Variante Omicron, cosa ci interessa sapere per fermarla

Vaccinarsi, vaccinarsi, vaccinarsi. Si parla tanto di “migliorare la comunicazione” per aiutare gli indecisi e gli scettici a comprendere la battaglia che stiamo affrontando. Contro la variante Omicron non serve molto altro che il vaccino.


L’ultima variante del nuovo coronavirus ha gettato nel panico mezzo mondo nelle ultime settimane. La notizia che la variante Omicron sia più “devastante” rispetto a quella che abbiamo combattuto quest’anno, la Delta, ha senza dubbio fatto raggelare il sangue alle centinaia di migliaia di operatori del settore sanitario, da due anni schiacciati da un’emergenza senza sosta. La pandemia sembra non finire mai e sembra nascondere un’insidia dietro l’altra, tra quelle dovute al virus stesso e quelle portate dalla beffa del negazionismo.

Che cosa dobbiamo aspettarci da questa nuova variante? Cosa ci comunica, oggi, l’insorgenza di nuove forme del virus, apparentemente più pericolose? È lecito parlare di immunità per il futuro? Oggi facciamo chiarezza su un paio di questioni. Le persone confuse – o quelle che lamentano la confusione generata da medici superstar e giornali «terroristici» – chiedono chiarezza e, quindi, sicurezza.

Omicron, c’è da spaventarsi?

A fine novembre gli scienziati sudafricani hanno annunciato la scoperta di una nuova variante del coronavirus, annunciato come «pesantemente mutato». Immediata la reazione di decine di Paesi con provvedimenti restrittivi sui trasporti dal Sudafrica e dalle nazioni confinanti.

È vero, Omicron sembra più “imprendibile” perché presenta più di trenta modifiche alla sua proteina spike, quella su cui si sono concentrati gli studi e le sperimentazioni per i vaccini che da poco meno di un anno sono in circolazione in tutto il globo. D’altronde è questa la proteina responsabile dell’infezione delle cellule umane. I cambiamenti su questa proteina, rispetto alle precedenti varianti Delta e Alpha, riuscirebbero così a “bucare” in maniera più efficace il sistema immunitario. Quello che è certo, secondo uno studio sudafricano, è che Omicron triplica la probabilità che le persone vengano infettate.

Le mutazioni sono naturali: è ovvio che un virus sviluppi spontaneamente delle modifiche atte alla propria sopravvivenza quando si replica e si diffonde. Quanto più si diffonde, tanto più si innalza la possibilità che questo si “riadatti”. Ciò che è motivo di allarme è come sia stato possibile un numero così alto di modifiche per una variante in così poco tempo.

A far cambiare il virus può essere stata la trasmissione di una nuova variante animale all’uomo, così come anche una “bolla”, un gruppo di individui dove la circolazione libera ha favorito questa condizione mutevole, o anche un singolo soggetto immunodepresso – la cui debole risposta immunitaria aiuterebbe la replicazione e quindi la mutazione – in considerazione del fatto che il Sudafrica sta già affrontando una devastante epidemia di HIV, con oltre sette milioni di persone infettate, situazione che si è replicata, con minore intensità, anche fuori dai confini sudafricani. 

A onor del vero, neanche l’origine geografica è certa: sono stati identificati casi con Omicron cronologicamente antecedenti a quelli sudafricani in Europa e negli Stati Uniti. È comunque probabile che diverrà in breve tempo la variante dominante, su questo gli studiosi sono concordi.

Omicron non sarà (forse) l’ultima cattiva notizia

La variante Omicron deve aprire gli occhi (ancora una volta) sulla disuguaglianza vaccinale e sulla necessità di un maggiore accesso ai vaccini. L’imperativo da cui continuiamo a non imparare resta sempre lo stesso: «nessun Paese è sicuro fino a quando ogni Paese non è sicuro». Rendersi protetti protegge gli altri, esattamente come accade con la campagna vaccinale attualmente in atto, su cui il nostro Paese è tra i primi al mondo. 

Stando alla piattaforma Our World in Data dell’Università di Oxford, sono state somministrate in tutto circa otto miliardi di vaccinazioni, ma solo il sei per cento delle persone nei Paesi a basso reddito ha ricevuto almeno una dose. Nel continente africano sono state somministrate meno di 300 milioni dosi, a fronte di una popolazione che conta circa 1,2 miliardi di persone.

vaccino omicron coronavirus

Non deve stupire, allora, che le principali varianti che finora hanno causato preoccupazione – in sostanza, Alpha a Delta – siano emerse da focolai incontrollati in popolazioni non vaccinate, una condizione in cui il virus ha la maggiore possibilità di mutare.

Il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato in proposito che «La variante Omicron riflette la minaccia di un’ingiustizia vaccinale prolungata», concludendo, sempre nel suo tweet, che «Più tempo impieghiamo per realizzare la “Vaccin Equity”, più permettiamo al Covid-19 di circolare, mutare e diventare potenzialmente più pericoloso».

I vaccini attuali funzioneranno?

Pare di sì, ma non abbiamo il cento per cento delle sicurezze su questa risposta. Gli studi fatti in Israele fanno pensare che Pfizer abbia una buona efficacia per fronteggiare l’ondata di Omicron, così come Astrazeneca. 

Entrando nel dettaglio, però, bisogna distinguere le due differenti azioni che si possono produrre nel nostro sistema immunitario: un vaccino può provocare un’immunità cosiddetta “sterilizzante”, ovvero capace di scongiurare quasi del tutto l’infezione e il suo disastroso esito sul malato; l’azione “neutralizzante” degli anticorpi inoculati e riprodotti, quella che non consente alle particelle virali di legarsi alle cellule sane, invece, annienta direttamente l’ingresso del virus e perciò l’infezione. 

I dati ci dicono che con il vaccino siamo molto sterilizzanti e abbastanza neutralizzanti (senza vaccino non siamo né gli uni né gli altri) e per un certo periodo di tempo, di circa 5-6 mesi, stando alle stime ufficiali.

Si parla tanto di “carica virale” dei vaccinati e dei non vaccinati – con un valore maggiore per questi ultimi, chiaramente – ma è così importante valutare l’incidenza della positività dei soggetti vaccinati o meno come un indicatore decisivo a sé, mistificando l’utilità del vaccino in alcuni casi? La risposta è una sola e semplice: no. 

La validità dei vaccini non si giudica da quanto protegge dall’ingresso del virus, ma da quanto sia capace di annullare l’effetto a catena che porta all’infezione, grave o meno grave, quest’ultima quasi un rebus data la condizione di piena salute o già compromessa delle vittime di Covid registrate finora. Sulla protezione dall’infezione, va detto, i vaccini utilizzati attualmente in Europa, negli Stati Uniti e in moltissimi altri Stati risultano realmente efficaci contro Omicron dopo il “boost” della terza dose. Ed è ciò che ci interessa di più.

Oltre agli anticorpi, inoltre, i vaccini inducono anche la produzione di “cellule T” specifiche, in particolare quelle definite “killer”. Queste sono le cellule del sistema immunitario che eliminano quelle infettate dal virus, responsabili della diffusione dell’infezione nell’organismo. Le nostre alleate “T” sono anche le protagoniste della millantata “modificazione genetica”, una conseguenza già vista per tutti quei vaccini che hanno permesso alle generazioni successive di “ereditare” una certa struttura immunitaria protettiva.

Possiamo uscire dal “loop” prima o poi?

Si legge su Biologi per la Scienza: «Sapete cosa succede quando un qualcuno è completamente immune e gli altri sono comunque meno contagiosi e per meno tempo? L’indice R [quello di trasmissibilità, ndr] si abbassa. E sapete cosa succede se va sotto 1? Esatto, facciamo sparire questo virus dalla faccia della Terra». Non serve l’immunità totale, serve ostacolare il virus. Sembrerebbe così semplice, e invece molti non lo hanno capito.

Poco più di un anno fa, ad alcuni mesi dall’arrivo delle prime vaccinazioni in Italia, sulle nostre pagine scrivevamo: «È vero che gli anziani e i malati sono in maniera preponderante i soggetti esposti al virus e in grave pericolo. Ma è vero anche che un virus circolante, seppur senza gravi conseguenze per molti, può uccidere tutti questi soggetti per un tempo indeterminato e continuare a mutare diventando potenzialmente imprevedibile, o peggio, più aggressivo. A noi la responsabilità di non farlo circolare fino all’arrivo di un vaccino. È difficile da capire?». Senza richiamare alcuna “profezia nel deserto”, viene da rispondere: evidentemente sì. Non solo la pandemia non ci ha resi “migliori”, ma non lo ha fatto nemmeno il vaccino, un privilegio.