Ancora i fascisti: il canale della rabbia che fa comodo

La pandemia ha portato alla nascita di movimenti-risposta a seguire delle misure straordinarie di contenimento prese in Italia, così come un po’ in tutta Europa. La recrudescenza di certe destre accade in un mondo di privilegiati, sempre a caccia del nemico, prima all’esterno (i migranti) e adesso nei governi “dittatura”.


Il gruppo rivoluzionario di estrema destra “Area”, fondato da quel Giuliano Castellino che ha urlato alla folla No Pass di assaltare la sede romana della Cgil, dice a chiare lettere su Italia Mensile come si riconoscono i camerati: fattore comune fondamentale è «lo stile dei bravi ragazzi che vivono la strada, dagli spalti all’attività politica di piazza, con quella sobrietà sportiva dello stile casual». Non solo: il buon neofascista indossa una camicia botton down o una polo, un cappello da baseball, chiamato anche “zuccotto”, un giubbotto tecnico o militare, pantaloni jeans o combat e sneakers ai piedi.

I camerati non indossano la divisa squadrista, la camicia nera, e se si pensa che siano sempre piccoli gruppi di persone rinchiuse in scantinati a progettare il prossimo “colpo di stato”, si è totalmente fuori strada.

Fascismo vecchio e nuovo

Perché questa introduzione quasi ironica sull’outfit ideale per riconoscere il neofascista? Semplicemente per dire che il fascismo mussoliniano del ventennio dittatoriale e totalitarista è bello che dimenticato e non tornerà più. Nella politica italiana dell’oggi e di domani il fascismo da combattere è quello fondato sulla violenza – verbale e non – xenofoba, razzista, omofoba e discriminante verso tutte le minoranze.

Sfatiamo così questo panico per una forza dittatoriale che vuole tornare al potere in Italia. È qualcosa di più subdolo, già capillarmente diffuso nei partiti dell’arco repubblicano: il neofascismo, una realtà quotidiana presente nei valori di molti più italiani di quanto ipotizziamo, nonostante si continui a ripetere il mantra che relega il fascismo a un mero momento storico italiano superato o affrontato dalla destra italiana (e dai suoi elettori). Fateci comunque caso (evidenze sulla cosiddetta “Lobby Nera” a parte): non si offende quasi nessuno tra le file della Lega e di Fratelli d’Italia quando gli si rivolge l’epiteto fascisti.

D’altronde, uno degli argomenti che più fanno sogghignare certi esponenti della destra italiana all’arrivo dell’ennesima accusa di “connivenza fascistoide”, è lo spauracchio dell’ideologia fascista avvertito dalle sinistre che, nel mondo occidentale odierno, ovviamente, non riuscirebbero a calarvi quelle caratteristiche personalità carismatiche e potenti che gridano da pulpiti che si affacciano su piazze assordanti. 

«È un momento storico finito», «Mussolini è morto», «Non si può parlare di fascismo e quindi anche di antifascismo, sono vecchie categorie» sono le risposte divertite da destra; certo, la storia è storia – ed è “in bianco e nero” –  ma è anche una serie di valori e tradizioni che cambiano forma e colore, si adattano al nuovo habitat, ai nuovi disagi. Nascondersi dietro l’illusione che l’appellativo “fascista” che si rivolge a determinati personaggi o manifestazioni faccia riferimento al passato italiano è, senza giri di parole, ridicolo. Non a caso giornali, televisioni ed esponenti politici utilizzano “fascista” e “neofascista” in maniera quasi intercambiabile perché, di fatto, la matrice valoriale è chiarissima, che si utilizzi l’una o l’altra espressione. Con buona pace dei Treccanisti.

forza nuova

Perché antifascismo allora?

È ovvio che l’antifascismo – quello concreto e non piegato dal panico – deve porre contestazioni politiche che nulla hanno a che vedere con quella memoria orrorifica protesa alla minaccia futura di un regime autoritario in Italia. L’antifascismo, che non è una vecchia categoria semplicemente opposta al fascismo ma la natura stessa della Costituzione italiana, costituisce la difesa dei diritti sociali e civili, delle fondamenta egualitarie costituzionali, dello sviluppo della cultura libera e della libertà di stampa, della scienza e delle arti.

Dimentichiamo il folklorismo dai capelli brizzolati (ma soprattutto bianchi) di coloro che si recano a Predappio per onorare la tomba del dittatore del Ventennio. Questo è, possibilmente, il vero caso di nicchia, lontano anni luce dall’elettorato ricercato dai nuovi sovranismi e populismi nella destra italiana. 

I movimenti neofascisti, chiaramente coinvolti nelle scelte politiche locali, regionali e persino nazionali ed europee dei partiti che condividono “la buona condotta democratica” nelle istituzioni, penetrano nelle periferie delle grandi città italiane inseguendo il disagio sociale e la rabbia popolare. Si inseriscono laddove si sta sviluppando, ad esempio, una diatriba popolare tra pochi cittadini all’interno di una questione di sfratto o assegnazione di un appartamento a una famiglia rom; organizzano raccolte di alimenti da donare “solo a famiglie italiane”, e magari con tanto di volantino elettorale di un partito amico; sfruttano la questione No Vax per infiammare l’odio verso il governo, tacciato – tanto per cambiare, un altro paradosso – di essere una «dittatura sanitaria» in grado di comprimere irrimediabilmente le libertà fondamentali degli Italiani.

I nemici e gli uomini liberi

Quello che l’estrema destra porta avanti, da anni accolta in più di un partito di destra in Italia, è una sfida alle istituzioni senza vergogna e senza paura di essere definita «fascista», in un Paese che ha un precedente ingombrante come una dittatura fascista (e non stalinista!). Forse, nonostante i tentativi di «pacificazione nazionale», il fascismo non è mai stato schiacciato del tutto dalle forze parlamentari e quindi da centinaia di migliaia di elettori.

Negli ultimi anni, lo spettacolo terrificante, dai social alle piazze, è stato – e continua ad essere – un pericoloso miscuglio di “slogan di regime” e di opposizione ai presunti monoliti dietro le democrazie occidentali. Serve sempre un avversario oscuro, che si tratti del pensiero unico, dei giornalisti, dei banchieri, dei globalisti e di chiunque possa essere definibile un (necessario) nemico.

Il fenomeno, che non è solo italiano ma europeo, riporta ad alcuni tentativi chiarificanti, in particolare a quello di Erich Fromm affrontato nella sua opera Fuga dalla libertà, ormai più di settant’anni fa. Secondo lo psicanalista tedesco l’uomo di oggi, senza più le antiche costrizioni della società, non ha conquistato quella libertà a cui aspirava davvero. Nonostante indipendenza e razionalità, la libertà lo ha reso insopportabilmente «isolato, ansioso e impotente». L’uomo contemporaneo può solamente fuggire dal peso di questa libertà, cercando nuova dipendenza e nuova sottomissione, quindi una personalità autoritaria, oppure tendere alla realizzazione della propria libertà, puntando alla sua individualità, in altre parole, «a diventare uomo».


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