voli vuoti

Voli vuoti solcano i cieli europei

Mentre i voli nell’Unione Europea decollano senza passeggeri, la Commissione conferma la soglia del 64% per preservare gli slot acquisiti dalle compagnie aeree.


Da giorni si discute animatamente di un tema che ha scosso l’opinione pubblica su più fronti, ossia la silente presenza di centinaia di aerei vuoti, privi di passeggeri, che solcano i cieli europei al solo scopo di adempiere alle regole imposte dall’Unione. 

La notizia, che per sé stessa si impone alla cronaca come un paradosso dei nostri tempi, oltre a suggerire una riflessione sulla coerenza delle politiche dell’Unione Europea e sulla rigidità del suo impianto normativo, rivela i limiti di un sistema in cui sembra esserci ancora poca attenzione alle istanze delle persone fisiche e giuridiche, in nome di ciclici imperativi che tutelano la concorrenza, il libero mercato e, più in generale, la dimensione economica dell’Unione stessa. 

Il tema si è posto al centro del dibattito all’inizio del nuovo anno, quando Lufthansa ha lanciato un comunicato in cui ha dichiarato che circa il 5-6 per cento di tutte le rotte previste per la stagione invernale, pari orientativamente a 18.000 voli, sarà garantito pur se “non necessario”. In altri termini, gli aeromobili decolleranno, nonostante lo scarso numero di passeggeri renda lo svolgimento del servizio sostanzialmente non redditizio. 

La compagnia tedesca ha già cancellato oltre 33.000 voli previsti per i prossimi mesi, ma ha annunciato di non poter ridurre ancora le rotte per via delle normative europee che stabiliscono, in via predeterminata, l’assegnazione di bande orarie negli aeroporti dell’Unione. 

La disciplina richiamata è, specificatamente, il Regolamento sulle bande orarie (CEE) n. 95/93, la cui ratio è quella di garantire che, laddove la capacità dell’aeroporto sia insufficiente, le bande orarie disponibili per l’atterraggio e il decollo siano utilizzate in maniera efficiente e distribuite in modo imparziale, non discriminatorio e trasparente. In questa prospettiva, il regolamento europeo stabilisce i criteri per definire la capacità di un aeroporto e, dunque, i parametri in relazione ai quali è possibile parlare di “aeroporto coordinato” o di “aeroporto a orari facilitati”, con applicazione della relativa disciplina. 

Più nello specifico, proprio per regolare in maniera più efficiente il traffico aereo, la normativa europea prevede che se una compagnia aerea abbia uno slot (ossia un lasso di tempo o una banda oraria) di 15 minuti tra un decollo e un atterraggio, essa potrà conservare questo tempo in futuro, come diritto acquisito, purché lo utilizzi almeno l’80% delle volte. Di conseguenza, le bande orarie non sufficientemente utilizzate sono ricollocate nel pool per la riassegnazione. La regola seguita è nota come «use it or lose it».

Nel 2020, a causa della pandemia di Covid-19, il Regolamento è stato modificato al fine di garantire che il mancato utilizzo delle bande orarie previste a partire da marzo 2020 non causasse ai vettori aerei la perdita degli slot acquisiti. Tali misure, prorogate fino a marzo 2021, sono state soggette a modifica allo scopo espresso di allentare le pressioni esercitate sull’industria dell’aviazione e di ridurre le emissioni di Co2, così da evitare che le compagnie aeree fossero obbligate a operare voli non necessari per mantenere le proprie bande orarie.


Il perdurare della pandemia ha condotto il Parlamento europeo e il Consiglio all’approvazione del Regolamento 250/2021, che ha modificato la normativa in materia, per offrire un ulteriore supporto ai vettori aerei. 

Richiamando la necessaria riduzione delle rotte, causata dal radicale calo della domanda dei passeggeri, il Regolamento prevede una riduzione dell’aliquota imposta per la conservazione degli slot. È stata disposta, pertanto, una diminuzione del tasso di utilizzo delle bande orarie, attraverso la possibilità concessa alle compagnie aeree di restituire il 50% delle proprie serie di bande orarie, prima dell’inizio della stagione estiva del 2021; per poterle mantenere, tuttavia, le compagnie dovranno comunque utilizzare almeno il 50% delle bande orarie rimanenti.

Secondo il Regolamento, inoltre, la Commissione europea potrà istituire, mediante atti delegati, una soglia di utilizzo appropriata per la stagione invernale 2021 (appena passata) e per quella estiva del 2022. Al riguardo, il 15 dicembre scorso la Commissione ha annunciato che alzerà il tasso al 64% a partire dal prossimo 28 marzo, puntando ad una ripresa della domanda in vista dell’estate. 

È proprio in relazione a tale ultima posizione che si sono riscontrate le recenti critiche; d’altra parte, questa misura spiega con maggiore chiarezza la ragione per cui diverse compagnie stiano provvedendo con anticipo alla cancellazione di tutti quei voli che si presume siano non necessari, anche in considerazione della diffusione della variante Omicron, i cui effetti, nonostante l’avvicinarsi della stagione estiva, restano ancora parzialmente indeterminati. 

Sul punto, l’Amministratore Delegato del gruppo Lufthansa ha dichiarato: «Mentre in quasi tutte le altre parti del mondo sono state riscontrate eccezioni rispettose del clima in tempi di pandemia, l’UE non consente di fare lo stesso».

In questa dichiarazione emergono con fermezza tutte le contraddizioni di un sistema che, se da un lato vede l’Unione Europea impegnata nel raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica, dall’altro consente – e, anzi, impone – l’applicazione di normative che si pongono in palese contrasto con le stesse politiche comunitarie. 

Quanto agli Stati membri, una posizione sostanziale è stata assunta recentemente dal Ministro alla mobilità belga, Georges Gilkinet, che lo scorso 3 gennaio ha scritto una lettera al Commissario ai trasporti Adina Valean, per chiedere formalmente una riduzione della tariffa.

Alla contestazione si è aggiunta anche la nota voce di Greta Thunberg, che ha sollevato la questione a partire da un dato della compagnia aerea Brussels Airlines – facente parte del gruppo Lufthansa – la quale avrebbe effettuato circa 3.000 voli non necessari, proprio al fine di preservare i suoi slot. 

Le ultime informazioni fornite da EuroControl consentono di affermare come i dati sul traffico aereo in Europa siano attualmente – e, invero, già a partire da ottobre 2021 – circa il 20% al di sotto degli indici registrati nel 2019. Eppure, il portavoce della Commissione europea, Daniel Ferrie, ha dichiarato: «La riduzione complessiva delle richieste dei consumatori si riflette già in un’aliquota molto ridotta del 50% rispetto alle normali regole tariffarie utilizzate all’80%. Queste tariffe, insieme alle eccezioni di non utilizzo, giustificate, offrono alle compagnie aeree la necessaria protezione sulle bande orarie durante l’attuale periodo». 

Non sembrano esserci segni di cedimento, dunque, da parte della Commissione europea, che pare non dare alcun peso agli appelli provenienti dagli Stati membri e dalla società civile. 

In un settore già fortemente condizionato dalle regole sulla concorrenza imposte a livello sovranazionale, vale giusto la pena di interrogarsi su cosa potrebbe accadere se non vi fossero delle norme predeterminate, che fissassero ex ante i criteri da seguire per garantire un’equa distribuzione delle bande orarie tra i diversi vettori aerei. In tal senso, forse, la vicenda in questione, più che dimostrare l’inutilità della regolamentazione in materia, suggerisce la necessità di prediligere un approccio più flessibile per la fissazione dei criteri che disciplinano il traffico aereo, in un contesto di crisi quale quella attuale. 

Tale approccio flessibile, a cui l’Unione aderisce spesso con difficoltà, si presenta però, ancora una volta, quale condizione indispensabile, tanto per rispondere alle esigenze concrete sollevate dai prestatori di servizi, quanto per garantire coerenza e credibilità all’azione dell’Unione.