Cinema e riflessione sociale. Parliamo con Luna Gualano dell’importanza dell’arte

Luna Gualano, regista, produttrice e autrice, è l’ultima di una serie di artisti/e e lavoratori/trici del settore artistico che prende parte alla mini-inchiesta sul ruolo dell’arte nella nostra società.


Luna è una delle rare donne italiane che è riuscita a fare della regia il proprio mestiere. Tra film, web series, spot e video musicali, Luna Gualano si è dedicata alla regia non solo per mestiere, ma anche e soprattutto come strumento per veicolare idee e aprire discussioni e riflessioni. È il caso di Go Home – A casa Loro, uscito nel 2018, nato dal laboratorio di recitazione e videomaking “Il ponte sullo schermo”, rivolto a migranti presenti sul territorio romano e realizzato all’interno del centro sociale Strike Spa. Il progetto ha ricevuto moltissimo supporto dai colleghi, non ultimo Zerocalcare che ha firmato la locandina del film. 

Luna è una regista “impegnata” che non ha paura di usare lo strumento visivo per indurre a riflessioni etiche e politiche. Premiata da Festa del Cinema di Roma e da Roma Lazio Film Commission, Luna abbraccia la sua professione dando un esempio positivo a tantissime ragazze. 

go home luna gualano

Ciao Luna, grazie per aver accettato di condividere con Eco Internazionale i tuoi pensieri e le tue riflessioni su un argomento tanto complesso. Cos’è per te la pratica artistica? «Credo che l’estro artistico sia innato e che non spetti al creatore di un’opera definirsi un artista o meno. Sicuramente posso dire di essere un’artigiana del cinema, definizione che trovo tutt’altro che screditante, per il resto lascio la parola agli altri.  Ma senza entrare nel concetto complesso e scivoloso di “Arte”, posso dirti che, per me, lo sforzo creativo è prima di tutto un’esigenza primaria e totalizzante».

Immagino tu sia a conoscenza del dibattito sull’articolo del Sunday Times Singapore che ha reso pubblica l’indagine sulla non essenzialità del lavoro degli artisti. Questo clima influisce sul tuo lavoro? «“Con la cultura non si mangia”. Lo disse Giulio Tremonti, allora ministro dell’economia. Niente di nuovo, insomma. Quella dell’Arte “non necessaria” è una polemica che ciclicamente viene riproposta. Non mi colpisce, non mi preoccupa. Mi immalinconisce, al massimo. Perché restituisce un’immagine estremamente arida e triste di chi la porta avanti».

Data la tua esperienza nel campo della cultura visuale, puoi darci la tua visione dell’industria creativa e culturale contemporanea? «È una domanda molto complessa, forse troppo per cercare di dare una risposta univoca. Ci sono interi settori dell’industria culturale che navigano in pessime acque (spesso da anni) e altri che, invece, al momento sono in rampa di lancio oppure in piena ripresa. Il cinema (o, meglio, l’industria cinematografica), secondo me, in questo momento sta vivendo una fase interlocutoria.  Non si è capito ancora bene dove si stia andando, verso quali soluzioni ci si stia muovendo. È un po’ la “X Generation” del cinema, con 20 anni di ritardo. Probabilmente ne capiremo qualcosa di più nei prossimi tempi».

La politica e l’arte sono molto legate tra loro, non solo per via dei finanziamenti di progetti di pubblica utilità. Nonostante la grande maggioranza degli studenti d’arte siano donne, le donne registe sono percepite come una minoranza. Puoi darci la tua opinione? «Le donne registe, al momento, purtroppo sono una minoranza, in termini numerici, rispetto ai colleghi uomini. Culturalmente, nel nostro Paese, quello della regia è sempre stato percepito come un lavoro prettamente maschile. E io l’ho vissuto spesso sulla mia pelle. 

Per fortuna, però, negli ultimi anni ho visto un numero sempre crescente di ragazze anche molto giovani approcciarsi a questo mestiere. Credo che, entro qualche anno, auspicabilmente potremo assistere ai debutti di molte nuove registe donne. E questo contribuirà senza dubbio a “normalizzare” presso tutta la società l’immagine di una donna che dà l’azione su un set, spingendo altre donne a seguire questa strada».

luna gualano

Ad oggi la rappresentazione visiva e i mezzi di produzione di massa collidono fortemente, eppure in Italia è stato più volte detto pubblicamente “con la cultura non si mangia”. Essere un artista sembra non essere considerato un lavoro vero e proprio e il sindacato degli Artisti è quasi assente, tranne in rari casi che coinvolgono attori e altri artisti dello spettacolo, ma anche lì il peso è quantomeno relativo.

Posso chiederti di commentare questo stato di cose in Italia? Se ti è capitato di lavorare in altri Paesi, credi che la situazione sia la medesima o cambia la visione di questa realtà? «E torniamo a Tremonti, purtroppo. Per quanto mi riguarda, ho lavorato con produzioni estere, ma mai all’estero. Non so quale sia la situazione negli altri Paesi, sotto questo aspetto, e non me la sento di parlare di cose che non conosco direttamente.  Di sicuro, da noi, c’è ancora tanto lavoro da fare, questo è sicuro.

Al momento, fare un qualsiasi mestiere artistico, in Italia, significa trovarsi regolarmente a cercare di spiegare ai propri interlocutori che esistono davvero delle persone che vivono facendo musica, cinema, Arte in generale. Specialmente se non sei famosa come Sorrentino o Vasco Rossi, ovviamente».

Vuoi dare un suggerimento a chi studia o si approccia alla pratica? «Uno solo: non date retta ai suggerimenti di quelli che vi dicono “per iniziare si fa così”. Non esiste un solo modo per approcciarsi a questo genere di lavori, gli approcci sono tanti quante le persone che ci si dedicano. L’unica cosa che mi sento davvero di suggerire a tutti è di studiare, di lavorare sodo, di prepararsi sempre il più possibile. Non sono condizioni sufficienti ad avere successo, probabilmente, ma di sicuro sono necessarie. Non sono mestieri in cui ci si può improvvisare, non più».


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