di cui le persone transgender hanno necessità. L’interruzione, infatti, dei trattamenti ormonali cui si sottopongono comporta gravi pericoli alla loro salute.

A ciò si aggiunge un altro rischio. Anche quando le donne transgender riescono a varcare i confini, la loro condizione resta comunque preoccupante a causa della difficoltà di trovare dei rifugi sicuri. Quelle che riescono a raggiungere Paesi come la Polonia, non vanno incontro di certo a una facile realtà.


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