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America is back? La politica estera di Biden alla prova dei fatti

A poco più di un anno dall’insediamento alla Casa Bianca di Joe Biden, analizziamo i risultati della sua politica estera, riassunta dalla formula “America is back”, contrapposta allo slogan “America First” di Donald Trump.


Dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca, Biden non ha mai mancato di declamare il programmatico impegno degli Stati Uniti nella riparazione dei rapporti con i propri alleati, minati o allentati a causa della condotta tenuta dalla presidenza Trump. Dunque, dopo quattro anni di complessivo allontanamento dagli affari internazionali, gli Stati Uniti dell’amministrazione Biden ambiscono ufficialmente a tornare al centro dello scenario globale.

Ci riescono? In parte sì, nonostante una generale incertezza nell’incedere in determinati scenari internazionali e la presenza di profonde fratture nella politica interna, le quali continuano a esercitare una significativa influenza anche sulla politica estera.

L’operato dell’amministrazione Trump ha certamente reso più complessa la gestione di questioni internazionali cruciali, come la gestione dei flussi migratori. Nonostante l’apprezzabile cambiamento nella narrazione del fenomeno, che dal tono sprezzante e offensivo di Trump è passato a una forma più rispettosa ma decisa con la presidenza Biden, la corrente amministrazione non è ancora stata in grado di agire efficacemente dinanzi ad una crescente crisi migratoria e umanitaria.

Mentre gli arresti al confine meridionale hanno raggiunto numeri da record, la politica estera di Biden su questo fronte sembra seguire il reiterato schema secondo il quale la questione migratoria non è una priorità; pertanto, allo stato attuale, non è chiaro se l’amministrazione abbia un piano efficace e puntuale per farci i conti.

Diversamente, è stata ripresa la gestione dei complessi rapporti tra Stati Uniti e Cina. L’eredità conflittuale lasciata dall’era Trump, anche in questo caso, predisponeva un nodo di questioni complesse da gestire e riordinare. A tal proposito, Biden ha scelto di ripristinare un orientamento più “tradizionale”, in netta contrapposizione all’andamento irregolare del suo predecessore. 

Sebbene l’America di Biden abbia l’intenzione di garantire un approccio multilaterale nella competizione con la Cina, il solo proposito, per quanto positivo, non è sufficiente – tale disegno richiede la pianificazione e l’esecuzione di operazioni estremamente complesse per rafforzare i legami bilaterali e la cooperazione e, in quest’area, non sono ancora stati registrati particolari successi.

La questione cinese richiede agli Stati Uniti un maggiore impegno nell’intessere e potenziare le proprie alleanze per far fronte alla competizione. Il discorso politico trumpiano ha sistematicamente ridotto la fiducia nutrita dai partner verso gli Stati Uniti, pertanto il ritorno alla diplomazia come principio costitutivo alla base delle relazioni internazionali statunitensi si rivela opportuno e necessario.


A tal proposito, durante il suo primo anno, l’amministrazione Biden ha intrapreso un efficace percorso di rivitalizzazione delle partnership statunitensi al fine di competere con la Cina in tutti i settori, abbandonando quindi la visione meramente transazionale delle proprie alleanze. Tra le operazioni degne di nota, è stato rafforzato il Quad, il forum di dialogo tra Stati Uniti, Giappone, Australia ed India e concluso il patto Aukus con Regno Unito e Australia, finalizzato a ‎sostenere interessi di sicurezza e difesa, basandosi su una ‎condivisione più approfondita dell’informazione e della tecnologia‎. 

La ricostruzione dell’immagine degli Stati Uniti nel contesto internazionale include inevitabilmente la questione dei diritti umani: in particolare, il boicottaggio diplomatico degli Stati Uniti alle Olimpiadi di Pechino e il sostegno a Taiwan sono stati accolti positivamente dai partner internazionali. 

Un altro importante passo verso il recupero della credibilità internazionale è stato compiuto in Medio Oriente. Il blitz vittorioso in Siria che ha portato all’eliminazione Hajji Abdullah, il “leader globale dell’ISIS” come descritto dagli Stati Uniti, ha contribuito al miglioramento dell’immagine di Washington nello scenario globale. Permangono comunque delle contraddizioni, come il divieto di vendita di armi che possano violare i diritti umani e il via libera a dette violazioni in Siria.

Resta evidente come il Medio Oriente rimanga un’area cruciale per l’interesse statunitense. In particolare, la delicata questione nucleare iraniana, dopo l’uscita degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump dal Piano d’azione congiunto globale (JCPOA), riporta l’attenzione della politica estera dell’era Biden sui negoziati per il ripristino della partecipazione statunitense al Patto, a proposito del quale i colloqui sono stati ripresi lo scorso novembre a Vienna.

Ma la contraddittorietà nella gestione della politica estera dell’era Biden ha avuto il suo exploit in Afghanistan. Sebbene la decisione del ritiro delle truppe statunitensi dal territorio afghano appartenga al suo predecessore, l’esecuzione da parte dell’amministrazione Biden ha reso evidente quanto tale operazione sia stata un fallimento.

La “dottrina Biden”, che guarda più al risanamento della politica interna che al perseguimento di conflitti periferici, poteva registrare un successo nell’operazione di ritiro, eppure la totale assenza di un opportuno piano di evacuazione e di un presidio antiterrorista statunitense nel Paese, integrato alle forze NATO e possibile leva nei colloqui di pace con i talebani, ha del tutto annullato la possibilità di un esito positivo.

Il mancato coordinamento sul ritiro delle truppe dall’Afghanistan ha minato significativamente l’immagine di Washington sullo scenario internazionale. A tal proposito, Biden ha intrapreso anche in questo caso una serie di azioni volte al ripristino della credibilità di Washington, sfruttando la minaccia dell’invasione russa in Ucraina.

La sistematica e aperta condanna delle reali intenzioni della Russia e la reiterata intenzione a lavorare in «coalizione e coordinamento con gli altri partner che la pensano allo stesso modo», una volta esplosa la guerra, si sono rivelati un sistema di narrazione efficace: infatti, la risposta generale di Biden è stata positivamente accolta dal fronte interno, nonostante questo sia dilaniato di profonde fratture e generalmente avverso al presidente. La condotta della politica estera statunitense in merito al conflitto con la Russia ha riproposto un’immagine di Washington come valido attore internazionale nel contesto occidentale.

La cooperazione nell’applicazione concertata delle sanzioni denota un ricompattamento delle alleanze in Occidente, prospettiva trascurata dall’amministrazione russa e per questo quanto mai cruciale nella risoluzione del conflitto. In particolare, la ricostituzione di rapporti sani con l’Unione Europea, dopo le divisioni e l’isolazionismo degli anni di Trump e nell’attuale contesto del conflitto russo in Ucraina, evidenzia quanto sia forte la necessità di intessere e mantenere legami ed alleanze multilaterali.

Se da una parte l’Unione Europea si riscopre come attore internazionale rilevante ed autonomo nella gestione del conflitto russo in Ucraina, tale evento storico ha comunque permesso il ripristino di un collettivo senso ideologico a difesa della democrazia.