Ucraina, il senso delle molotov

Sanzioni, colloqui in Bielorussia, ma a fare l’esito della guerra è stata finora la resistenza ucraina.


É l’alba del quinto giorno di combattimenti, in quella che per chi l’ha lanciata doveva essere una blitzkrieg. L’attacco, cominciato in quasi sincrono da tutti i punti possibili, doveva essere, agli occhi di Putin, immediatamente in grado di piegare la resistenza ucraina e di raggiungere l’obiettivo: un cambio di governo a Kyiv. 

Ma a bloccare il piano, in questa guerra fra Davide e Golia, un singolo elemento spicca fra gli altri nel sovvertire il bilancio militare, nonostante tutto. È un’arma invisibile e letale, non tenuta nel dovuto conto da chi non si è fatto remore nel tentare di distruggere una nazione intera e di cambiare la cartina politica dell’Europa a suon di bombe: lo spirito.

Putin ha prima di tutto bombardato gli aeroporti (civili) e altre infrastrutture strategiche in quella che per lui va chiamata “operazione speciale”, e subito dopo ha proposto alle Forze Armate ucraine un patto infame: prendete voi il potere, datemi Zelensky, e tutto questo finirà. Ma la risposta, che ormai risuona come un ritornello ossessivo nelle orecchie dei russi, è quell’andate a farvi f*ere nato come grido iconico dell’Isola dei Serpenti, indirizzato alla Marina russa e rimasto ultima parola in bocca a chi stava per morire.

Di spirito e di frasi iconiche ne abbiamo viste anche nel piccolo-grande Volodymir Zelensky, da cui molti non si attendevano la determinazione e il coraggio che sta mostrando, degno rappresentante di un popolo che ha dato a tutti lezione di dignità e di coraggio. “Ho bisogno di armi, non di un passaggio” risponde alla proposta di aiuto nella fuga offerto dagli americani quando era ormai chiaro che i russi volessero la sua testa. 

Un comico, un attore. Ma un bravo attore può essere tutto ciò che vuole. Se il suo personaggio ride, è l’attore stesso a provare dentro di sé il grande divertimento che deve mimare; se il suo personaggio è un capo di Stato in una situazione di guerra, sarà l’attore stesso a divenire saggio e determinato come chi deve guidare un Paese fuori da una minaccia esistenziale. Scegliete voi, è Zelensky un grande attore, o un grande Presidente? Fa poca differenza, il giovane Zelensky si è già cambiato d’abito e ha indossato un giubbotto antiproiettile per il palcoscenico più importante a cui un attore sia mai stato chiamato, quello che decide le sorti d’Europa.

Sì, perché a Kyiv si combatte per la sopravvivenza, ma anche per qualcosa di molto più concettuale e impalpabile, ma dalle conseguenze non meno tangibili: l’intero assetto geopolitico e ideologico d’Europa. 

Per questo, anche se i Javelin sono formidabili, i Bayraktar implacabili, c’è una bellezza speciale racchiusa nelle molotov. La molotov è rudimentale, è economica, è per tutti. La molotov è democratica. La molotov è inaspettatamente potente, soprattutto nelle mani di una madre di famiglia che difende la propria casa, o nelle mani di un volontario che difende la propria patria. La molotov è efficace perché è del popolo, e le sue fiamme sono una condanna incendiaria degli intenti dell’aggressore. 

La molotov è Stalingrado, e il suo scoppio suona la musica della resistenza popolare. E proprio un veterano della Seconda Guerra mondiale, con le sue mostrine, le sue stampelle e i suoi pochi denti, rompe lo specchio di ciò che è stato, ma adesso non è più, quasi piangendo dice: “per che cosa ho combattuto?”. 

In questo momento, il rublo cola a picco, alcune banche russe sono al collasso, i super ricchi ringhiano al responsabile della perdita dei loro amati quattrini; è la prima occasione in cui abbiamo prova di quanto forti possano essere i danni provocati da sanzioni. Danni tali da far pensare a un possibile ammutinamento, stavolta all’interno stesso del Cremlino, che proclama la messa in stato di allerta della deterrenza nucleare.

Ma la guerra è iniziata prima, in Ucraina, senza lo scudo delle sanzioni preventive, e con un chiaro e ripetuto messaggio “non metteremo in nostri boots on the ground”: gli ucraini hanno cominciato da soli. Certo, le contromisure non hanno tardato così tanto ad arrivare, ma le sanzioni non avrebbero sortito alcun effetto se Kyiv fosse capitolata sotto assedio, se Kharkiv avesse lasciato passare i convogli russi, se gli ucraini non fossero rimasti a difendere da soli il proprio Paese, coi javelin e i bayraktar, certo, ma soprattutto con le molotov e con la determinazione. Ecco perché è necessario sottolineare e apprendere questa lezione: la dignità e il coraggio possono spezzare ogni potere. 

Kharkiv, la mattina del 28 febbraio

Dal canto loro, fra le forze russe mandate al macello molti ragazzini che non sapevano dove sarebbero dovuti andare e cosa avrebbero dovuto fare, richiamati per le esercitazioni, che improvvisamente capiscono di essere stati mandati a morire per distruggere i propri vicini di casa. Le forze ammassate ai confini fino al 22 febbraio, giorno in cui Putin riconosce le “repubbliche” di Donesk e Luhansk, sono state tenute a lungo in un limbo terrificante, e sono andate incontro al loro destino ubriacandosi e scambiando benzina per cibo, magari proprio la stessa benzina che li avrebbe poi uccisi con una molotov. 

Si sa, la guerra la decidono i potenti, mentre a morire ci vanno i poveri; la guerra la vogliono i vecchi, che a morire ci mandano i giovani. Anche i temibili battaglioni ceceni, mandati in Ucraina con grande fanfara e immagini stile Signore degli Anelli, l’esercito di Sauron, hanno trovato la morte per mano della resistenza ucraina. 

Al fianco degli ucraini, gli hacker di Anonymous, che hanno più volte bloccato il sistema ferroviario bielorusso, hanno bloccato siti governativi russi, hanno sostituito le trasmissioni della tv russa con l’inno ucraino. E al fianco degli ucraini, le popolazioni di tutta Europa, e i coraggiosi manifestanti che hanno detto “niet” alla guerra nelle piazze della Russia stessa e anche da Minsk. Un’altra encomiabile dimostrazione di coraggio e volontà, gli arresti sono fioccati. Infine, le forze speciali bielorusse che gettano le proprie uniformi nei cassonetti.

Da Kyiv, intanto, le storie dal coprifuoco. Abbiamo parlato con Bohdan Nahaylo, direttore del Kyiv Post, che ci racconta la guerra dei giornalisti ucraini. «Molti di noi sono di qua, e hanno qui le loro famiglie, è molto difficile lavorare in mezzo a una guerra quando devi preoccuparti dei tuoi figli», spiega Nahaylo, mentre «il sito del Kyiv Post è stato attaccato più volte, e stiamo cercando di fornire aggiornamenti avvalendoci soprattutto dei social».


Le notizie più fresche le abbiamo soprattutto da alcuni cronisti coraggiosi che sono partiti alla volta di Kyiv, o di Odessa, o di Mariupol, per raccontare la guerra dal campo, che possiamo sentire dalle voci di Cristiano Tinazzi, di Vlady Maistrouk, vedere nelle foto di Roberto Travan. Perché l’informazione è un altro campo di battaglia, soprattutto quando l’intero piano di aggressione ha dovuto prima di tutto creare una sovrastruttura narrativa fantasiosa e insidiosa per cercare di far accettare e sostenere questo piano criminale, e per fortuna anche in questo campo di battaglia fatto di parole c’è chi sta combattendo al massimo delle sue forze per il bene di tutti noi.

Quale sia a questo punto la prossima mossa di Putin è imprevedibile. I colloqui che si stanno tenendo in queste ore con la delegazione ucraina non portano grandi speranze. Se Putin sarà di parola, rispetto alla minaccia lanciata nei confronti di qualsiasi Stato si opponesse alla sua aggressione all’Ucraina, non si sa ancora. Ma il responsabile di tutto questo pare essere in difficoltà, mentre la sconfitta della sua blitzkrieg e gli effetti delle sanzioni creano crepe all’interno della sua cerchia più ristretta. 

Putin si ritrova ad avere problemi anche con coloro su cui maggiormente contava: la Cina, con la sua sorniona ambiguità, che probabilmente sfrutterà la centralità della propria attuale posizione per negoziare altre faccende, con altri amici. Il voltafaccia del Kazakistan quello più epico, niente truppe per attaccare gli ucraini. 

In queste ore, che sono state definite da Zelensky quelle cruciali e definitive, Putin potrebbe perdere su tutti i fronti, potrebbe cadere vittima della tradizione kremlinista delle troike e delle purghe, ma potrebbe anche reagire come una belva feroce spaventata a morte, e premere il bottone rosso della Terza Guerra mondiale, se solo facesse un minuscolo “errore” di calcolo e debordasse in territorio NATO. Ma mentre il mondo col fiato sospeso attende gli sviluppi che verranno, possiamo stare tranquilli, a Kyiv c’è un intero popolo di eroi che ci protegge.