La comunità Tamil e il conflitto in Sri Lanka

La storia dei Tamil, da decenni vittime di violenza in Sri Lanka, raccontata dalla dottoressa Mari D., italiana di origine tamil con una tesi sul conflitto tamil-cingalese.


Da decenni la comunità Tamil viene discriminata nella loro stessa terra, lo Sri Lanka. Vittime di pregiudizi, soprusi e torture, i Tamil portano ancora dietro le conseguenze di una sanguinosa guerra civile terminata, di fatto, nel 2009. 

Ma chi sono i Tamil? Qual è la loro storia? E cosa significa oggi essere tamil in un’altra nazione? Ce ne parla Mari D., che abbiamo intervistato in quanto appartenente alla comunità Tamil, nonché dottoressa in Lingue e letterature straniere laureatasi con una tesi dal titolo Conflitto tamil-cingalese: una prospettiva autoetnografica all’Università di Palermo. 

Le origini dei Tamil risalgono all’India meridionale, dove si trova anche lo Stato del Tamil Nadu. Successivamente, con le varie migrazioni, si sono spostati nell’isola dello Sri Lanka, dove attualmente risiedono maggiormente nell’area settentrionale e nella zona costiera. 

I Tamil, racconta Mari D., si sentono parte della nazione, lo Sri Lanka è la loro casa. Avevano sempre vissuto in armonia con i cingalesi, che compongono gran parte della popolazione, ma gli inglesi hanno accentuato le differenze tra le due etnie professando la superiorità di razza di una rispetto all’altra. 

Inoltre, gli inglesi sembravano favorire i Tamil, in quanto venivano visti come privilegiati, e questo ha portato i cingalesi a definirli usurpatori di una terra che, secondo questi ultimi, non gli apparteneva. Nel 1948, a seguito dell’ottenimento dello status di dominion britannico che stabiliva una certa autonomia dalla Corona, si formò il primo governo dello Sri Lanka, il quale – per ottenere un maggior numero di voti – escluse i Tamil, rivolgendosi soltanto ai cingalesi perché costituivano la maggior parte della popolazione. Questa prassi fu adottata anche dai governi successivi.

Dopo diversi anni di violenze nei confronti dei Tamil, nel 1983 inizia il famoso Luglio Nero. Alcuni giovani Tamil attaccarono un convoglio militare cingalese: «Si era sparsa la voce che i Tamil li avessero attaccati senza motivo, ma invece era un segno di ribellione da parte dei Tamil che chiedevano diritti uguali per tutti», spiega Mari D.

Un gesto, quello compiuto dai giovani Tamil, per rimarcare che erano stanchi di assistere a una netta distinzione tra le due etnie e a una graduale cancellazione della lingua Tamil nel territorio. Da allora, le tensioni si acuirono e molta gente cingalese non comprese le motivazioni dietro quell’attacco, scagliandosi contro la comunità Tamil.

Nonostante il clima di tensione, Mari D. ci racconta che vi erano anche episodi in cui i cingalesi aiutavano i Tamil. In quei giorni di caos, l’esercito arrestava e incarcerava persone perché Tamil; in treno un insegnante si salvò perché, oltre a indossare casualmente abiti non tamil, una donna cingalese gli si sedette accanto per far credere all’esercito che fossero una coppia. Nessuno proferì parola e così lui si poté salvare.

Uno degli eventi più crudeli fu il Massacro di Kokkadicholai, conosciuto anche come Massacro di Rice Mill, del 1991. A seguito dell’esplosione di un trattore dell’esercito cingalese a causa di una mina piazzata sulla strada, i militari cingalesi scatenarono la loro furia sull’intero villaggio di persone Tamil. Quel giorno l’esercito uccise circa 150 civili in pochissime ore. Alcuni di essi si rifugiarono in un mulino (da qui il nome Massacro di Rice Mill), ma nessuno sopravvisse.

Mari D. nacque proprio negli anni ‘90, durante la guerra civile. «La gente si spostava continuamente di città in città, non avevamo mai un posto fisso. Un poliziotto cingalese con cui mio padre era in contatto, ci aiutò a sistemarci vicino a un accampamento militare.

Dopo due settimane, la guerra si era intensificata e per tre giorni ci fu un bombardamento molto intenso, non si poteva uscire di casa», ricorda Mari D. sottolineando quanto fosse difficile vivere anche con la costante paura che qualcuno potesse fare la spia. Per circa tre anni la situazione rimase stabile e la famiglia potè tornare al nord del Paese, dove non c’erano bombardamenti, ma soltanto  controlli di routine. 

Dopo il trasferimento in Italia di Mari D. e della sua famiglia, la situazione in Sri Lanka rimaneva comunque instabile. «L’esercito teneva un foglio delle persone che vivevano fuori dallo Sri Lanka. Tornati nel Paese, controllavano il cognome per vedere se spuntava nella lista e molte persone in questo modo sparivano senza lasciare traccia».

Ad oggi, circa 60 mila persone sono state dichiarate scomparse, come riporta anche un articolo di Human Rights Watch, e si crede che molte vittime siano state rapite e torturate proprio da alcuni ufficiali del governo. Secondo un report delle Nazioni Unite, attualmente lo Sri Lanka è al secondo posto per numero di casi di persone scomparse.

A tal proposito, Mari D. ha evidenziato quanto sia ancora pericoloso viaggiare in Sri Lanka poiché numerose persone Tamil, una volta atterrate, non hanno mai fatto ritorno. «Anche mia madre dovette fare attenzione quando tornò in Sri Lanka qualche anno fa. Bisogna sempre cercare dei favori per far sì che il passaporto non cada nelle mani sbagliate».

Una volta arrivati in Italia, però, l’accoglienza fu molto positiva: «La gente è sempre stata molto accogliente, anche i miei genitori non hanno mai avuto problemi a integrarsi. Vi sono molte somiglianze tra la Sicilia e lo Sri Lanka sia a livello di mentalità che di clima».

Sebbene il verificarsi di episodi di razzismo, Mari D. dichiara che in Italia non si sono mai sentiti minacciati e non hanno mai subito nessun tipo di oppressione.

Discutendo sull’essere Tamil in Italia e in modo specifico in Sicilia, ha fieramente sostenuto che «essere Tamil in Sicilia significa anche mantenere la tua identità». Le manifestazioni e gli eventi di commemorazione organizzati in città hanno fatto sentire le persone Tamil parte di qualcosa e inclusi nella comunità. Inoltre, anche i cittadini si sono dimostrati curiosi di questa cultura, definendo le persone Tamil come persone che lavorano sodo, diligenti e che non si arrendono mai. 

Sebbene questa sia una testimonianza di un processo di integrazione andato a buon fine, ciò che ha sempre dato problemi è stata la burocrazia italiana. «Pesa un po’ non essere riconosciuti come italiani. Abbiamo il passaporto dello Sri Lanka, siamo Tamil, ma io non mi sentivo al 100 per cento Tamil. È la nazione dei miei genitori ma io mi sentivo per il 70 per cento italiana. Quindi non essere riconosciuta nemmeno come italiana pesava».

Da qualche anno Mari D. ha la cittadinanza italiana, ma aver dovuto rinnovare il permesso di soggiorno per tutti questi anni, con il rischio di essere rimpatriata nonostante sia cresciuta in Italia, è stato un fardello non indifferente. Lei si identifica come italiana di origini srilankesi e si sente un ponte tra due culture.

Ancora oggi i Tamil si trovano ad affrontare diverse problematiche che si sono acuite con lo scoppio della pandemia da Covid-19. All’aumento dei casi, infatti, il governo cingalese ha deciso di costruire dei dipartimenti Covid nella parte settentrionale del paese, area abitata maggiormente da Tamil. Questa scelta fatta dall’attuale governo dello Sri Lanka, che come quelli precedenti non vanta di posizioni a favore di questa etnia, è stata percepita dalla popolazione Tamil come un modo per non mettere a rischio la popolazione cingalese a discapito della salute dei Tamil.

Inoltre, l’assenza di una rappresentanza politica per i Tamil aumenta le discriminazioni. Mari D. si augura infatti che in futuro venga eletto il primo presidente Tamil della storia del Paese. 

La storia dei Tamil è una storia ancora nascosta e di cui si parla poco. La speranza è che le seconde generazioni, spiega Mari D., possano almeno rendere più consapevoli le persone riguardo a quello che è successo in passato ma che continua ancora ad accadere nel presente.

Infatti, il genocidio dei Tamil avvenuto durante la guerra civile, e che conta tra le 80 mila e 100 mila vittime,  ancora non è stato formalmente riconosciuto dalle Nazioni Unite. La mancata presa di responsabilità e i fatti che ancora vengono taciuti contribuiscono alla poca informazione e consapevolezza riguardo a questa importante parte di storia contemporanea. 

Proprio per questo motivo Mari D. spera in un futuro migliore per la storia della sua gente. «Mi auguro che il genocidio dei Tamil venga davvero riconosciuto anche dalle Nazioni Unite. Che saremo liberi di rimodellare una storia che comunque ci appartiene».


Immagine in copertina di Chandrumaruthappan