Afghanistan, diritto d’asilo e strumenti giuridici

I talebani hanno preso il potere in Afghanistan: ecco perché accogliere chi fugge non è una scelta, ma un dovere degli Stati.


Dopo la caduta di Kabul, l’Afghanistan è un emirato islamico in mano ai talebani. L’ex presidente Ashraf Ghani è scappato durante l’ingresso degli estremisti nella capitale, domenica 15 agosto, rifugiandosi all’estero. Il Paese è nel caos: migliaia di persone sono scappate dalle proprie case e si sono dirette all’aeroporto di Kabul, nel disperato tentativo di riuscire a mettersi in salvo.

In meno di un mese, i talebani hanno riconquistato il potere, città dopo città. Diverse ambasciate sono state evacuate, i diplomatici sono stati trasferiti dal Paese in sicurezza. I social media locali raccontano di donne costrette a indossare il burqa, uomini in abiti tradizionali e con la barba, tv e radio silenziate.

Giornalisti ed esperti stanno elaborano pronostici su possibili ondate migratorie e i politici dei  Paesi europei hanno già iniziato a discutere di strategie per gestire i richiedenti asilo, a volte con chiari intenti speculativi. Ci si pone il problema da una parte di gestire le istanze d’asilo di afghani già presenti in Europa, e dall’altra di prepararsi a rispondere alla possibile emergenza umanitaria in atto.  

Ebbene, occorre chiarire da subito che i richiedenti asilo provenienti da un Paese in cui vi è il rischio di subire un danno grave alla vita, non possono non essere accolti. A sostegno di quanto appena detto, si richiamano principi costituzionali, obblighi sanciti da trattati e Convenzioni internazionali che impongono di proteggere chi fugge da morte, tortura e minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale.

afghanistan

Ai sensi dell’art. 10 comma 3 Cost., il diritto di asilo si configura come un diritto soggettivo perfetto che sorge in capo allo straniero allorché venga accertato l’impedimento nel Paese di origine all’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

In Italia, questo principio è stato rifuso nel D.Lgs n. 251/2007. L’art. 14 del Decreto riconosce la protezione sussidiaria nei casi in cui sia ravvisabile un danno grave alle persone, declinato nelle tre ipotesi di:
a) condanna  a  morte  o  all’esecuzione  della  pena  di morte;
b)  tortura  o  altra  forma  di  pena  o  trattamento  inumano  o  degradante  ai  danni  del  richiedente  nel  suo  Paese  di  origine;
c)  minaccia  grave  e  individuale  alla  vita  o  alla  persona  di  un  civile  derivante  dalla violenza  indiscriminata  in  situazioni  di conflitto  armato  interno  o  internazionale.

Sostenere, dunque, che l’Italia non dovrebbe farsi carico di nuove richieste d’asilo avanzate da persone in fuga da Paesi in guerra, come parte della politica ha sostenuto, non è corretto. 

Come già detto, è un dovere degli Stati europei e dell’Italia garantire asilo a coloro che si troverebbero esposti a violenza indiscriminata nel proprio Paese d’origine. Ciò è sancito altresì dalla Convenzione di Ginevra che all’art. 33 stabilisce: «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».  Il principio enunciato è denominato di non refoulement e comprende anche i casi di deportazione, trasferimento forzato e non ammissione alla frontiera. È ormai considerato parte del diritto internazionale consuetudinario, quindi vincolante per tutti gli Stati.

Non vi è, dunque, alcun dubbio sull’esistenza del dovere gravante sugli Stati di accogliere chi fugge dalla guerra. Ci si chiede, tuttavia, se in virtù di tali principi è possibile desumere un obbligo positivo di istituire corridoi umanitari o altre azioni al fine di salvare i possibili richiedenti asilo.

La base giuridica su cui possono essere istituiti i corridoi umanitari è l’art. 25 del Codice dei Visti (Regolamento UE 810/2009), che consente agli Stati dell’Unione Europea di emettere visti umanitari per raggiungere l’Europa in sicurezza in favore di persone in particolari condizioni di vulnerabilità. I corridoi sono l’esito di un lungo dibattito fra le istituzioni europee, avvenuto a seguito del flusso dei profughi kosovari del ’99, che percorrevano una parte di quella che oggi viene definita rotta balcanica. Alla luce di questa vicenda, le istituzioni europee hanno elaborato lo strumento dei corridoi umanitari, ancora però poco utilizzato.

Nonostante il loro scarso utilizzo, però, i corridoi potrebbero rappresentare uno strumento tecnico e politico d’impatto per la crisi afghana. È infatti estremamente difficile uscire dall’Afghanistan senza un aiuto esterno da parte di altri Stati, ed è quasi impossibile attraversare le frontiere libiche e turche. Se si ritiene che l’Italia e l’Europa abbiano un dovere di intervento, allora bisogna agire con strumenti finalizzati a garantire il diritto di movimento dei cittadini afghani, elaborando progetti per un ingresso sicuro in Italia. In tale ottica, i corridoi umanitari dovrebbero essere rielaborati in modo da divenire progetti utili a rendere possibile il salvataggio di un flusso di persone sempre più ampio, allargando la cerchia degli aventi diritto e non rimanendo strumento per l’aiuto di pochissimi fortunati.

In conclusione, gli Stati hanno sicuramente il dovere di accogliere e garantire il diritto d’asilo a chi fugge dalla guerra, ma hanno altresì il dovere di elaborare strategie che mirino a garantire canali di accesso nei Paesi sicuri. Solo così potrà ritenersi rispettato quel principio di solidarietà internazionale che dovrebbe guidare l’azione dei governi.