Carcerati in Italia: facciamo il punto su un dramma nazionale
Cosa è successo dopo l’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere? Ma soprattutto, come sta andando l’estate in carcere?
Se i fatti accaduti tra il 5 e il 6 aprile dell’anno scorso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere hanno messo in luce un sistema penitenziario violento e totalmente fallimentare – che con la pandemia è ulteriormente peggiorato – allora la nostra riflessione sul carcere si incentra su temi che tutti noi conosciamo già ma che non ricevono mai la giusta attenzione.
Dal rapporto di metà anno di “Antigone” viene fuori un sistema penitenziario che non riesce a ripartire o che forse in realtà non è mai ripartito con attività e mancanza di personale dovuta specialmente al ritardo con cui sono decollati gli utlimi concorsi pubblici – funzionario giuridico pedagogico, dirigente penitenziario, dirigente Uepe, ecc. – che hanno ulteriormente ritardato la ripresa o la ripartenza (a seconda di come la si voglia guardare) di tutte le attività che venivano svolte in carcere.
Proprio dai fatti di Santa Maria Capua Vetere la ministra Cartabia e la ministra Lamorgese hanno sottolineato come la mancanza di personale altamente specializzato all’interno degli istituti di pena sia un grave problema da affrontare e conseguentemente da risolvere in modo da permettere a tutti gli istituti di pena di attrezzarsi per soddisfare tutte le esigenze previste dalla legge sull’ordinamento penitenziario.
Inoltre, nel corso di questi ultimi mesi, si è parlato tanto dell’importanza del lavoro all’interno e all’esterno degli istituti di pena e, infatti, dai dati di Antigone emerge che solo un terzo della popolazione detenuta lavora e che l’88 per cento di questi è alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria con mansioni che hanno a che fare con i servizi interni allo stesso istituto o legati alla manutenzione ordinaria degli edifici; soltanto il 12 per cento dei detenuti lavora per imprese o cooperative esterne.
Questo è un punto fondamentale, perché parte anche da qui il problema detentivo: l’assenza di lavoro fuori e dentro il carcere tende ad aumentare il numero delle persone recidive, ed infatti emerge chiaramente che la popolazione carceraria, specie al sud, si trovi in condizioni detentive per aver commesso reati contro il patrimonio. Ecco che allora, il lavoro dentro e fuori gli istituti di pena assume un ruolo fondamentale per evitare il reinserimento in un circolo vizioso che ingolfa il sistema.
Aumento preoccupante dei casi di autolesionismo
Un ulteriore problema che porta con sé l’estate (ma che si verifica anche nel periodo natalizio) è il numero dei casi di autolesionismo sia tra i detenuti ma anche tra gli agenti. Questo perché sia il periodo estivo ma anche quello delle vacanze di Natale diventa difficoltoso da reggere sia sotto un profilo psicologico ed affettivo perché il carcere così concepito punisce la sfera affettiva e anche sessuale dei singoli detenuti, sia perché sono questi i periodi dell’anno in cui è difficile sopravvivere alle condizioni climatiche e “abitative” in carcere.
In estate, per la mancanza di acqua, la scarsa igiene dovuta all’uso in comune dei bagni e il conseguente scarso igiene fa in modo che la detenzione diventi una doppia punizione. Quindi, il carcere lascia sempre segni sul proprio corpo, la punizione diventa corporale.
Se ci pensiamo un attimo, anche i fatti del 5 e del 6 aprile 2020 sono iniziati proprio per le proteste del reparto Nilo di Santa Maria Capua Vetere perché un detenuto era risultato positivo al Covid e le proteste avevano come oggetto la richiesta da parte dei detenuti e degli internati di ricevere ulteriori dispositivi di sicurezza per evitare il diffondersi del contagio.
Dunque, la mancanza di igiene favorisce anche un alto livello di conflittualità: è come se ad un certo punto la punizione non sia più soltanto in merito al fatto che si è commesso ma anche per il proprio status di detenuto. Ecco che allora il punto rimane sempre lo stesso: impostare e concepire il carcere in modo diverso con la consapevolezza che il dare speranza non è soltanto una possibilità ma è un dovere, una responsabilità che coinvolge tutti.