Arte interattiva: esperimenti, installazioni e cavie-fruitori

L’arte da cavalletto pare superata da un certo numero di artisti, che preferiscono creare vere e proprie esperienze per i visitatori, alle volte facendoli “godere” in tutti i sensi, come nel caso di Orgasmatron Redux.  Parliamo di Arte Interattiva


A partire dal Primo settembre dell’anno corrente presso la nuova area della Serre dei Giardini Margherita di Bologna, Serra Madre, è aperta al pubblico l’installazione Orgasmatron Redux. Il titolo dell’opera è di per sé esplicativo: l’artista Norma Jeane (nessun caso di omonimia, solo un semplice ma ricercato pseudonimo evocativo), difatti, ha posto alla base della sua realizzazione il concetto di «piacere» rifacendosi, a sua volta, agli studi orgastici del controverso medico Wilhelm Reich.

Secondo quest’ultimo, la vita sessuale di ogni individuo dovrebbe essere caratterizzata da una «pienezza e potenza orgastica» possibile solo se realmente liberi nell’espressione di sé e nell’espressione dei propri sentimenti sessuali. Tuttavia è noto che ciò che egli auspica è  apertamente contrastato da una repressione della sessualità di stampo sociale – tra i primi fautori la famiglia stessa con la sua educazione sessuofobica e proibitiva.

Parola d’ordine, dunque, libertà: Norma Jeane – di cui non sappiamo fornirvi nemmeno il sesso, tanto vuol celare la sua identità – dà vita a un piccolo spazio pubblico ma intimo, dunque usufruibile da chiunque voglia ma esclusivamente in compagnia di sé stessi, in cui sentirsi liberi di provare un “indotto” stato di benessere. A causarlo, elementi che, sposati quasi scientificamente tra loro, regalano al fruitore un’esperienza artistico-sensoriale fuori dagli schemi.

Orgasmatron Redux si presenta, dall’esterno, come una piccola cabina in legno ma è ovvio che la vera e propria opera è racchiusa al suo interno: le pareti sono rivestite da lana di pecora e lana di ferro, luce rossa soffusa e la possibilità di fruire di un paio di cuffie che passano la registrazione di voci, risate complici, sensuali, erotiche. L’ambiente, come se non bastasse, è giornalmente impregnato da androstenone, androstenolo e copuline. Norma Jeane, in sostanza, ha creato il cocktail adatto a risvegliare la libido nel visitatore, inglobato e attivo partecipe dell’opera in mostra.

Insomma sembra, o magari è così, che l’intento dell’artista sia quello di far fare i conti al singolo con la propria sessualità decontestualizzandola, traslandola al di fuori della propria comfort zone, infrangendo il muro del privato, rendendo libero ciò che Wilhelm Reich ha da sempre considerato necessariamente privo di briglie.

Orgasmatron Redux è un trionfo sinestetico: tutti i sensi sono coinvolti e quindi protagonisti soddisfatti all’interno di questa “cabina del piacere”, così come il fruitore che non è più semplice visitatore nella sua più comune accezione, ma è parte fondamentale dell’installazione, motore e cavia allo stesso tempo.

Arte e artisti interattivi

Il coinvolgimento di tutti e cinque i sensi in campo artistico e, quindi, la partecipazione attiva, prende il nome di arte interattiva e potrebbe esser definita la “nuova frontiera” dell’arte contemporanea: poniamo tra virgolette la dicitura dal momento in cui è una corrente esistente già da tempo, ma che sta trovando sempre più spazio ultimamente. Attenzione, però: con questo non vogliamo etichettare come obsoleta la mera osservazione di un’opera d’arte o il classico giro in una galleria, ma semplicemente rendere noti modi alternativi di fare e fruire arte.

Ed è proprio questo modo di farla conoscere e viverla che sembra aver avvicinato i più giovani all’arte, quella fetta un po’ più difficile da coinvolgere: video, installazioni interattive, tangibili o percorribili, creano percorsi in e con cui si può concretamente socializzare, ma anche riflettere. Sbagliata è, difatti, l’idea per la quale interattivo è sinonimo di divertimento: alla base vi è sempre un’idea, un concetto, una denuncia espressa solo diversamente. È sempre l’idea a far l’arte, che questa sia ludica o meno.

Il mondo dell’arte contemporanea ci fornisce una vasta gamma di artisti che interagiscono con i visitatori per mezzo delle loro opere. Uno di questi è Rikrit Tiravanija con la sua arte della condivisione con la quale riesce ad abbattere la cosiddetta “quarta parete”, facendo così immergere i fruitori all’interno di una pseudo quotidianità da lui ricreata e andando oltre l’aspetto museale. Tiravanija, inoltre, è solito trasformare le gallerie d’arte in cui è invitato a esporre in temporary kitchen (“cucine temporanee”), in cui lui stesso prepara cibi – perlopiù legati alla tradizione thailandese, la sua nazionalità – per i visitatori-ospiti.

È noto che il pranzare, il desinare o in soldoni il cibo, sia il mezzo ancestrale di socializzazione motivo per cui i banchetti da lui imbanditi, aperti a tutti a titolo gratuito, oltre che soddisfare olfatto e gusto non sono altro che “piattaforme per condividere”, in netto contrasto con l’individualismo della società odierna che implicitamente denuncia, al fine di sollecitare una potenziale socialità. Tra tutti.

La sinestesia e l’interattività è alla base dei lavori di Ernesto Neto, il quale si focalizza su una esperienza visivo-olfattiva. Le opere multisensoriali dell’artista brasiliano invadono lo spazio, dando vita a spazi suggestivi in cui bisogna immergersi per sentirli, viverli. Crea nuovi universi di senso, environment, frutto dell’assemblaggio di materiali come pietre, spezie, erbe medicinali ma anche percorribili labirinti in lycra o in crochet.

L’idea è quella di ricreare una natura primordiale ed evocatrice all’interno di spazi desueti, abbracciando altresì il concetto di spiritualità, al limite dello sciamanico. Sfidiamo, difatti, a non rimanere esterrefatti dinanzi a questi macrocosmi che rifuggono dall’antropocentrismo, caratterizzati da forme morbide e sinuose (gli inconfondibili “polloni”) dagli ipnotizzanti colori e penetranti profumi.

Esterrefatti così come quando si partecipa a una mostra dell’artista Carsten Holler. Il verbo partecipare non è usato a caso: le sue installazioni sono il più delle volte simili a delle “giostre”, le gallerie che le ospitano diventano – senza alcuna offesa – “parchi divertimento”.

Evadere dalla realtà, infatti, è la prerogativa dell’artista che conosce bene le dinamiche artistiche e quindi il rapporto sincronico che si sviluppa tra il fruitore e l’opera: l’estasi che ne può derivare dall’interazione, il catapultarsi in un mondo altro. Ed è proprio su questo che lavora: la creazione di quei mondi che stanno oltre e altrove fatto di labirinti, percorsi sensoriali al fine di stimolare a 360 gradi il visitatore. 

È il caso di Upside down Mushroom Room, per esempio (ma credeteci, il repertorio di Holler è vasto e vario), uno spazio in cui dei grandi funghi, realizzati così come presenti nell’immaginario collettivo – nutrito da cartoni animati e film – sono posti all’ingiù: è questo il vero mondo, quello che si cela dietro le opere e che Carsten Holler rende tangibile e percorribile, o quello in cui viviamo?

Non solo da artista, ma anche da scienziato qual è. Il suo obiettivo è suscitare inusuali reazioni e vuole investigare su esse, le nuove frontiere della percezione attraverso quelle che potrebbero essere definiti esperimenti, installazioni in cui il visitatore è inconsapevole ma curiosa e divertita cavia, utilizzando un eufemismo.

Questo modo di fare e vivere l’arte può risultare discutibile agli occhi di chi si ritiene più tradizionalista e concepisce l’esperienza artistica come un qualcosa di privato e intimistico, ma con grande probabilità provoca maggiore curiosità. Il visitatore passivo diventa protagonista attivo e l’opera perde la sua autoreferenzialità, in un inatteso e invertito gioco delle parti: l’evento espositivo si trasforma, così, in un percorso di crescita, durante il quale è possibile passare del tempo con se stessi prendendone consapevolezza, compreso di ciò che ci circonda. Tutto ciò  riuscendo al contempo ad abbracciarne il lato ludico, godendoselo. Quindi sì, siate curiosi e ne sarete appagati.

Immagine in copertina da Luce – La Nazione


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