Femminicidi in Turchia: proteste e manifestazioni fermate dalla polizia

In Turchia le manifestazioni contro la violenza sulle donne sono state represse a colpi di manganelli, in uno Stato che conta già 353 femminicidi nel 2021.


Lo scorso giovedì 25 novembre è stata la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne, violenza che si è manifestata anche quel giorno per l’ennesima volta. Infatti, tra le tante manifestazioni che si sono tenute in tutto il mondo, anche in Turchia tantissime donne hanno marciato per la propria libertà ma le loro proteste sono state represse a colpi di proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Altre donne sono state ferite a colpi di manganelli e allontanate dalla polizia.

Questi attacchi da parte della polizia non sono altro che il culmine di una situazione disastrosa per i diritti delle donne che va avanti da troppo tempo in Turchia sotto il governo di Erdogan. Proprio quest’ultimo è stato il presidente che lo scorso marzo, dopo nove anni dalla sua ratifica, ha deciso di revocare l’adesione della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, firmata nel 2011 e finora ratificata da 34 Stati.

La Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica rappresenta il primo strumento per combattere la violenza di genere in tutto il mondo e per proteggere legalmente le donne che subiscono ogni tipo di discriminazione. Inoltre, supporta le donne nell’identificare i diversi tipi di violenza per poi denunciare e far sentire la propria voce.

A detta di Erdogan e del suo governo, però, la Turchia starebbe già tutelando le donne del proprio Paese, ragion per cui ritiene questa Convenzione superflua. A questa motivazione si aggiunge, inoltre, l’ipotetico attacco alla famiglia tradizionale e un incitamento alla “vita omosessuale”. 

C’è una continuità, dunque, tra le proteste dello scorso marzo e quelle avvenute giovedì. Tantissime donne, giovedì scorso, hanno chiesto nuovamente il rientro della Turchia nella Convenzione di Istanbul, necessaria più che mai in un Paese che conta 353 femminicidi solo nel 2021, numero che potrebbe aumentare e superare quello registrato lo scorso anno: 410. Questi numeri sono stati forniti dalla ONG We will stop femicide che da anni si batte per il riconoscimento dei femminicidi in Turchia.

Anche la ministra della famiglia Derya Yanik e il ministro dell’Interno Süleyman Soylu si sono esposti sulla questione, denunciando 251 femminicidi commessi fino al 15 novembre scorso. Secondo l’agenzia stampa Bianet, invece, le donne turche vittime di violenza sono state 285, ma ben 711 sono state ferite da uomini a loro vicini.

Uno degli ultimi casi che ha scosso il Paese, il 12 novembre, è quello di Başak Cengiz, una giovane donna di 28 anni uccisa in pieno giorno da un uomo con una spada da samurai. Le ferite sono state così profonde che una volta arrivata in ospedale non c’è stato più nulla da fare. Il carnefice è stato arrestato ma, secondo le statistiche, spesso l’uomo viene poi rilasciato dopo poco oppure viene condannato a una pena minore. In altri casi, chi commette un femminicidio viene associato a problemi di salute mentale soltanto per ridurre la pena da scontare. Inoltre, quando una donna denuncia, la vittima deve aspettare due giorni per ottenere un ordine restrittivo.

Questo è un sistema che le donne turche cercano di combattere, ma molte delle donne che partecipano a queste proteste sono state vittime di violenza. Mutlu Kaya è una delle tante attiviste che marcia ogni anno da quando suo marito uccise il suo avvocato davanti ai suoi occhi e ferì anche lei durante un altro litigio. Anche Aysen Ece Kavas, altra esponente di una ONG, si batte ogni anno per far valere i diritti delle donne, è stata spesso arrestata per offese contro il presidente: «Le difficoltà delle donne iniziano alla nascita e molte di loro non riescono a sormontare queste difficoltà da sole, ma se siamo insieme ci sentiamo più forti», ha esclamato durante una delle proteste.

L’unico vero cambiamento, infatti, proviene proprio dal lavoro svolto dalle attiviste che si battono ogni giorno per assicurare diritti a tutte le donne, soprattutto dopo il ritiro della Turchia dalla Convenzione, introducendo per esempio un numero di emergenza da chiamare in caso di pericolo. Secondo le ultime statistiche, una donna su tre in Turchia è vittima di violenza domestica, un numero altissimo che conferma ancora una volta quanto sia grave la situazione per tutte le donne turche.

Dunque, i numeri parlano chiaro: le donne turche sono in pericolo e nessuna fantomatica legge implementata dal governo turco sta aiutando la situazione, che ormai sta solamente precipitando. Se c’è un messaggio che è rimasto da queste recenti manifestazioni represse violentemente dalla polizia è che, nonostante tutto, le donne turche non vogliono e non accettano tutto questo. E continueranno a lottare.


Immagine in copertina di Yagmurkozmik