Marijuana e proibizionismo, è una “lunga storia”

Si è tornati a parlare di marijuana e dei suoi divieti in Italia in occasione della raccolta firme per il referendum sulla sua depenalizzazione. Quella proibizionista è una causa antica e che affonda le sue origini persino nella “ricerca del divino”.


Sin da tempi remoti, risalendo fino al paleolitico, l’uomo ha iniziato a credere in entità a lui superiori in grado di cambiare il normale corso degli eventi. Dapprima furono gli agenti atmosferici e gli elementi naturali; col passare del tempo gli uomini iniziarono a venerare divinità sempre legate alla natura – parliamo dell’animismo – e, in un secondo momento, si passò alle religioni teiste. 

Noah Harari, nel suo Sapiens. Da uomini a dèi, spiega molto bene la funzione della religione e il motivo della sua nascita, ovvero uniformare grossi gruppi di esseri umani a delle norme e dei pensieri condivisi. 

Animismo e teismo iniziano a convivere per un certo periodo di tempo ed entrambe le correnti, pur venerando in maniera differente le proprie divinità, riescono a coesistere senza sopraffare l’una sull’altra.

La ricerca del divino

La svolta si ebbe con l’avvento delle religioni monoteiste che suscitarono l’interesse di Imperatori e uomini potenti che nei secoli lottarono con ogni mezzo per diffonderle in tutto il mondo. Le principali religioni monoteiste che iniziarono a diffondersi furono Cristianesimo e Islamismo. Caratteristica principale di entrambe le religioni è la ricerca del divino al di fuori di sé. Ed è questo elemento a risultare fondamentale per comprendere l’avvento del proibizionismo delle sostanze stupefacenti.

Le religioni animiste o politeiste legate agli elementi naturali avevano tra i propri riti religiosi l’utilizzo di sostanze psicoattive che permettevano l’avvicinamento al mondo divino per poter comprendere meglio il comportamento umano. Queste sostanze erano molto diffuse soprattutto nelle terre dell’America settentrionale e meridionale, dove intere popolazioni veneravano le divinità attraverso l’uso di piante allucinogene (ayahuasca, peyote, coca e molte altre). 

I divieti, una faccenda “recente”

La storia del proibizionismo è relativamente recente. Possiamo indicare la sua origine – intesa come intolleranza all’uso di sostanze psicoattive per raggiungere il “divino” – intorno al XVI secolo, nel periodo della Riforma luterana e calvinista che demonizzò tutte quelle popolazioni che veneravano più dèi e che effettuavano riti di gruppo con uso di sostanze. 

Questa messa al bando di riti culturali e religiosi di popolazioni ancora legate a una sfera rituale più antica iniziò a creare uno stigma sociale nei confronti dei culti e delle sostanze. Si può dunque affermare che il proibizionismo ha origini molto antiche e che ad esso sono legati principalmente degli aspetti religiosi capaci di condizionare a livello sociale e politico intere popolazioni.

I principali movimenti proibizionisti sono legati all’alcol e all’oppio il cui consumo, nelle prime società moderne dopo la prima rivoluzione industriale, andava di moda e creava grossi problemi sociali. Ci si rese conto ben presto che il proibizionismo non fosse la risoluzione adeguata al problema e anzi ci si accorse che il consumo di alcol potesse portare dei vantaggi agli stati in termini economici. 

In Italia ed in Europa le prime leggi proibizioniste legate, invece, al possesso e al consumo di sostanze definite “droghe”, capaci di alterare il normale stato psicofisico, risalgono ai primi anni del ‘900. 

Proibizione non è soluzione

Questa premessa storica è necessaria per comprendere quanto radicato sia il principio della proibizione delle sostanze e quanto complicato sia poter trovare una soluzione alternativa, quanta paura si ha nei confronti delle sostanze stupefacenti e quanto impatto sociale e sui consensi abbia questo tema. 

In termini di numeri, per quanto riguarda l’Italia, il proibizionismo ha più contro che pro. È ancora in vigore la legge n. 309/1990, conosciuta come la “legge Vassalli-Jervolino”, che all’art. 73, distinguendo tra droghe leggere e droghe pesanti, indica una serie di condanne alla reclusione per tutti coloro si trovano in possesso di sostanze stupefacenti, da un minimo di sei mesi a un massimo di 20 anni.

È bene distinguere tra sostanze “leggere” e sostanze “pesanti”, in quanto non tutte le sostanze sono uguali e non tutte le sostanze causano gli stessi danni alla salute. È bene anche sottolineare come chi abusa di sostanze non è un criminale, ma una persona con un disturbo, peraltro classificato nel DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), per cui sarebbe opportuno curare questi soggetti piuttosto che punirli e incriminarli, gettandoli spesso in un circolo vizioso senza via di fuga.

I numeri del proibizionismo dicono che oltre il 36 per cento dei detenuti sta scontando delle pene relative a reati legati alle droghe (XI Libro Bianco sulle droghe) e che lo stato perde circa 20 miliardi l’anno tra spese legali, rallentamenti della giustizia e mercato nero in mano alla criminalità. Esponenti dell’associazione Luca Coscioni affermano che riducendo o eliminando la reclusione per i reati legati alla droga si eliminerebbe il problema del sovraffollamento delle carceri. 

Negli anni ‘90 e nei primissimi anni Duemila si possono ritrovare politiche a contrasto dell’uso delle droghe attraverso il superamento del proibizionismo in due importantissime nazioni. La prima è la Svizzera, che per superare il problema della tossicodipendenza da uso di eroina inizia dei programmi di recupero e reinserimento sociale offrendo, nei casi più gravi, eroina a dosi controllate. Il secondo, e forse l’esempio più eclatante, è il Portogallo che nel 2001 ha decriminalizzato tutte le sostanze stupefacenti, dall’eroina alla marijuana, ottenendo in 20 anni dei risultati molto positivi con riduzioni delle ospedalizzazioni, riduzione della spesa pubblica, riduzione di morti da overdose e l’eliminazione di diagnosi internistiche correlate all’uso di sostanze (Epatite, HIV, AIDS).

Questi esempi sono stati seguiti anche da altri paesi come Paesi Bassi, Gran Bretagna, Danimarca. In Italia, invece, oggi si parla del referendum abrogativo per la legalizzazione della marijuana

Parlando di cannabis 

La cannabis è una sostanza psicotropa di origine naturale. È una delle sostanze più demonizzate e più stigmatizzate, ma è anche una delle sostanze meno dannose in termini di dipendenza, tolleranza, assuefazione e mortalità. Non sono oggi riscontrabili casi di overdose o di morte diretta per uso della cannabis. Nonostante questo, le forze dell’ordine, anche in seguito alla legge Fini-Giovanardi (ad oggi dichiarata incostituzionale), hanno investito ingenti somme di denaro e di forze nel contrasto all’uso, al possesso e allo spaccio della marijuana

Questo fenomeno mostra però il rovescio della medaglia, ossia un facile accesso nelle piazze di spaccio a sostanze più pesanti come la cocaina o il crack. La demonizzazione della marijuana avviene negli anni ‘80, durante il boom dell’eroina, quando la classe politica ha iniziato a diffondere lo slogan “dalla canna alla siringa” mentre Vincenzo Muccioli riempiva la sua struttura a Coriano. 

Le carceri oggi sono piene di persone con problemi legali legati alla marijuana, uso, possesso, coltivazione. Ma perchè fa tanto scandalo la possibilità di legalizzare la marijuana? La risposta a questo quesito si trova – neanche a dirlo – nella lunga premessa storica: la presenza influente dello Stato Vaticano.

Fa bene, fa male

La marijuana, oltre ai suoi scopi ricreativi, è una pianta molto utile in termini di biocombustibili e di biofibre tessili, è una pianta che non richiede grossi investimenti in termini di terreno e acqua, quindi risulta anche eco sostenibile. 

Presenta dei principi attivi che sono molto utili nella cura di patologie croniche come il Parkinson e altri disturbi neurologici. Viene usata nei trattamenti di patologie psico-comportamentali molto gravi come autismo o DCA (disturbi del comportamento alimentare) che non rispondono ad altre cure tradizionali. Questo non significa che non fa male: come tutte le sostanze di abuso, se non viene controllata può causare dei danni in soggetti geneticamente fragili, esattamente come l’alcol, il tabacco e il caffè.

Riportando gli esempi di Svizzera e Portogallo, si può comprendere che una via diversa al proibizionismo esiste e lasciare la palla in mano alla criminalità e all’autoregolazione non paga. È necessario fare un’informazione adeguata, pensare percorsi di recupero, di sostegno e di reinserimento così come cambiare l’idea della dipendenza e del tossicodipendente. 

Le sostanze di abuso esistono e renderle illegali e stigmatizzate non risolve sicuramente il problema, che è molto più complesso di come appare e che forse, in alcuni casi, non è neanche un problema.

di Francesco Lo Secco