Cop26, a Glasgow si attendono azioni e meno «bla bla bla»

La conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici giunge a un appuntamento quasi “fatale”: tutti, soprattutto scienziati e attivisti, attendono che l’ambiente, il tema dei temi, diventi il centro di ogni azione dei governi del mondo.


Alla Cop26 di Glasgow, in Scozia, sono attese decine di migliaia di persone provenienti un po’ da tutto il mondo, se consideriamo i leader mondiali (e i loro rispettivi entourage), gli scienziati e i numerosissimi attivisti, già rumorosi in occasione della Pre-Cop26 di Milano. Nella metropoli scozzese, e precisamente allo Scottish Event Campus, si terrà il ventiseiesimo vertice sul clima delle Nazioni Unite, semplicemente uno degli incontri più attesi del decennio. Perché? Diverse emergenze a livello globale, ripetutamente ignorate dalla maggioranza dei Paesi nel mondo, hanno posto al centro del dibattito dei ricercatori sul clima la necessità di mettere in moto azioni importanti e cambiamenti profondi per arginare il cambiamento climatico.

Quest’anno, per l’ennesima volta, si è assistito a fenomeni estremi, non certo per unicità, ma per la preoccupante frequenza che stanno mantenendo. Da molti anni i ricercatori sottolineano gli impatti crescenti del riscaldamento globale e la Cop26 (XXVI Conferenza delle parti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite) – che avrà luogo dal 31 ottobre al 12 novembre – sembra rappresentare un’ultima chiamata alla difesa del pianeta per i governi del mondo.

Le due settimane della Conferenza delle parti vedranno i leader politici e imprenditoriali mettere sul tavolo le proposte per ridurre le emissioni di gas serra. I piani climatici, infatti, sono stati “obbligati” dalla precedente conferenza parigina. Gli scienziati porteranno nella discussione il monitoraggio delle emissioni e le valutazioni sulle possibili soluzioni climatiche che, con il solo massiccio investimento sulle rinnovabili (in particolare da parte della Cina, desiderosa di una posizione privilegiata e monopolistica nel mondo), non beneficeranno di un contributo decisivo. 

D’altronde, la battaglia contro il cambiamento climatico – in una direzione disastrosa – resta un’azione comune che coinvolge Paesi industrializzati e Paesi in fase di sviluppo, questi ultimi “pressati” affinché costruiscano la propria crescita senza fare affidamento sui combustibili fossili. Condizione che sta trasformando il rinnovabile, l’energia pulita, in un vero e proprio affare. Serviva che questo settore fosse, appunto, una ghiotta occasione per vedervi transitare una quantità impressionante di miliardi, soprattutto negli ultimi due anni.

Se non hanno visto applicazione gli impegni presi ben 12 anni fa alla Cop15 con gli accordi di Copenaghen, non hanno prospettato uno spirito diverso neanche quelli dello scorso anno. Un obiettivo mancato è certamente quello di fornire 100 miliardi di dollari all’anno, in finanziamenti per il clima, alle nazioni in via di sviluppo entro il 2020, impegno slittato di fatto al 2023. Uno degli obiettivi stabiliti in questi anni a livello ufficiale è quello di limitare il riscaldamento globale a 1,5/2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Si gioca tutto sul tema del riscaldamento: non c’è più tempo per i «bla bla bla», citando la provocazione di Greta Thunberg alla conferenza milanese di alcune settimane fa.

Sono davvero tanti e distruttivi i «bla bla bla» di questi decenni, decenni che ad oggi, per Glasgow, portano ad aspettative (obbligate) da parte di scienziati e attivisti di tutto il mondo. È del 1992 una delle convenzioni più importanti per fronteggiare il cambiamento climatico: firmata da oltre 100 nazioni, la “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” prevedeva di ridurre le emissioni globali secondo uno schema che assegna responsabilità climatiche diverse a paesi sviluppati e in via di sviluppo. Ma solo alla Cop21 di Parigi, nel 2015, si è deciso congiuntamente di limitare il riscaldamento globale assegnando una cifra-obiettivo precisa. Ventitré anni – una generazione! – di attese, indecisioni, scontri e, forse, anche indifferenza.

Diverse valutazioni scientifiche hanno mostrato i limiti delle promesse fatte sei anni fa a Parigi sul riscaldamento globale e che i ritmi delle emissioni di gas serra di questi anni non avrebbero consentito il raggiungimento dell’obiettivo. La pandemia da Covid-19 ha inoltre ritardato l’aggiornamento dei progressi dei Paesi firmatari degli impegni parigini sul clima. Le nazioni, infatti, esporranno i loro primi (veri) aggiornamenti a Glasgow, dando seguito a quanto deciso.

I diversi negoziati Cop, in tanti anni e tante conferenze più o meno decisive e, sotto pochi aspetti, capaci di imporre misure vincolanti, hanno mostrato tutti i limiti dell’imprenditoria e delle politiche ambientali nazionali. Le concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera, infatti, continuano ad aumentare a un ritmo che gli scienziati prevedono avrà conseguenze pericolosissime nei prossimi anni.

Tantissimi studi affermati hanno lanciato l’allarme negli ultimi 50 anni. Ed è bene ripassare alcuni eventi che testimoniano quanto la ricerca sul clima non si sia mai fermata e quanto, allo stesso tempo, sia rimasta inascoltata. 

È dal 1958, grazie a Charles David Keeling, che possiamo effettuare le analisi delle concentrazioni di anidride carbonica atmosferica, scoprendo oggi che ci stiamo dirigendo verso il raddoppio dei valori rispetto all’epoca preindustriale (420 particelle di CO2 per milione contro le 250/280, e la cifra è in aumento). Dalla fine degli anni Ottanta si sostiene che l’effetto serra ha effetti decisivi sul cambiamento climatico ed è per questo che, nel 1990, il primo rapporto sul riscaldamento globale delle Nazioni Unite definisce il riscaldamento globale «potenzialmente la più grande sfida ambientale globale che l’umanità deve affrontare».

A Berlino si tenne la Cop1, la prima Conferenza delle parti delle Nazioni Unite: in quell’anno, nel 1997, venne adottato il Protocollo di Kyoto, con i primi obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni da parte delle nazioni ricche. Da allora, l’appuntamento danese prima, e quello francese poi, hanno subito un brusco arresto dopo lo strappo di Donald Trump col ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, fortunatamente ricucito dalla successiva, e attuale, amministrazione Biden, pronta ad aggiornare per la prima volta gli impegni statunitensi alla Cop26, questi sì, impegni concretamente incisivi nella riduzione delle emissioni nell’atmosfera.


Foto in copertina Flickr Marco Verch