La fine dell’era Merkel, un bilancio economico

Dopo quattro mandati consecutivi, volge al termine l’era di Angela Merkel. Facciamo un bilancio dell’eredità lasciata dalla Cancelliera all’economia tedesca.


Lo scorso 26 settembre, i cittadini tedeschi si sono recati alle urne per le elezioni federali e fra i vari nomi papabili mancava quello di Angela Merkel. Si conclude uno dei cancellierati più lunghi della storia politica tedesca, secondo al momento solo a quello di Helmut Kohl, durato 16 anni e 26 giorni.

Appartenente al gruppo parlamentare unico nel Bundestag CDU-CSU – nato dall’unione dei partiti gemelli Unione Cristiano-Democratica di Germania (CDU) e Unione Cristiano-Sociale in Baviera (CSU) – Angela Merkel viene eletta per la prima volta nel 2005 e confermerà la sua leadership per le tre elezioni federali successive. In tutti questi anni, il cancellierato di Angela Merkel presenta un tema ricorrente: la crisi. 

«La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie». Questa citazione, attribuita ad Albert Einstein, sembra essere il leitmotiv dei quattro mandati di Angela Merkel, nel corso dei quali è stato necessario affrontare, solo per citare gli eventi più importanti: la maggiore crisi finanziaria della storia (2008), seconda solo a quella del 1929, e la crisi dell’euro; la tragedia nucleare di Fukushima (2011); la questione ucraina (a partire dal 2014); l’emergenza legata ai flussi migratori (2015); la crisi dei rapporti transatlantici a seguito dell’elezione di Donald Trump (2017) e, last but not least, l’attuale scenario pandemico e le sue conseguenze economiche. 

Nonostante tutti questi scenari avversi, che hanno coinvolto la Germania sia dal punto di vista nazionale che internazionale, l’era Merkel si è contraddistinta, oltre che per gli innumerevoli successi in campo politico – dove un ruolo fondamentale è stato svolto dal processo di modernizzazione attuato dalla Cancelliera all’interno del proprio partito – per gli importantissimi risvolti in campo economico. Durante i 16 anni di governo, Angela Merkel è riuscita a consolidare la posizione della Germania tra le prime economie al mondo (quarta) e ad affermarsi come la terza potenza esportatrice.

Merkel

Poco più di 20 anni fa, nel 1999, The Economist definiva la Germania come “The sick man of the euro”, sottolineando quanto profondo fosse lo stato di recessione in cui quest’ultima ormai si ritrovava. Nel 2004 si assiste a una svolta, grazie al piano di riforme avviato dall’allora Cancelliere Schröder che, in estrema sintesi, si poneva l’obiettivo di riformare lo «Stato protettore», esortando la popolazione a lavorare di più e più a lungo, diminuendo il peso fiscale e tagliando i  costi amministrativi.

Su tali riforme, lasciate in eredità dal suo predecessore, Angela Merkel ha costruito il cosiddetto “secondo miracolo economico”. L’importante fase di crescita della Germania nell’era Merkel appare ancora più chiara se si vanno ad analizzare alcuni tra i più importanti Key Performance Indicator (KPI) che rappresentano l’andamento economico di un Paese: l’andamento del PIL e il tasso di disoccupazione

L’andamento del PIL

Tra importanti fasi di crescita e brevi fasi di arresto, il PIL tedesco nell’arco piano 2005-2020, secondo i dati pubblicati dalla Banca mondiale, è passato da 2.846 a 3.806 miliardi di dollari (+960 miliardi di dollari, pari al +33,7 per cento). Si pensi che il PIL dell’intera Unione Europea (UE), nello stesso periodo, è passato da 11.906 a 15.193 miliardi di dollari (+3.287 miliardi di dollari, pari al +27,6 per cento), facendo registrare quindi una crescita di circa cinque punti percentuali inferiore a quella tedesca.

Il peso economico del Paese si è tradotto ben presto in prestigio politico e ciò ha portato la Germania a diventare il principale protagonista del progetto europeo, influenzando in modo netto l’assetto politico-istituzionale dell’UE.

Il tasso di disoccupazione

Il tasso di disoccupazione, secondo i dati pubblicati dalla Banca mondiale, è passato dall’11,7 per cento a poco più del 4,3 per cento, con una riduzione pari al -7,4 per cento. Si pensi che il tasso di disoccupazione dell’intera UE, nello stesso periodo, è passato dal 9,6 per cento al 7,4 per cento (-2,2 per cento), facendo registrare quindi una variazione di circa 5 punti percentuali inferiore a quella tedesca.

È molto interessante notare come la Germania abbia raggiunto tali risultati anche grazie all’aumento della quota delle lavoratrici, che è passata nell’arco piano 2005-2019 (ultimo dato disponibile), sempre secondo i dati pubblicati dalla Banca mondiale, da circa 41,3 a circa 43,9 milioni, determinando di fatto un aumento di ben 10 punti percentuali. Questo trend ha garantito alla Germania, nell’ambito del tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro tra i Paesi del G7, il passaggio dal terzo posto del 2005 al primo del 2019. 

Un altro importante contributo all’aumento dei livelli occupazionali è da ricercare senz’altro nella sfida colta da Angela Merkel relativamente alla crisi migratoria del 2015. Aver accolto e integrato rifugiati in fuga dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq ha messo a disposizione del Paese nuova forza lavoro che ha contribuito all’incremento dell’occupazione all’interno dello Stato, seppur tra impieghi a basso reddito.

Il cancellierato di Angela Merkel ha anche portato a un’interessante riduzione, in termini di tasso di disoccupazione, delle disuguaglianze tra Germania ovest e Germania est, divario che fin dalla riunificazione tedesca è sempre stato campo di aspri dibattiti. 

Il dopo Merkel

Gli elettori hanno proclamato vincitore il Partito Socialdemocratico di Germania “solo” con il 25,7 per cento delle preferenze, il che non garantisce al candidato Cancelliere, Olaf Scholz, un mandato schiacciante per governare. Il Gruppo Parlamentare di stampo social-democratico, alla prima elezione dopo 16 anni senza Angela Merkel, subisce dunque una brutta battuta di arresto (-8,8 per cento di preferenze rispetto alle elezioni precedenti). Segue il CDU-CSU con il 24,1 per cento.

Senza ombra di dubbio, Angela Merkel è riuscita negli anni a fare il bene del proprio Paese e a tenere insieme l’UE, in anni molto difficili. In un quadro generale di estremo disordine economico e politico, Angela Merkel è stata un esempio di leadership, di professionalità e di rettitudine. Lascia ai suoi successori un’eredità importante che dovranno essere in grado di cogliere e innovare, volgendo lo sguardo alle sfide del futuro.


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