Diritti LGBTQI+ in Italia: il punto sul ddl Zan

Il ddl Zan è rimasto bloccato per mesi in Commissione Giustizia del Senato, sottoposto a continue proposte di emendamenti e ostacolando il percorso verso l’inclusività in Italia.


Forse incredibile, ma assolutamente vero, il ddl Zan approderà in Senato il prossimo 13 luglio. A partire da novembre 2020 – mese in cui il disegno di legge è stato approvato alla Camera – è iniziato un percorso lento e travagliato, fatto di rimpalli e ostruzionismo. Ma la data adesso c’è, ed è ufficiale: martedì 13 luglio alle ore 16.30 avrà inizio la discussione nelle stanze di Palazzo Madama. 

Anche questa data è stata stabilita con non poche difficoltà: da un lato, il centrodestra formato da Lega e Forza Italia ha avanzato la proposta di rinviare la calendarizzazione al 20 luglio; dall’altro, Fratelli d’Italia ha suggerito di cancellare il provvedimento dai piani del Senato, sostituendolo con una discussione sulla commissione d’inchiesta sui rifiuti. 

Superate queste circostanze avverse – secondo il segretario del Pd Enrico Letta – l’effettiva calendarizzazione farebbe ben sperare sui voti favorevoli che il disegno di legge dovrebbe presumibilmente ottenere dai senatori e dalle senatrici chiamati a esprimersi nei prossimi giorni. 

Per diversi mesi, il ddl Zan è rimasto bloccato in Commissione Giustizia del Senato, sottoposto a continui rimaneggiamenti ed emendamenti e l’ultima discussione avvenuta il 6 giugno non è stata esente da tali proposte. 

Le modifiche al testo del ddl Zan

In primis, la modifica dell’articolo 1 – caldeggiata da Italia Viva – prevederebbe l’eliminazione del concetto di identità di genere dal testo della legge. Il ddl in questione introduce l’aggravante per crimini d’odio “per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” ampliando la casistica contemplata dalla legge Mancino: la modifica proposta cambierebbe la dicitura in “motivi fondati su omofobia, transfobia e disabilità”. 

Di fatto, verrebbero messi da parte i riferimenti alla misoginia in un momento in cui altre convenzioni internazionali sull’argomento riscontrano sempre più difficoltà nell’essere ratificate.

Inoltre, con l’eliminazione dell’orientamento sessuale sarebbero tutelate solo le persone omosessuali, escludendo tutte le altre sfumature come l’asessualità o la pansessualità.

Tuttavia, il vero nodo della questione è rappresentato dalla sostituzione di quelle tre parole – identità di genere – che escluderebbe dal testo del ddl alcune categorie di persone, come ad esempio coloro che non si riconosco nel genere corrispondente al sesso biologico ma non hanno avuto la possibilità di iniziare un percorso di transizione per qualsivoglia motivo: di salute, di lavoro o perché si riconoscono in un’identità di genere non binaria, dunque non corrispondente esclusivamente al sesso maschile o femminile. 

Secondo il deputato Alessandro Zan, l’identità di genere è già presente nell’ordinamento italiano, integrata grazie alla convenzione di Istanbul e tutelata come diritto fondamentale della persona. Dunque, eliminare il concetto dallo spettro dell’articolo 1 significherebbe rendere il ddl una norma discriminatoria. 

Italia Viva torna all’attacco sull’articolo 4, conosciuto come clausola salva-idee. L’obiettivo del partito fondato da Matteo Renzi è quello di eliminare in toto il testo, che recita: “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. 

Approvando il ddl con l’articolo così formulato, secondo una parte della sinistra e del centrodestra, si rischierebbe di introdurre il reato d’opinione e di mettere in pericolo la libera espressione delle idee.

La realtà dei fatti forse è diversa: l’articolo così formulato – già frutto di rimaneggiamenti – non nega la possibilità di esprimere la propria opinione, ma evita che questa si trasformi in un atto discriminatorio o violento, che potrebbe rivelarsi traumatico per la persona che lo subisce e punibile in base all’articolo 604 bis del codice penale. 

Infine, l’articolo 7 – l’unico in cui si faccia menzione delle scuole – prevede che vengano organizzate iniziative per promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione e contrastare pregiudizi, discriminazioni e violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. 

La modifica proposta, consterebbe nell’aggiungere la dicitura “nel rispetto della piena autonomia scolastica”, compiendo di fatto un passo indietro nell’uniformazione delle attività previste nell’ottica di una giornata contro l’omolesbobitransfobia. 

La politicizzazione dei diritti umani 

Dopo l’ingerenza della Chiesa e l’ostracismo da parte della Lega, anche i deputati di Italia Viva che sembravano sostenere la calendarizzazione del ddl Zan hanno fatto un passo indietro. Si teme per la maggioranza che gravitava intorno al disegno di legge e per un possibile accordo sottobanco tra Italia Viva e il Carroccio. Un’ulteriore discussione e approvazione di emendamenti rischia di riportare il testo alla Camera per una nuova lettura che rallenterebbe ulteriormente i lavori. 

Ciò che dai leader della destra e di IV viene presentato come un tentativo di “mediazione” e “dialogo” – che si traduce in continui rimodellamenti del testo di legge – in realtà costituisce un’ulteriore presa di posizione nei confronti dei princìpi fondamentali e dei valori che il ddl sottende, già in parte tutelati dalla Costituzione, con l’obiettivo a lungo termine di creare nuovi equilibri politici che possano imporsi a Montecitorio.

Ancora una volta, tuttavia, la politica italiana stipula accordi sulla pelle delle persone, con il rischio di far pagare un prezzo troppo elevato a quei gruppi sociali a cui non viene garantito il godimento dei diritti umani basilari.


Immagine in copertina di Ludovic Bertron