La sicurezza del lavoro e sul lavoro. È l’anno del «cambiamento»?

«L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro» nel senso che il lavoro è il pilastro fondante dell’economia del Paese e che quindi dovrebbe, di fatto, essere garantito e tutelato.


Considerando gli ultimi due anni legati alla pandemia, si può affermare che solo una parte del lavoro è tutelato e che forse sarebbe più opportuno modificare il testo dell’articolo costituzionale in apertura e dire che l’Italia è una Repubblica fondata sul sussidio e sulla precarietà. E sarebbe opportuno aggiungere anche il tema della sicurezza sul lavoro, perché anche questa risulta precaria. 

Sicurezza sul lavoro? Qualche dato amaro

Ricordando uno degli ultimi eventi di cronaca relativo all’incidente mortale avvenuto a Torino dove tre operai hanno perso la vita mentre lavoravano imbracati a una gru, sorge spontanea la curiosità di individuare il numero ufficiale di incidenti sul lavoro.

Secondo l’INAIL, nei primi dieci mesi del 2021 ci sono state 448.110 denunce di incidenti e infortuni sul lavoro, il 6,3 per cento in più rispetto all’anno precedente. Con l’avvento dei super bonus, i sindacati denunciano una minore attenzione, da parte delle aziende, nei confronti delle procedure di sicurezza nell’ambiente di lavoro. Lo Stato, dal canto suo, risulta impotente di fronte alla complessità del tema, che oltre alcuni obblighi come il corso sulla sicurezza da far seguire a tutti i dipendenti di una azienda, pubblica o privata, e la creazione di una gerarchia di figure dedicate alla sorveglianza in ambiente lavorativo, poco muove a livello legislativo e di sorveglianza diretta. 

Bisogna tener conto anche che l’attuale normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro è il d. lgs. 81/2008; sono passati 14 anni, un periodo in cui il lavoro è cambiato, ma anche la popolazione lavorativa è cambiata, con un aumento dell’età media, soprattutto nel contesto dei lavori usuranti e pesanti fisicamente. E ancora oggi, dopo 14 anni, la sicurezza sul lavoro è uno dei temi più discussi in ambiente politico, considerando anche l’enorme numero di incidenti ed infortuni denunciati ogni anno.

Quanto è cambiato il lavoro con la pandemia

Per quanto riguarda il controllo della pandemia, è evidente come il Governo appaia “psicotico” davanti alla gestione delle quarantene e dei contagi in ambiente lavorativo. In un primo momento l’INAIL riconosceva il contagio da coronavirus in ambiente lavorativo come una vera e propria malattia professionale, in considerazione anche dei numerosi postumi che questo lasciava. 

Oggi, con l’ultimo decreto legge, l’INAIL, oltre a non riconoscere il Covid contratto in ambiente lavorativo come una “malattia professionale”, non retribuisce la quarantena con l’indennizzo di malattia in assenza di sintomi e per contatto con un positivo. Posto che l’attuale legge recita che “un vaccinato booster che ha un contatto stretto con un positivo non è costretto a fare la quarantena”, la questione diventa discriminante per chi non ha completato il ciclo vaccinale, o per libera scelta ha deciso di non vaccinarsi, ed è costretto a stare in quarantena senza percepire nessun tipo di indennizzo economico. Quindi anche oggi, nel giro di pochi mesi, le scelte in ambiente lavorativo per garantire la sicurezza sono state psicotiche e spesso discordanti tra loro.

I dati, quasi entusiasmanti, hanno annunciato un aumento dell’occupazione del 23 per cento nel primo semestre del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020. Andando a sviscerare questo dato si nota che: la maggior parte di queste assunzioni sono contratti stagionali (68 per cento in più) e contratti a prestazione (34 per cento in più), il numero di contratti a tempo indeterminato è calato del 21 per cento. Il dato che salta all’occhio è l’incredibile aumento, rispetto allo stesso periodo del 2020, delle dimissioni volontarie che fanno segnare il 91 per cento in più, i licenziamenti di contratti a tempo indeterminato segnano, invece, un aumento del 29 per cento.

E si vola con i sussidi

Il grande numero di dimissioni volontarie è seguito da un aumento delle domande di richiesta di reddito di cittadinanza pervenute all’INPS nel primo semestre del 2021, che in totale sono state 849.200 e portano il totale dei percettori a 1.655.343.

Non si vuole qui sindacare sulla correttezza o meno dello strumento del reddito di cittadinanza, ma si vuole mostrare come questo risulta inefficace per determinare un lavoro sicuro a chi questo non lo possiede o lo ha perso, e quindi dimostrare ancora quanto il governo, o meglio i governi che si sono succeduti negli anni, non abbiano avuto il coraggio di intervenire con manovre concrete e determinanti per garantire un aumento dell’occupazione reale.

Anche l’ultima legge di bilancio non mostra incentivi per un aumento dell’occupazione, ma dei timidi interventi per aumentare gli stipendi, che risultano sempre a vantaggio di chi percepisce redditi più alti e che non aumenterebbero i consumi così come spera il Governo, e ancora una volta il rifinanziamento di bonus e sussidi. 

Aspettiamo e speriamo

Il lavoro e i lavoratori non hanno bisogno di sussidi, questi viaggiano in direzione opposta al lavoro e hanno lo scopo di sostenere lavoratori e famiglie in momenti di disagio e difficoltà. Il lavoro ha bisogno di investimenti, di riduzione seria del cuneo fiscale, di aumento degli stipendi, di sostegno alle imprese e di sicurezza, sia della salute che della certezza di un lavoro continuo nel tempo.

Oggi un neolaureato non preferisce chiedere il reddito di cittadinanza ma risulta costretto, perché molte aziende assumono con enorme difficoltà e quando assumono lo fanno sfruttando tutti i vantaggi di legge per emettere contratti che non tutelano il lavoro ed il lavoratore, ma che siano economicamente sostenibili per l’azienda stessa. 

È necessario cambiare ottica, e se è vero che il PNRR garantisce un fiume di denaro nelle casse dello Stato, allora il 2022 potrebbe essere l’anno del cambiamento per quanto riguarda il lavoro. Verrebbe da aggiungere “ma siamo in Italia”.

di Francesco Lo Secco


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