Migranti usati come arma politica, una storia disumana

Non solo Lukashenko, la disumana pratica di usare i migranti come un’arma minacciosa di coercizione politica presenta numerosi esempi nella storia recente.


Migranti usati come “arma” politica, di coercizione, di ricatto, di “leverage” nei rapporti tra Stati. Una vergognosa e disumana pratica che si ripete continuamente nel nostro presente, e che trova numerosi esempi nella nostra storia. 

Lo vediamo continuamente in Europa e nel suo “vicinato”, così come è possibile notarlo in Africa e  in America. 

Stampa, politici, analisti parlano da anni di Weaponised migration (da “weapon”, arma) letteralmente “migrazione armata”, o più precisamente “migrazione usata come arma”. Un terribile concetto ripetuto che denota come da molti anni sia avvenuto un pericolosissimo cambiamento di prospettiva verso i migranti, più specificatamente verso i richiedenti asilo.

Un pericoloso cambio di prospettiva

Se il linguaggio che usiamo, e riproduciamo, è parte integrante non solo della percezione che abbiamo del mondo, ma della costruzione stessa della realtà, allora concepire la migrazione come arma provoca un pericoloso terreno in cui, ad esempio, i richiedenti asilo non appaiono più come persone in ricerca di protezione internazionale, ma come minacce.

Lo abbiamo visto in numerose occasioni; i migranti tutti sono concepiti sempre più come un pericolo, come un’ “arma”. Di conseguenza, alle armi non si risponde con trattamenti umani, bensì con violenze, respingimenti, e ogni sorta negazione dei diritti umani. Perché trattare umanamente coloro i quali sono visti come minaccia a stabilità, “tradizioni”, “stile di vita” di uno Stato? 

Ma c’è ancora un’altra dimensione da considerare. Non basta accusare Lukashenko dell’ “attacco ibrido” in cui sta usando i migranti come arma per destabilizzare, o contrastare, l’Unione Europea dopo le sanzioni imposte lo scorso anno, e non basta neanche accusare il Marocco per averlo fatto a Ceuta per pressare la Spagna dopo aver ammesso Brahim Ghali del Fronte Polisario. 

Una minaccia diventa effettiva quando entrambi la riconoscono come tale. Dunque, affinché sia effettivo l’uso dei richiedenti asilo come “arma” o minaccia, non devono essere visti come tali soltanto da chi li “schiera”, ma anche dagli Stati a cui sono rivolti. In altre parole, se l’Unione Europea non vedesse essa stessa i richiedenti asilo come una minaccia alla sicurezza, come fattori destabilizzanti, ma come essere umani che hanno il diritto di essere trattati umanamente e godere di procedure di asilo eque, le minacce sarebbero significativamente deboli, se non vuote.

Migranti come armi: alcuni esempi passati e recenti

Sono numerosi gli eventi storici, e altrettanti quelli legati all’attualità, che dimostrano come usare i migranti come arma di coercizione politica sia una strategia usata più volte dagli Stati. Riassumiamo alcuni di essi:

Kosovo, 1999 – Il presidente Yugoslavo Slobodan Milosevic tentò, senza riuscirci, di minacciare le Nazioni Unite e di far desistere il bombardamento NATO paventando un flusso di 800 mila kosovari e albanesi fuori dai confini nazionali;

Gheddafi minaccia l’Europa con i migranti, 2004-2011 Riuscendo nel suo intento, il leader libico Muammar Gheddafi fece ritirare le ultime sanzioni da parte dell’Unione Europea (dopo 11 anni) nell’autunno del 2004, a seguito della minaccia di far arrivare un enorme flusso di migranti nordafricani a Lampedusa. Tra il 2006 e il 2010 l’UE ha inviato numerosi aiuti finanziari alla Libia, incluso un accordo da 500 milioni di sterline che ha rallentato il flusso di migranti nel Mediterraneo, almeno fino alle primavere arabe. 

Ceuta, 2021 Il 17 maggio 2021 a Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco che rappresenta a tutti gli effetti territorio europeo, sono arrivati circa 8 mila migranti, un numero mai registrato fino a quel momento. Non un incidente, ma un’operazione “strategica” orchestrata dal Marocco per mettere pressione alla Spagna, che aveva ospitato per delle cure mediche Brahim Ghali, leader del Fronte Polisario, movimento separatista che si oppone al Marocco per l’indipendenza del Sahara Occidentale. Nei video dell’accaduto si osserva come la polizia di confine marocchina ha volontariamente aperto i cancelli per far fluire i migranti all’interno di Ceuta.

Turchia: i numerosi precedenti di Erdogan (2016-in corso) Sono numerosi i momenti in cui Recep Tayyip Erdogan ha usato i milioni di rifugiati che si sono avvicinati o hanno attraversato i confini nazionali per mettere sotto scacco l’Unione Europea, il più delle volte ottenendo concessioni finanziarie o, in assenza di esse, in ogni caso rafforzando il suo leverage politico e militare in fronti come la guerra in Siria. 

Nel 2016, la Turchia ha ricevuto 3 miliardi di dollari in aiuti, elargiti anche per facilitare il controllo dei propri confini e arginare il flusso di migranti verso l’UE; un pericoloso precedente, che ha già permesso alla Turchia di riusare la stessa strategia il 28 febbraio 2020, quando il governo turco ha aperto i confini verso l’Europa per 72 ore. Come risposta, la Grecia ha chiuso le sue frontiere a tutti i migranti siriani provenienti dalla Turchia, e ha di recente completato un muro lungo il confine con la Turchia. Una spirale securitaria che ha coinvolto altri numerosi Paesi europei.

Bielorussia, 2021-in corso – Non solo il muro in Grecia, ma anche in Polonia, dove è in costruzione un muro al confine con la Bielorussia da completare entro il 2022. La crisi migratoria al confine tra i due Paesi è uno degli esempi più lampanti di come i migranti siano usati come arma di coercizione politica, in questo caso da Lukashenko nei confronti dell’Unione Europea. 

Le relazioni tra Bielorussia e Unione Europea (ma non solo) sono in continuo deterioramento a partire da vari accaduti, quali le elezioni presidenziali del 2020 (dichiarate come falsificate dall’Unione Europea), che hanno scatenato numerose proteste violentemente represse dalla polizia bielorussa; il caso del volo Ryanair 4978 e le sanzioni che ne sono seguite, il tentativo di rimpatrio forzato dell’atleta Krystsina Tsimanouskaya.

Decine di migliaia di migranti, principalmente provenienti dal Kurdistan iracheno, sono spinti da mesi dalle forze dell’ordine bielorusse verso i confini con Polonia, Latvia e Lituania, in un’operazione studiata nei minimi dettagli.

Vari report hanno mostrato come, a parte la facilità da parte dei migranti di ottenere visti in Bielorussia per facilitare il loro percorso verso l’UE, siano state create agenzie di viaggio ad hoc con base a Minsk che organizzano pacchetti per migranti provenienti da Iraq e altri Paesi arabi, per essere poi spinti verso il confine polacco. Le forze bielorusse hanno anche dotato i migranti di istruzioni su come passare il confine, e strumenti come taglierini e asce per passare oltre le barriere. 

Come nel caso del confine polacco, i migranti sono stati violentemente respinti, e migliaia di loro sono attualmente bloccati al confine con nessuna protezione, in preda al freddo e con nessuna prospettiva di accoglienza da parte dei Paesi europei: Vox ha riportato che almeno nove persone sono morte, e le stime non faranno che aumentare con l’arrivo di temperature più fredde.

Pedine sacrificabili di uno scacchiere politico

Il fenomeno della migrazione usata come arma è già analizzato in vari studi, tra i quali emerge Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy della scienziata politica Kelly M. Greenhill. Nel volume Connectivity Wars, che include una parte dedicata alla “Weaponization of migration”, la studiosa ha affermato che «dall’entrata in vigore della Convenzione sui rifugiati del 1951, ci sono stati stati almeno 75 tentativi a livello globale da parte di attori statali e non statali di utilizzare gli sfollati come armi politiche. I loro obiettivi sono stati politici, militari ed economici, che vanno dalla fornitura di aiuto finanziario all’invasione su larga scala e all’assistenza per effettuare un cambiamento di regime».

Le vittime ultime non sono che i richiedenti asilo, i rifugiati, e chiunque abbia visto la sua vita trasformata in un mero oggetto, in un’arma, al servizio di questi disumani giochi politici che caratterizzano ancora oggi parte della politica estera degli Stati e delle loro logiche securitarie. 


Immagine in copertina di Elekes Andor