Polonia, un altro muro nell’Europa unita

Lo schieramento dei soldati in Polonia per la costruzione di un muro anti-migranti lungo il confine bielorusso mette nuovamente in luce tutte le debolezze dell’Ue.


Verso la fine del mese di agosto, in Polonia, il governo di estrema destra guidato dal Primo Ministro Mateusz Morawiecki, leader del partito sovranista “Diritto e Giustizia”, ha deciso di schierare oltre duemila soldati lungo il confine con la vicina Bielorussia.

I soldati sono stati inviati per dar manforte alla polizia di frontiera nella costruzione di un muro che dovrà servire ad arrestare il passaggio di migranti clandestini. Il muro polacco possederà le caratteristiche di quello ungherese posto al confine con la Serbia e costruito nel 2015.

La recinzione sarà alta oltre due metri e composta da filo spinato. Varsavia ha voluto sottolineare che la decisione non ha nulla a che vedere con il tentativo, da parte delle forze governative polacche, di impedire l’arrivo di profughi provenienti dall’Afghanistan, a seguito della presa del potere da parte dei talebani nel Paese. 

Il provvedimento – che comunque rischia di escludere migliaia di richiedenti asilo provenienti dal nuovo emirato talebano – a detta di Morawiecki, è una diretta conseguenza della crisi migratoria scatenata dal regime di Aleksander Lukashenko in Bielorussia; crisi pianificata – secondo Polonia, Lettonia e Lituania – per destabilizzare i Paesi vicini. 

Il governo di Minsk è accusato dunque di voler deliberatamente rompere gli equilibri dell’area, spingendo forzatamente migranti e rifugiati verso Paesi come Polonia e Lituania; una risposta alle sanzioni imposte dall’UE, dopo il dirottamento del volo Ryanair dello scorso maggio per arrestare un giornalista dissidente

Da inizio 2021 la Polonia ha effettivamente registrato un arrivo di oltre quattromila migranti, dei quali duemila solo nel mese di agosto: 1175 sono stati respinti, mentre oltre 750 sono finiti nei centri appositi. 

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) ha imposto a Polonia e Lituania di occuparsi e prestare cura a 32 afgani e 41 iracheni di etnia curda bloccati nel limbo del confine tra Lituania e Bielorussia. In particolare, ai due Paesi è stato intimato, attraverso misure straordinarie in vigore fino al 15 settembre, di garantire prestazioni mediche, cibo, acqua, vestiti e un riparo temporaneo ai migranti. Le imposizioni della Corte EDU comunque non obbligano Polonia e Lituania ad assicurare l’ingresso dei richiedenti asilo nel proprio territorio.

Quello polacco è un muro che amaramente non sa di novità; solo l’ultimo in ordine di tempo, dopo oltre trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino. All’interno dell’Europa unita, si continuano a erigere recinzioni e fili spinati, simboleggianti la enorme separazione che vige tra chi vive nella parte fortunata del mondo, e chi ha avuto la sola sfortuna di essere nato in un luogo dove le ingiustizie e le violenze regnano incontrastate.  

Progettata da tempo, una barriera di oltre 40 chilometri è stata di recente completata e innalzata tra Grecia e Turchia. Riconoscimento radar, palloni aerostatici e oltre 400 agenti di Frontex sono solo alcuni dei mezzi a guardia del muro greco e della frontiera ellenica con la Turchia.

Non solo la Polonia; anche la Lituania, ad agosto, ha iniziato la costruzione di un muro di oltre 500 chilometri, lungo il confine con la Bielorussia. Vilnius ha fatto sapere che i lavori dovrebbero finire entro la fine del 2022. Se ci si chiede cosa ne pensi l’Unione Europea, la risposta (inaspettata ma non troppo) parlerebbe addirittura di un finanziamento da parte di Bruxelles, a seguito dell’approvazione e solidarietà di alcuni ministri degli esteri europei. 

Anche Bulgaria e Turchia sono ormai da tempo divise da oltre 200 chilometri di barriera fatta di filo spinato. Come già menzionato poc’anzi, 500 chilometri di recinzione dividono l’Ungheria dalla Serbia e dalla Croazia, mentre oltre 200 chilometri di muro separano l’Austria dalla Slovenia e dalla Croazia.

Altre costruzioni simili sono presenti nelle enclave spagnole in Marocco Ceuta e Melilla, da poco salite tristemente agli onori della cronaca a causa della forte crisi migratoria che la Spagna affronta per controllare i propri confini nel continente africano.


Immagine in copertina di Alan Denney