Siria, Sweida ritorna a protestare contro la dilagante corruzione e crescente povertà

As-Suwayda, (detta anche Sweida) città della Siria sud-occidentale, è oggi centro di proteste contro il carovita, le crescenti condizioni di povertà e la dilagante corruzione.


Mentre gli occhi del mondo intero sono puntati sulla nuova terribile guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina, la Siria piange oggi il suo undicesimo anno di guerra.

Era il lontano marzo 2011 quando il governo siriano, guidato dal Presidente Bashar al-Assad, è stato assalito da una serie di proteste senza precedenti a favore della democrazia nel Paese; proteste cui le autorità hanno reagito con ampio uso di forze di polizia e militari provocando una escalation di violenze confluite poi nella guerra civile.

Undici lunghi anni di guerra che hanno provocato in Siria centinaia di migliaia di morti e sfollati, distruzione e povertà senza pari. Secondo il Global Humanitarian Overview 2022, l’economia siriana da anni è preda della svalutazione, dell’aumento dei prezzi, della disoccupazione, con un ingente accrescimento dell’insicurezza alimentare, che ad agosto 2021, ultimo dato disponibile, colpisce 12.8 milioni di persone.

Tragica la situazione delle infrastrutture civili e dell’approvvigionamento idrico; gran parte della popolazione non ha accesso ad acqua potabile, cibo e assistenza sanitaria, specie nei centri per sfollati. La pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione con appena il 2 per cento della popolazione completamente vaccinata contro il COVID-19. E come se non bastasse, ad alimentare la fragilità del Paese già in ginocchio, si sono aggiunte le sanzioni internazionali; la sovrapposizione di tali fattori ha provocato infine il crollo totale della moneta siriana.

La Siria, così sfamata e stremata, con la popolazione in miseria, vede crescere il suo dissenso contro le linee del governo volte alla riduzione delle sovvenzioni pubbliche. Questa è la realtà siriana dopo un decennio di guerra.

Come gridano i manifestanti «la gente ne ha abbastanza». Ma il futuro si prevede persino peggiore: «A causa del deterioramento delle condizioni economiche – spiega l’analista Karam Shaar – dobbiamo aspettarci un aumento della criminalità e della militarizzazione del Paese».

Focolaio delle contestazioni è la città a maggioranza drusa di Sweida, già protagonista delle proteste due anni fa.

Era il giugno 2020 e nella città molti manifestanti chiedevano il rovesciamento del regime siriano ritenendo Assad responsabile della mancata risoluzione della crisi del Paese. I partecipanti, giovani sotto i 30 anni e tra questi molte donne, erano per lo più universitari o neolaureati senza lavoro facenti parte della classe media che negli ultimi anni aveva assistito a un impoverimento senza precedenti. Molti altri erano invece oppositori dello storico regime, provenienti dal partito comunista e da altri partiti di sinistra. Al contrario, gli attivisti della precedente rivoluzione del 2011 hanno preferito guardare gli eventi a distanza.

Nella città primeggiavano dunque slogan politici, si vedevano inoltre slogan patriottici che dichiaravano solidarietà con altre province del Paese, chiedendo il ritiro delle forze iraniane e russe; altri erano invece nuovi: “Pane, libertà e giustizia sociale”. Questi ultimi sono gli slogan che ritroviamo anche nelle proteste di oggi, che hanno come sfondo proprio le condizioni socio-economiche in cui versa la popolazione (il 90 per cento della popolazione è al di sotto della soglia di povertà).

Nei giorni scorsi, centinaia di persone si sono riversate in strada per contestare la decisione presa dal governo, all’inizio di questo mese, di escludere centinaia di migliaia di famiglie dal programma di sussidi statali. 

Il governo si giustifica affermando che il programma di sussidi, un tempo florido, è stato ridotto per alleggerire l’onere delle finanze statali duramente colpite dalle sanzioni internazionali e che comunque i tagli hanno colpito solo la parte ricca del Paese. Di diverso avviso i manifestanti, i quali affermano che la mossa del governo ha peggiorato la difficile situazione della popolazione sopravvissuta a un decennio di guerra devastante e che ora lotta per permettersi il cibo tra l’inflazione dilagante e l’erosione dei redditi.

I manifestanti hanno bloccato le strade con pneumatici incendiati e si sono riversati in piazza. I media locali trasmettono immagini di persone che issano le bandiere druse (la minoranza religiosa della regione) nonostante l’arrivo delle forze di sicurezza di Damasco; non ci sono stati scontri ma come afferma il leader Maroof «è una dimostrazione di forza e di oppressione inviare un numero così alto di forze di sicurezza invece di rispondere alle richieste della strada».

Gli stessi media riferiscono che la maggior parte dei manifestanti era gente che scendeva in piazza per la prima volta, gente disperata in cerca di una vita migliore e di democrazia per il proprio Paese. «Siamo stati spinti dal dolore della nostra gente e continueremo la nostra protesta pacifica fino a quando le nostre richieste non saranno soddisfatte», ha dichiarato un giovane manifestante. 

Il governo non ha commentato ufficialmente le proteste, tuttavia un consigliere di Assad ha scritto per un quotidiano locale esortando alla calma e affermando che le proteste potrebbero essere sfruttate dai governi occidentali, portando ad ulteriori crisi per il Paese.

Nel giugno del 2020, nonostante molti sostenitori dell’opposizione avessero accolto con calore le proteste di Sweida, una campagna guidata da altri esponenti dell’opposizione aveva criticato il movimento accusando i manifestanti di cavalcare l’onda della rivoluzione dieci anni dopo e dissuadendo così molti dall’unirsi alle proteste. 

Oggi, appelli a organizzare proteste sono stati lanciati in altre aree ben controllate dal governo come Tartus e Latakia, ma difficilmente queste proteste si diffonderanno in tutto il Paese; la gente è ancora scottata dagli anni di guerra e strangolata dalla povertà, senza dimenticare che, già due anni fa, diversi attivisti erano stati arrestati.

Una donna manifesta con il suo bambino tenendo in mano un pezzo di pane con sopra scritto: «non è rimasto più niente per i poveri»; «non possiamo vivere – urla alla folla un manifestante – vogliamo vivere nel nostro Paese con dignità e diritti per tutti».

Questo l’eco, queste le immagini che ci raggiungono oggi dalla lontana e dimenticata Siria. La Siria destinata a una guerra senza fine.

Saida Massoussi


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