Najla Bouden Romdhane, prima donna premier del mondo arabo: è vera svolta?

Najla Bouden Romdhane, undicesimo capo del governo della Tunisia dal 2011, dovrà guidare il Paese in un momento di crisi economica e dimostrare di non essere un’operazione di facciata del Presidente Saied. 


La Tunisia ha un nuovo governo: dopo uno stallo durato più di due mesi nasce l’esecutivo di Najla Bouden Romdhane. La prima donna a capo di un governo nella storia del Paese ma anche la prima nel mondo arabo. Non soltanto Bouden: su un totale di 24 ministri, nove sono donne. Tra le novità più rilevanti: Laila Jaffal, come Ministro della giustizia, Imad Mamniche al Ministero della difesa e Othman Al-Jarandi, nominato Ministro degli esteri. Uno dei compiti più duri spetterà però a Sihem Boughdiri Nemsia, a cui è stato assegnato il Dicastero delle finanze. 

«Dobbiamo ripristinare la fiducia dei cittadini nello Stato tunisino e dei Paesi stranieri nel nostro Paese. Lottare contro la corruzione, che sta peggiorando sempre di più, per restituire ai tunisini la speranza in un futuro migliore», ha dichiarato la premier dopo il giuramento avvenuto l’11 ottobre scorso.

Romdhane è docente alla Scuola nazionale di ingegneri di Tunisi. Ha anche occupato il posto per la messa in opera dei programmi della Banca mondiale al Ministero dell’Insegnamento superiore ed è stata già consigliera di sette ministri.

Quella che sembra una svolta significativa per un Paese arabo in realtà è stata definita da molti commentatori un’operazione di “maquillage” da parte del presidente Kais Saied, che tenta di riacquistare credibilità internazionale dopo la svolta in senso autoritario del 25 luglio.

Da molti mesi, infatti, è in corso in Tunisia la più profonda crisi politica, economica e sociale dalla rivoluzione dei Gelsomini del 2011, che diede inizio alla stagione delle primavere arabe.

A fine luglio Saied, invocando l’articolo 80 della Costituzione, ha rimosso il primo ministro Hisham Al-Machichi e bloccato i lavori del Parlamento, revocato l’immunità dei deputati e posto temporaneamente l’autorità esecutiva e i compiti di governo nelle mani del presidente. Ecco perché alla luce delle facoltà che Saied ha avocato a sé la nuova premier Bouden non godrà dei poteri che attualmente la Costituzione tunisina le garantirebbe.

Najla Bouden Romdhane
(Photo by Presidency of Tunisia / Handout/Anadolu Agency via Getty Images)

Fiaccata dalla crisi economica, delusa dagli scandali e dall’incapacità del parlamento di legiferare, stanca della corruzione delle formazioni politiche più importanti, tra cui lo stesso partito Ennahda dei Fratelli Musulmani, la popolazione tunisina ha reagito tiepidamente a questa sospensione della democrazia. In realtà, solo nelle ultime settimane si sono svolte alcune manifestazioni di protesta il cui simbolo è stato la Costituzione del 2014 che il responsabile di Cartagine si propone di cambiare trasformando il governo da sistema “ibrido” semipresidenziale a presidenziale.

La forza politica più colpita dalle decisioni di Saied è stata certamente il partito Ennahda, espressione di un islam moderato che è stato protagonista della scena politica tunisina degli ultimi dieci anni, vicino all’ex premier Al- Machichi e che ha la maggioranza dei seggi in parlamento. Il partito ha dichiarato attraverso le parole del suo leader nonché presidente del parlamento, Rached Ghannouchi, che la nomina di Bouden è illegittima e ha chiesto a tutte le forze politiche e al popolo tunisino di opporsi a Saied e difendere i valori della Repubblica e della democrazia.

Ma Saied gode ancora di un largo consenso: secondo gli ultimi sondaggi il 90% dei tunisini si dice a favore delle decisioni prese dal presidente, che sarebbe al primo posto nelle intenzioni di voto alle presidenziali. Dunque, nonostante le proteste degli altri partiti e i dubbi sollevati da più parti tra esperti e costituzionalisti sulla legittimità delle azioni di Saied, la grande maggioranza della popolazione sembra più intenzionata a voler uscire dalla crisi sociale ed economica, aggravata dalla pandemia, che a mantenere saldo il percorso democratico intrapreso con la caduta di Ben Ali del 2011.

La Tunisia è stato l’unico Paese che a seguito della primavera araba abbia mantenuto una forma di governo democratica, che però si è dimostrata molto fragile e instabile. Ennahda non è stato in grado di esprimere governi forti e capaci di fare le riforme strutturali di cui il Paese aveva bisogno. Una frammentazione e una instabilità che trova la sua dimostrazione plastica nel susseguirsi di ben 11 primi ministri dal 2011 a oggi. Alla crisi politica e alla corruzione presente nei partiti si è aggiunta anche una grave crisi economica.

La crescita del PIL, che già prima della pandemia era decisamente insufficiente, si è molto aggravata negli ultimi due anni. Il PIL è calato dell’8,8 per cento nel 2020 e di un ulteriore 3 per cento nei primi tre mesi del 2021. Il tasso di disoccupazione è arrivato al 17,8 per cento e la disoccupazione giovanile ha superato il 40 per cento. La Tunisia è oggi a rischio default, tanto che la priorità per il nuovo governo e per il presidente tunisino sarà contrattare con il Fondo monetario internazionale per ottenere un prestito da 4 miliardi di dollari ed evitare così la bancarotta.

Inoltre, la pandemia da coronavirus ha messo in luce l’incapacità del governo nel gestirla. La Tunisia ha affrontato una delle peggiori crisi sanitarie di tutto il continente africano: 550 mila persone sono state contagiate e 23,451 sono morte, in un Paese di 11,7 milioni di persone. La diffusione del Covid ha bloccato il turismo, che rappresenta una delle principali fonti di reddito del Paese, e la campagna vaccinale è andata a rilento.

Il reset istituzionale voluto dal presidente lo scorso 25 luglio, la scelta di governare a colpi di decreti sospendendo il parlamento, l’arresto di numerosi oppositori politici e le preoccupazioni per l’aumento di procedimenti giudiziari nei confronti di civili davanti a tribunali militari fanno temere per la tenuta democratica del Paese. I più critici hanno parlato di un vero e proprio colpo di stato con un progressivo accentramento di poteri nelle mani di Saied che punterà a circondarsi di un governo di meri tecnocrati che gli permettano di governare indisturbato.

Il futuro della Tunisia oggi appare con un grande punto interrogativo: bisognerà capire i margini di manovra del governo guidato da Najila Bouden e augurarsi che la prima donna a capo di un governo in Tunisia sia davvero un punto di svolta per il Paese e non una “foglia di fico” utile a coprire l’ennesimo autocrate nel mondo arabo che probabilmente l’Europa fingerà di non vedere.