Come cambiano i rapporti UE-Cina con Biden alla Casa Bianca

Tra una Cina che si allontana dai suoi possibili sbocchi commerciali e un’Europa che oscilla tra accordi in bilico e vecchie alleanze, l’America di Biden si rafforza.


La politica americana sembra aver preso delle posizioni ben delineate nei confronti dei suoi avversari sulla scena internazionale. I toni dell’amministrazione Biden sono diversi da quelli a cui ci aveva abituato Donald Trump, sotto molti aspetti. Di recente, infatti, gli Stati Uniti sembrano decisi a riprendere alcune vecchie alleanze che il tycoon aveva quasi lasciato perdere, in particolar modo quella strategica con l’Unione Europea.

Il G7 sembra aver impresso una svolta nell’approccio degli Stati Uniti e degli altri paesi occidentali nei confronti degli stati ritenuti “non democratici”. Dalla prima riunione in presenza dopo più di due anni emerge una linea chiara sul fronte politico, con numerose affermazioni sul piano della difesa dei diritti umani: chiaro il riferimento alla Cina e alla situazione di Hong Kong, o al trattamento di Navalny e degli oppositori in Russia.

L’obiettivo degli Stati Uniti non sembra quello di escludere completamente la Cina e la Russia dai consessi internazionali –  basti pensare alla partecipazione di Putin e Xi Jinping ai summit sul cambiamento climatico. Piuttosto, l’obiettivo è quello di contenere l’influenza dei due paesi sullo scacchiere geopolitico, come dimostra l’invito a partecipare al G7 esteso a stati dell’area dell’Indo-Pacifico come Australia, India, Corea del Sud, Sud Africa e sultanato del Brunei.

La situazione interna dei membri del G7 sembra inoltre meno stabile che in passato, complice la pandemia che ha fiaccato la fiducia nei governi occidentali.

Anche sul piano delle alleanze, i vecchi equilibri sembrano essere molto più labili. La precedente amministrazione americana, infatti, aveva creato una separazione abbastanza netta dagli Stati europei. L’UE si era quindi trovata nella situazione di poter agire con maggiore autonomia in politica estera, per non venire schiacciata dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina.

Proprio la Cina, infatti, poteva offrire agli occhi dell’Europa sbocchi interessanti sotto l’aspetto economico tanto che, alla fine del 2020, si era creato uno spiraglio per un accordo bilaterale da ratificare in un secondo momento.

Lo sforzo per questo accordo è stato guidato principalmente dalla Germania che, all’interno dell’Unione Europea, è il Paese più vicino economicamente sia alla Cina che alla Russia. La Germania è lo Stato che più degli altri ha interesse a ufficializzare una collaborazione economica tra le parti, per riequilibrare gli investimenti e il commercio tra Europa e Repubblica Popolare Cinese. 

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L’accordo è sostanzialmente fondato su tre pilastri: accesso al mercato, “livellamento del campo di gioco” per gli operatori economici (soprattutto per quanto riguarda i trasferimenti tecnologici e le imprese di Stato) e sviluppo sostenibile. La base dell’accordo, tuttavia, non è vista di buon occhio da tutti gli Stati dell’Unione Europea. 

Tra questi c’è anche l’Italia, che già col governo precedente aveva accolto con un certo scetticismo i tentativi di portare avanti l’iniziativa, sebbene sia stata la prima nazione del G7 a firmare il progetto cinese della “Via della Seta”, per poi in un secondo momento ritrattare. 

Il governo Draghi ha una posizione molto più vicina agli Stati Uniti che alla Cina. Dopo avere chiesto e ottenuto la fetta più grossa di un Recovery Fund largamente voluto e sovvenzionato dalla Germania, l’Italia tende la mano a Biden e a una possibile riaccensione di un’Alleanza Atlantica che oggi vedrebbe l’Italia attivamente impegnata contro la Cina.

La posizione del governo italiano sembra inoltre essere condivisa all’interno dell’Unione Europea. Qualche giorno fa, infatti, la Commissione Europea ha deliberato che non richiederà al Parlamento Europeo né agli Stati membri la ratifica dell’accordo con la Cina, ritenendo la situazione politica inadatta. Queste almeno sono le parole usate dal vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis. 

Nelle dichiarazioni di Dombrovskis vengono citate le recenti sanzioni europee verso la Cina – per via della persecuzione contro la minoranza musulmana degli Uiguri – e le controsanzioni cinesi che hanno di fatto bloccato l’accesso al territorio della Repubblica Popolare a molte figure del Parlamento Europeo. Questo scambio di sanzioni lascia presagire che, almeno al momento, l’esito dei negoziati è tutt’altro che scontato.

In sintesi, tra una Cina che si allontana dai suoi potenziali futuri sbocchi commerciali e un’Europa che oscilla tra nuovi accordi in bilico e vecchie alleanze, l’America di Biden sembrerebbe, per ora, uscirne più forte, riuscendo a ostacolare la formazione di nuovi equilibri che potrebbero avvantaggiare il suo principale avversario sullo scacchiere geopolitico.


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