Vertice UE, soliti scarsi risultati in tema di immigrazione

Dopo il vertice UE tenutosi a Bruxelles il 24 e il 25 giugno, l’unica certezza sulle politiche migratorie resta il rifinanziamento alla Turchia per il controllo della rotta balcanica. La redistribuzione dei migranti fra i 27 Stati membri è un miraggio.


Durante il Consiglio europeo svoltosi a Bruxelles il 24 e il 25 giugno, la discussione sulle politiche dell’immigrazione e di asilo è durata meno di mezz’ora. Nonostante il tentativo di Mario Draghi di far diventare quello dei migranti un tema centrale a livello europeo, come sempre, quando se ne parla non si cava mai un ragno dal buco.

Il Consiglio europeo ha chiesto alla Commissione di formalizzare una proposta per rafforzare i partenariati con la Libia e gli altri paesi di provenienza dei migranti in Africa per “settembre-ottobre”. Mentre per il rinnovo dell’intesa con Erdogan, voluta da Angela Merkel sei anni fa per fermare i flussi dai Balcani diretti prevalentemente in Germania, si procederà con un accordo che potrebbe essere approvato dal Parlamento europeo entro luglio. Finanziamento che si somma ai sei miliardi già riconosciuti ad Ankara per gli anni scorsi. 

Per quanto riguarda la rotta orientale, infatti, la Commissione ha già preparato una bozza di documento. C’è un totale di 5,7 miliardi di euro che andranno suddivisi così: 3,5 miliardi alla Turchia, 2,2 tra Siria, Libano e Giordania.

Le rotte africane sono certamente più complesse da affrontare proprio per la situazione di forte instabilità dei paesi interessati. Per adesso, le risorse che potrebbero esservi destinate sono solo 2 miliardi. Quindi, si punta tutto sui sostegni economici ai Paesi di provenienza dei flussi e di transito per allentare la pressione sulle frontiere esterne dell’Unione, mentre l’argomento tabù resta sempre il meccanismo redistributivo tra tutti i paesi europei per alleviare la pressione sugli stati membri di frontiera.

Il capitolo dei ricollocamenti rimane una questione politicamente scomoda, non solo perché tema bandiera di tutte le destre radicali d’Europa, ma anche per l’attuale momento politico che vede due dei principali paesi europei – tra l’altro i paesi che più degli altri si sono fatti carico di un numero importante di rifugiati – che vanno a elezioni. La Germania a settembre – con Merkel che lascia la CDU con un forte calo di consensi – e la Francia tra meno di un anno, con il secondo turno di elezioni regionali alla vigilia del Consiglio europeo che ha registrato una fortissima astensione. 

L’Italia, nel frattempo, prova a rafforzare l’intesa con la Spagna di Sanchez – che vive le stesse problematiche da paese di frontiera – e con gli altri paesi del Med5 (Grecia, Malta e Cipro) per rilanciare un asse mediterraneo. Va in questa direzione la decisione di sbloccare la  riforma dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), acconsentendo a dotarlo delle caratteristiche di un’agenzia a pieno titolo che fornisca assistenza agli Stati che lo richiedano: una sorta di ufficio di controllo europeo sulle domande di asilo. Su questo dossier, l’Italia manteneva una posizione intransigente, sostenendo che la riforma del governo delle migrazioni in Europa dovesse essere negoziata “a pacchetto”: o tutto o niente.

Insomma, se non per il fatto che si è tornato a parlare di immigrazione in un vertice europeo, dal punto di vista pratico restano irrisolti tutti i principali nodi. In particolare, la gestione dei flussi provenienti dalla Libia. 

Sulla questione libica il confronto è avvenuto durante la seconda Conferenza di Berlino dello scorso 23 giugno. L’obiettivo è creare un percorso che possa essere condiviso, visti i molteplici interessi degli attori presenti in Libia, in preparazione anche alle prossime elezioni di dicembre che rimangono a rischio. 

Il tema più controverso è il ritiro delle forze mercenarie presenti sul suolo libico, che insieme alle truppe straniere ammontano a circa 20.000 unità secondo le stime dell’ONU. Le truppe mercenarie e straniere avrebbero dovuto lasciare il Paese entro 90 giorni dalla firma dell’accordo di cessate il fuoco ma questa scadenza non è mai stata rispettata.

Le principali truppe sul territorio sono la Wagner russa ancora stanziata a Sirte e le forze inviate da Emirati, Egitto e soprattutto dalla Turchia, che con i suoi soldati ha contribuito in maniera decisiva a respingere l’assalto di Haftar su Tripoli e non si sogna neanche di ritirare i militari turchi presenti in Libia.

Il sultano Erdogan tiene in pugno l’Europa non solo sul versante orientale, aprendo e chiudendo i rubinetti dei flussi di persone quando gli pare, ma è anche decisivo negli equilibri libici. E l’UE lo premia generosamente a suon di miliardi, non avendo ancora una strategia migliore per gestire i flussi migratori.

Il confronto sull’immigrazione e sulla stabilizzazione di uno dei principali paesi coinvolti nel fenomeno vede dunque da una parte un’Unione europea armata di sole buone intenzioni – con pochi, pochissimi fatti – e dall’altra competitor come la Turchia e la Russia che non vanno tanto per il sottile quando si tratta di proteggere i propri interessi. Insomma, un confronto decisamente impari.