Elezioni in Ungheria, tutti contro Orbán

Alle elezioni parlamentari del prossimo 3 aprile, i partiti dell’opposizione ungherese hanno deciso di unire le forze e sostenere Péter Márki-Zay come unico candidato premier. Basterà a battere Orbán?


Il 2022 sarà un anno ricco di appuntamenti elettorali in tutto il mondo, e anche in Europa. Dopo le elezioni federali tedesche del 2021, che hanno determinato la fine dell’era Merkel e “incoronato” il suo successore, il neo cancelliere Olaf Scholz, i riflettori sono adesso puntati sulle presidenziali francesi del prossimo 10 aprile, che avranno di certo un’importanza fondamentale per gli equilibri europei.

Non sono da sottovalutare, però, altri appuntamenti con il voto che possono rivelarsi cruciali per il “quieto vivere” dell’Unione europea e dei suoi valori democratici, messi sempre più spesso in repentaglio dalle discutibili scelte politiche di alcuni Stati membri. Il voto in Ungheria, rientra indubbiamente tra questi.

Perché è importante il voto ungherese 

Gli ungheresi andranno alle urne il prossimo 3 aprile per rinnovare il Parlamento e, di conseguenza, il governo. E lo faranno dopo quasi dodici anni di “democrazia illiberale”, frutto delle politiche autoritarie dell’attuale primo ministro, Viktor Orbán. 

Negli ultimi anni, infatti, e in particolare dopo la vittoria schiacciante del Fidesz – il partito di estrema destra di cui l’attuale premier è leader – alle elezioni del 2014, il governo di Orbán ha creato non pochi problemi all’UE, ostacolando il processo di una sua sempre maggiore integrazione. 

Nel corso dei suoi tre mandati consecutivi (2010-2014; 2014-2018; 2018 a oggi), le posizioni del governo ungherese hanno assunto derive decisamente autoritarie, orientandosi progressivamente verso politiche nazionaliste e populiste, sempre più critiche nei confronti dei “burocrati di Bruxelles”.

Dalla costruzione del muro anti-migranti al confine con la Serbia (2015) al referendum del 2016 sulla ripartizione dei migranti tra i Paesi dell’UE; dai pieni poteri, fissati per decreto e senza limiti di tempo,  al fine di “combattere più efficacemente il coronavirus” (2020) alla legge del luglio scorso sul divieto di diffusione ai minorenni di rappresentazioni aventi ad oggetto il tema dell’omosessualità (e perciò ritenuta discriminatoria nei confronti della comunità LGBTIQ+).

Le decisioni e le riforme adottate dal Fidesz di Orbán, mano a mano più sbilanciate a favore dei poteri dell’esecutivo, e sempre meno orientati ai “paradigmi liberali” e democratici, hanno rappresentato – e rappresentano – un ostacolo per lo stato di diritto, i valori e le libertà che sanciscono il patrimonio giuridico dell’Unione e ne costituiscono il fondamento. 

In vista delle elezioni della prossima primavera, la nuova corsa di Orbàn alla presidenza dell’esecutivo preoccupa – e non di poco – l’Europa, impegnata ad arginare il rischio di ulteriori derive populiste. Prima ancora di Bruxelles, però, a “tremare” sono i partiti d’opposizione, che in questi dodici anni hanno incassato sconfitte su sconfitte, assistendo impotenti alla progressiva erosione della democrazia. 

Per scongiurare l’Orbán quater, i sei partiti di opposizione hanno deciso di scendere in campo compatti, impegnandosi in una grande coalizione contro Fidesz. 

Dai Socialisti del MSZP ai democratici (Demokratikus Koalíció), dai verdi di LMP e Párbeszéd, ai liberali di Momentum, passando per conservatori di Jobbik (l’ex estrema destra, di orientamento adesso più moderato), alle elezioni del prossimo aprile, il fronte anti-Orbàn punterà tutto su un unico candidato: Péter Márki-Zay.

Peter Marki Zay (foto breakinglatest.news)

Chi è lo sfidante di Orbán

49 anni, conservatore, cattolico praticante, padre di sette figli. Economista, ingegnere, storico, esperto di marketing. Filoeuropeista. Fondatore del movimento indipendente Mindenki Magyarországa Mozgalom, MMM (Ungheria di tutti) e sindaco di Hódmezővásárhely – la cittadina “dal nome impronunciabile” al confine con la Romania, nella quale è nato.

È questo il ritratto di Márki-Zay, che – almeno sulla carta – si presenta come il candidato ideale per il fronte anti-Orbán: un “uomo di mezzo”, conservatore quanto basta per attirare gli elettori di destra (anche quelli dell’entroterra rurale, tradizionalmente legati a Fidesz, e che ultimamente si dicono delusi dalle politiche del partito di maggioranza) ma aperto alle istanze liberali, così da poter fare breccia anche sugli elettori di centro e di sinistra. 

La sua corsa al premierato ha avuto ufficialmente inizio lo scorso 18 ottobre, con la vittoria al secondo turno delle primarie dell’opposizione unita (peraltro, tra le più partecipate di sempre con circa 600 mila votanti, pari all’8% degli aventi diritti) sulla favorita, la socialdemocratica Klára Dobrev.

Al primo turno, in realtà, era stato il sindaco di Budapest Gergely Karácsony a spuntarla, salvo poi ritirarsi – inaspettatamente – a favore di Márki-Zay, di cui è adesso sostenitore. «È il candidato più adatto a ricoprire il ruolo di unico oppositore di Orban», ha detto Karácsony.

Márki-Zay ha già promesso una politica non incentrata sull’odio ma sull’altro, volta innanzitutto ad assicurare onestà e trasparenza. Al centro del suo programma, lo sfidante di Orbán ha posto infatti la lotta alla corruzione, con l’adesione dell’Ungheria alla Procura europea anti-corruzione, e il suo ingresso nell’eurozona. Il programma prevede inoltre il ripristino dello Stato di diritto, maggiori garanzie per la libertà di stampa e, soprattutto, la riforma della legge elettorale, che ha costituito finora  il vero grande ostacolo dell’opposizione ungherese, tradizionalmente molto frammentata.

Il sistema elettorale, l’ostacolo più grande

Approfittando della netta maggioranza in Parlamento, nel 2011, il Fidesz ha approvato la nuova legge elettorale, entrata in vigore l’anno successivo. In linea con le altre riforme costituzionali adottate dal governo ungherese, volte a rafforzare i poteri dell’esecutivo a discapito dei poteri del Parlamento, la legge ha diminuito il numero dei parlamentari da 386 a 199, e introdotto un turno unico di votazione e un sistema misto, proporzionale e maggioritario (con una netta prevalenza del secondo sul primo), che ha comportato un ridisegnamento dei confini dei collegi elettorali, tutto a favore del partito di Orbán.

Il 53% dei deputati, per un totale di 106 seggi, viene eletto in collegi uninominali secchi, per cui il candidato che ottiene anche solo un voto in più vince. La restante parte (98 seggi) viene assegnata con sistema proporzionale. 

La distribuzione dei seggi su base prettamente maggioritaria uninominale secca, unita alla riduzione dei seggi e al ridisegnamento dei collegi elettorali, ha in sostanza garantito a Fidesz l’assenza – nelle ultime due tornate elettorali – di un dibattito parlamentare e dunque una gestione unilaterale della vita politica del Paese. 

Con la nuova riforma, Orbán ha voluto garantire “lunga vita” a sé e al suo partito. La mossa dell’opposizione di unire le forze potrebbe però adesso capovolgere questa prospettiva, dal momento che – come anche ha sottolineato l’ISPI – renderebbe il sistema  «de facto bipolare, trasformando la riforma elettorale del 2012 in un potenziale boomerang per la maggioranza». 

In questo senso, le ragioni della coalizione d’opposizione non vanno ricercate nelle “affinità politiche” quanto piuttosto nella necessità di raggirare un sistema elettorale che, altrimenti, favorirebbe ancora una volta il partito che, sotto mentite spoglie democratiche, da dodici anni ininterrottamente governa l’Ungheria.

Alla resa dei conti, infatti, i sei partiti che hanno deciso di coalizzarsi si presentano molto distanti su temi caldi, come l’ingresso nell’eurozona e, soprattutto, i diritti civili. Márki-Zay non pare, ad esempio, particolarmente disposto ad aprirsi alle battaglie della comunità LGBTIQ, tanto care invece ai democratici.

Quella dell’opposizione potrebbe essere dunque un’unione apparente, ancorata a equilibri molto precari. Ma se è vero che un’alleanza nata con il solo intento di superare l’impasse del sistema elettorale corre il rischio di sfaldarsi da un momento all’altro, ciò non toglie che per la prima volta, dopo dodici anni, l’opposizione abbia una concreta possibilità di battere il Fidesz. 

La partita del “tutti contro Orbán” si giocherà, dunque, sulla capacità della coalizione di resistere alle divergenze ideologiche, soprattutto nella gestione della campagna elettorale, e di arrivare pronta ai “colpi e contraccolpi” del comune rivale, che non si prospettano affatto limpidi.

Alla battaglia dell’opposizione, il leader di Fidesz non si farà naturalmente trovare impreparato. Anzi. Proponendosi ancora una volta come garante dei valori tradizionali, nello stesso giorno delle elezioni parlamentari, ha già indetto un referendum su questioni legate ai diritti della comunità LGBTIQ, al fine di attirare al seggio l’elettorato di destra. Una prima mossa in perfetto stile Orbán, che non sarà di certo l’ultima.