Un misterioso suicidio all’Hotel delle Palme: il caso Roussel

Il giallo della camera 224 coinvolge lo scrittore parigino Raymond Roussel. Insabbiamenti, negligenze, tragici eventi in una Palermo fascista raccontata da Sciascia.


La Palermo dei primi decenni del Novecento, in questo caso quella del Ventennio fascista, è una città molto diversa e, d’altronde, è parte di un mondo diverso. Grandi conflitti internazionali scoppiano per malintesi, ultimatum irremovibili, onore e orrore. Ma siamo anche in uno strano sogno sospeso tra reminiscenze Liberty e rigore razionalista fascista, dove a passeggiare fra stucchi e dorature, statue di marmo e giardini tropicali, incontriamo grandi autori e vere e proprie celebrità letterarie del tempo. 

Già, perché in un luogo simbolo della storia di Palermo, al Grand Hotel et des Palmes (Hotel delle Palme), soggiornano personaggi come Wagner, Maupassant e Roussel. Ed è una città in giallo: avviene qui il misterioso avvenimento intorno a Raymond Roussel, l’eclettico “artista della parola” che, proprio all’Hotel delle Palme, la mattina del 14 luglio del 1933 viene trovato morto nella stanza 224. 

«La storia di questo albergo è da scrivere come un capitolo di splendore e miseria della Sicilia dai Savoia alla Repubblica» scrive Leonardo Sciascia su una delle sue opere meno conosciute, Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971, Sellerio), un’attenta raccolta di annotazioni dell’autore e delle informazioni raccolte al tempo dalle autorità di polizia che si sono occupate di archiviare il presunto suicidio di Raymond Roussel

Raymond Roussel à 19 ans (1896)
Raymond Roussel diciannovenne (1896)

Chi era il genio “incompreso” Raymond Roussel? 

Campione della libertà espressiva e di invenzioni letterarie paradossali, l’autore di Locus Solus e di Impressions d’Afrique è definibile come uno degli antesignani del surrealismo e del nouveau roman. Lo scrittore parigino, considerato il padre spirituale della Patafisica («scienza delle soluzioni immaginarie»), superò diversi disastri editoriali nel corso della sua carriera e portò avanti una routine eufemisticamente “poco salutare”. 

Scrisse composizioni musicali, poesie, libri – spesso senza neanche spostarsi dalla propria camera d’albergo in giro per l’Europa – e viveva comunque in condizioni molto agiate grazie a una cospicua eredità di famiglia.

A questo punto il ritratto di dandy sembra quello che calza meglio al ricco artista sregolato Roussel. Qualcuno però ha provato a raccontarlo sotto un altro punto di vista, quello del genio matematico: Michel Foucault parla dello scrittore scomparso rivelandone la passione per gli scacchi, oltre che per l’invenzione. Roussel, infatti, scoprì un teorema matematico, un metodo per un caso di scacchi e, inoltre, fu medaglia d’oro di tiro a segno. Un segreto? La sua omosessualità, mai ammessa pubblicamente, soprattutto nella Palermo fascista in cui, per certi “peccati”, si sarebbe potuti arrivare persino al confino.

Anche se Roussel provò in tutti i modi a trovare riconoscimento nell’ambiente letterario dell’epoca, le sue intricate storie “disordinate” di personaggi ridicoli e grotteschi erano rebus che solo alcuni decenni dopo sarebbero stati risolti. Jean Cocteau, altra icona letteraria del Novecento, lo innalzò al pari di Lautréamont, il poeta ottocentesco ripreso, anche lui, molto tempo dopo, come principale ispiratore del Surrealismo.

Il suo ultimo viaggio in cerca di ispirazione, o come diceva lui, per «versare sangue su ogni verso», lo portò proprio a Palermo nell’estate 1933, l’ultima della sua vita, in un albergo che ricorda un altro ospite illustre di quegli anni, Richard Wagner – con una statua – ma non lui, di cui nell’albergo non rimane nulla se non una storia affascinante.

Cosa è successo nella camera numero 224?

È la mattina del 14 luglio, siamo nella stanza 224, una di quelle che dà su via Mariano Stabile. Il facchino, entrato in camera, scopre il corpo senza vita del cinquantenne scrittore. Roussel è in camicia da notte, mutande bianche, calze nere, maglietta di filo lana color champagne, ed è disteso supino su un materasso adagiato per terra, davanti alla porta della stanza comunicante, con due cuscini al centro – Sciascia si chiederà successivamente come un uomo così debole fisicamente fosse riuscito a spostare un materasso tanto pesante.

Roussel sarebbe dovuto ripartire a breve, non stava bene, e lo rivela la quantità di farmaci che assumeva e che portava con sé: decine di flaconi e boccette tra Somnothyril, Sonéryl, Hypalène, Rutonal, Phanodorme, Declonal, Hyrpholène, Neurinase e Veriane. E sull’armadio bottiglie semivuote di Veriane, Verodinin, Neurisnase e Neosedan. Seguendo le annotazioni presenti nella stessa stanza di albergo, scrive Sciascia, «il 13 luglio, giovedì, l’ultima annotazione recita Sonéryl. Il fatto che fosse tornato al Sonéryl, il barbiturico – a quanto si desume dal diario – che gli dava lungo sonno e poi stra­ordinaria euforia, fa pensare che non avesse voglia di morire».

Come riporta Sciascia, è possibile che alla rapida archiviazione del caso Roussel concorse la regola fascista seguita dalle autorità di mettere sotto silenzio «tutti quei casi in cui il taedium vitae assurgesse a tragici esiti». In soldoni, se il protagonista di un episodio amaro era avvolto da un’aura di malinconia, tristezza e dannazione, semplicemente era destino.

Un suicidio “misterioso”, in quel modo, poteva minare l’orgoglio fascista perché poteva trovare solidarietà, e quindi terreno fertile, presso coloro che nutrivano un sentimento di incompatibilità esistenziale con una «vita sotto la tirannide». Il caso Roussel, dunque, viene chiuso nell’arco di mezza giornata. La camera 224 dell’Hotel delle Palme sarà liberata dai sigilli dopo appena una settimana dalla tragedia, e il pettegolezzo – diffuso ad arte – diventa in breve la realtà: Raymond Roussel si è tagliato le vene perché rimasto al verde. 

L’inchiesta di Sciascia, autore fra l’altro di una innovativa stagione del giallo siciliano,  lo afferma chiaramente: «I fatti della vita diventano sempre più complessi ed oscuri, più ambigui ed equivoci, cioè quali veramente sono, quando li si scrive – cioè quando da atti relativi diventano, per così dire, atti assoluti».

Tante stranezze che compongono un mistero

Raymond Roussel viene a Palermo certamente per scrivere nuovo materiale e per apprezzarne «il clima mite», un dettaglio quest’ultimo riportato da diverse testimonianze. Il clima mite palermitano a luglio? Sembra banale, ma è un’incongruenza storica che Sciascia tende a sottolineare. 

Si sa che Roussel sia stato in albergo insieme ad una donna di 53 anni, Charlotte Fredez, e che un autista lo accompagnasse in giro per la città ogni giorno. Nessun interrogatorio o testimonianza che coinvolgesse due persone importanti come loro è stata decisiva. Charlotte, la donna che lo accompagnava da molti anni, nel sonno, non si è accorta di nulla.

Riconosciuto il cadavere, il medico, con tutti i dubbi del caso, ritiene la morte dello scrittore «probabilmente causata da intossicazione da narcotici e sonniferi rinvenuti in grande quantità nella stanza». Inspiegabilmente, data l’analisi carica di incertezze, non verrà eseguita nessuna autopsia.

Sembra che le autorità del tempo si siano occupate poco (e male) di questo fattaccio di cronaca e Sciascia, a quarant’anni di distanza dagli accadimenti misteriosi, fa apparire come dei dilettanti coloro che si sono occupati della morte di Roussel. Oltre le possibili negligenze, però, restano interrogativi su un possibile incidente o su un improbabile suicidio anticipato – si legge dalle carte – da un tentativo di tagliarsi le vene pochi giorni prima. E perché no, una possibile messa in scena, un ultimo atto eclatante e scenico di un personaggio senza dubbio fuori dal normale.