Un altro modo di crescere un figlio: intervista a “Mamma Superhero”
Abbiamo intervistato Silvia D’amico, autrice del podcast “Mamma Superhero”, un progetto che offre tantissimi spunti innovativi su come alleviare la fatica di crescere i figli ed essere, allo stesso tempo, genitori che si riconoscono come leader calmi e sicuri.
Come mai hai deciso di lanciare un podcast? E come il Respectful parenting ha cambiato la tua prospettiva sull’essere genitore e sulla genitorialità? «Da molti anni i podcast mi accompagnano durante la mia giornata. Ho trovato grande incoraggiamento e aiuto da podcast americani che trattano di genitorialità ed educazione dei figli. Quando mi sono accorta che in italiano l’offerta di questo tipo di risorsa era molto limitata, ho deciso di lanciare il podcast Mamma Superhero.
Da una parte volevo offrire il tipo di supporto che io trovavo nei podcast che ascolto, dall’altra avevo il desiderio di condividere le mie scoperte sul respectful parenting, una filosofia educativa che ha cambiato la mia visione della maternità. Se dovessi riassumere in tre punti i benefici che ho tratto da questa filosofia, ecco quello che direi: il respectful parenting mi ha dato il permesso di prendermi cura di me; mi ha liberato dal senso di colpa, il famoso mom guilt; e mi aiuta a crescere bambini non traumatizzati dalla disciplina tradizionale.
I danni dalla disciplina tradizione basata su punizioni, sgridate, minacce e inganni, sono ormai ben noti grazie alle numerose ricerche. La mia missione è quella di diffondere la notizia che c’è un modo alternativo di crescere i figli».
In uno degli ultimi episodi di Mamma Superhero è stata intervistata Beatrice Zacco, affrontando un tema molto delicato ma sempre grandemente attuale, ovvero l’imposizione per le donne di scegliere – quando non è rinunciare – di lasciare la propria vita lavorativa per seguire la propria famiglia. Inizi sempre il tuo podcast dicendo “Io sono Silvia, imprenditrice, moglie e mamma di tre bambini”. Ecco, in questa tua presentazione spiccano le tue caratteristiche principali ossia, l’essere imprenditrice, l’essere moglie e infine l’essere mamma. In che modo il respectful parenting ti ha aiutato a gestire tutte quelle situazioni in cui dovevi dividerti tra lavoro e famiglia? «L’equilibrio famiglia-carriera è forse il più delicato per le donne del 2021. Anche noi abbiamo sogni, progetti, obiettivi, che spesso ci vengono negati per via delle convenzioni istituzionali e culturali. “Non puoi essere una brava madre, se non sei con tuo figlio 24 ore su 24”.
Il respectful parenting mi ha insegnato a fare del mio meglio con il tempo e le risorse che ho a disposizione. Ho capito che per come sono fatta io, per essere una madre presente, paziente e una guida per i miei figli, ho bisogno di lavorare. Il mio lavoro mi appassiona, mi accende il cervello, mi dà la possibilità di interagire con altri adulti e raggiungere i miei obiettivi. Se significa che devo assumere una tata, delegare e lasciare che altre persone si occupino dei miei figli, questo non fa di me una cattiva madre. Perché quando sono in “modalità mamma” dedico tutte le mie attenzioni ai bambini. D’altronde si sa: quality over quantity!».
Che cos’è dunque il respectful parenting? E cosa ti ha spinto a scegliere questo approccio educativo con i tuoi figli piuttosto che utilizzare i metodi della disciplina tradizionale? «Il respectful parenting è la filosofia di Magda Gerber, educatrice della prima infanzia e fondatrice di RIE (Resources for Infant Educarers). Si fonda su sette principi: 1. Fiducia nel bambino. Dato che il neonato è già un essere completo, possiamo fidarci di lui, certi delle sue competenze e della sua autenticità. 2. Un ambiente sicuro e stimolante. Un ambiente sicuro consente al bambino di muoversi liberamente e sviluppare capacità motorie, e al genitore di stare tranquillo sapendo che il figlio non corre alcun rischio. 3. Gioco ininterrotto. I bambini sono capaci di giocare in autonomia e non devono essere intrattenuti 24 ore al giorno. 4. Libertà di esplorare. Una volta che ha a disposizione un ambiente sicuro, il bambino deve essere lasciato libero di esplorare e portare avanti i suoi tentativi spontanei di movimento, rispettando i limiti fissati dall’adulto per il bene del bambino e delle altre persone o cose. 5. Partecipante attivo. In qualsiasi attività legata alla cura del neonato, ad esempio cambio del pannolino, bagnetto, ecc., il bambino è un partecipante attivo e non un “sacco di patate”, (passatemi il termine). 6. Osservazione attenta. Tramite l’osservazione non intrusiva il genitore trova risposta a tante domande. 7. Limiti chiari e costanti. I limiti sono una parte integrante della disciplina, e dire “no” ai bambini è una forma di amore. Il genitore stabilisce limiti necessari per la sicurezza del bambino, degli altri e dell’ambiente circostante».
“Accettare le emozioni del bambino e imparare a riconoscerle”, “Non fare paragoni”; queste sono due delle frasi più ricorrenti nel tuo podcast. Perché, secondo te, gli adulti si ritrovano sempre in difficoltà rispetto all’accettazione delle emozioni del bambino e conseguentemente anche verso i capricci? E perché fanno paragoni senza sosta? «Secondo me ci portiamo da sempre questa idea che il bambino è inferiore e l’adulto è superiore. Ci aspettiamo inoltre che il bambino si comporti da adulto. Quindi nel momento in cui il bambino presenta un comportamento o una reazione che non ci piace e che noi classifichiamo come negativa, ci sentiamo in dovere di dominare e insegnare una lezione.
Se capissimo invece che il comportamento (capriccio) è comunicazione e che il bambino non ha gli strumenti cognitivi e intellettivi per esprimere come si sente, la nostra risposta alle sue emozioni sarebbe molto più empatica.
Per quanto riguarda i paragoni, mettiamo sui bambini un’enorme pressione di performare e restare al passo con altri. Ogni bambino è diverso e sviluppa determinate capacità con tempi diversi. La gara a chi fa qualcosa prima è assolutamente inutile e rischia di comunicare al bambino un senso di inadeguatezza e incapacità, che va poi a intaccare la sua autostima».
A differenza della disciplina tradizionale che prevede una costante interruzione e controllo di ogni attività del bambino, nel respectful parenting viene invece messa in luce l’importanza del gioco autonomo e come questo sia fondamentale per sviluppare la concentrazione. Come e perché è importante il gioco autonomo? «Il gioco autonomo ha enormi vantaggi per il bambino. È fondamentale per lo sviluppo ottimale del cervello del bambino. I benefici sono cognitivi e non-cognitivi. Ad esempio: miglioramento del linguaggio, pensiero critico, risoluzione dei problemi, capacità di pianificare e prevedere le conseguenze, abilità emotive, relazionali, sociali. Il bambino deve essere produttore, regista e attore del suo gioco. Il genitore dovrebbe limitarsi a osservare in modo attivo e seguire la guida del bambino».
Razzismo e disciplina tradizionale: che correlazione c’è? Ma soprattutto che alternative ci offre il respectful parenting? «Il razzismo si basa sull’idea che alcune razze sono superiori ad altre. Ad esempio, secondo la supremazia bianca le opinioni e le azioni degli uomini bianchi sono le uniche realtà che hanno valore e vanno ascoltate. Si tratta di un potere assoluto, che non va contrastato, ragionato, spiegato, né tanto meno messo in discussione. C’è una scarsa considerazione dell’altro, si ignorano sentimenti ed emozioni, non esiste rispetto del diverso. La visione tradizionale del rapporto genitore-figlio contiene gli stessi elementi. I metodi educativi tradizionali, nonché il modo in cui sono stati cresciuti alcuni uomini e donne della mia generazione (e di conseguenza molti prima di noi), presentano sulla punta della piramide delle figure genitoriali da temere, forti e indiscutibili. La loro parola è un ordine, i loro gesti possono ferire, ed è solo così che viene esercitata l’autorità e assicurata l’educazione dei figli.
Nel respectful parenting, genitore e figlio hanno lo stesso valore e i bisogni di entrambi vanno rispettati; le loro opinioni, idee, preferenze sono sullo stesso piano. Chiaramente il bambino è immaturo e l’adulto è una guida responsabile. Ma non per questo deve essere aggressivo, violento, presuntuoso. È possibile educare in maniera non violenta da una parte, e non farsi mettere i piedi in testa, dall’altra. Perché questa è spesso la paura di chi abbandona metodi autoritari. Il bambino fa quello che vuole? No, le regole e i limiti esistono ma vengono applicati con rispetto e affetto. Inoltre, si trasmette al bambino l’idea di amore incondizionato: non ti voglio bene solo quando ti comporti bene, ma il mio amore per te è totalmente indipendente dal comportamento o dall’emozione che stai imparando a gestire. E questo comunica un’immensa sicurezza al bambino».