Colombia di nuovo in piazza contro un governo che risponde con la violenza

Dal 28 aprile nelle principali piazze della Colombia diverse manifestazioni chiedono al governo di Ivan Duque nuove riforme. La risposta di quest’ultimo è stata la violenza e la militarizzazione delle città.


Il 28 aprile in Colombia è stato indetto un Paro nacional – sciopero nazionale – dopo l’annuncio della nuova riforma fiscale le cui misure economiche graverebbero sulla fasce più deboli della popolazione. Da allora decine di migliaia di persone sono scese nelle principali città colombiane per manifestare il loro malcontento nei confronti del governo del presidente Iván Duque.

Cosa prevedeva la riforma fiscale proposta

La situazione economica della Colombia non era rassicurante già prima dell’inizio della pandemia da Covid-19 e, dopo i primi mesi del 2020, la crisi economica nel Paese è diventa ancora più insostenibile: il deficit della Colombia, infatti, è triplicato crescendo fino all’8 per cento del PIL.

Il 15 aprile il governo di centrodestra del presidente Iván Duque ha presentato al Parlamento la proposta di legge sulla riforma fiscale, la reforma tributaria, il cui obiettivo principale è quello di raccogliere fondi da investire in programmi sociali che, secondo le aspettative del governo, raggiungerebbe 19 milioni di persone e abbassare la percentuale della soglia di povertà della popolazione; secondo la proposta di riforma, questi fondi dovrebbero essere ricavati dalla rimozione di molte esenzioni per l’imposta sugli scambi di beni e servizi e dell’abbassamento della soglia di base per il pagamento dell’imposta sul reddito.

A destare il malcontento della popolazione è l’intenzione del governo colombiano di aumentare l’IVA del carburante con il conseguente aumento dei beni di consumo colpendo soprattutto la classe media e le fasce più deboli della popolazione già provate dalla crisi economica. Inoltre, come denunciato dalle organizzazioni del lavoro colombiane, la reforma tributaria non colpisce le grandi imprese, le istituzioni ecclesiastiche e il settore militare, che addirittura prevedono l’aumento di investimenti statali in tale settore.

Nonostante il 2 maggio sia stato annunciato il ritiro della riforma e le dimissioni del ministro dell’economia Alberto Carrasquilla, le proteste non si sono fermate.

Dalla protesta contro la riforma alla protesta sociale contro Duque

Considerare che il malcontento della popolazione colombiana sia dovuto alla proposta di riforma fiscale – già ritirata dal presidente – è riduttivo. Al massimo la reforma tributaria può essere considerata come la goccia che ha fatto traboccare il vaso e fatto perdere la pazienza al popolo colombiano.

La gestione della pandemia da Covid-19 è stata fallimentare, soprattutto durante la terza ondata, quando il Paese si è ritrovato con gli ospedali e le terapie intensive nuovamente al collasso. La Colombia al momento ha registrato 2,92 milioni di casi di coronavirus e 75.627 decessi, nonostante il Paese abbia imposto lockdown prolungati. Questi ultimi sono stati reintrodotti a più riprese durante l’anno, ma hanno costituito pochi benefici relativi all’arresto dell’avanzata del virus. Le ripetute chiusure, inoltre, hanno causato enormi problemi economici: il 43 per cento della popolazione rientra nella fascia più povera, il 7 per cento in più rispetto al periodo pre-Covid, e oltre 500 mila attività hanno chiuso definitivamente.

Le proteste in piazza e la repressione delle forze dell’ordine

Il Paro nacional è stato indetto per il 28 aprile dalle principali organizzazioni del lavoro colombiane e hanno ricevuto l’appoggio dei movimenti studenteschi e sociali, dei collettivi femministi e delle organizzazioni indigene. Essi sono gli stessi movimenti e organizzazioni che nel settembre 2020 sono scesi in piazza per settimane dopo la morte di Javier Ordoñez, un tassista laureando in legge di 44 anni, ucciso brutalmente da due agenti di polizia.

Già durante il primo giorno di protesta la repressione da parte delle forze dell’ordine è stata brutale: nei soli primi cinque giorni di protesta, le persone uccise dagli agenti del reparto antisommossa ESMAD risultano essere più di venti; a questi numeri si aggiungono circa ottocento feriti e non è ancora stato definito il numero di manifestanti di cui non si hanno più notizie.

La situazione è degenerata quando, accanto alle forze dell’ordine che già perpetravano una repressione violenta e fuori controllo nei confronti dei manifestanti, il primo maggio il presidente Duque ha deciso di schierare anche l’esercito e militarizzare intere città.

Una delle città più colpite dalla violenza delle forze dell’ordine è Cali, la terza città più grande del Paese. Durante il primo giorno di proteste un poliziotto ha ucciso Marcelo Agredo Inchima, un ragazzo di 17 anni; nella stessa città quattro giorni dopo, Nicolás Guerrero (22 anni) è stato ucciso con un colpo di pistola in testa mentre filmava gli scontri tra i manifestati e le forze dell’ordine.

L’ONG Temblores è una delle organizzazioni locali che continua a puntare il faro contro le violenze che continuano a essere perpetrate nelle principali piazze colombiane e nei confronti di manifestanti pacifisti che tentano di esercitare il proprio diritto di sciopero. Temblores ha affermato con un comunicato che «lo Stato colombiano ha dichiarato una guerra armata contro i manifestanti pacifici» e ha pubblicato un rapporto dettagliato sugli atti di violenza. Secondo i dati di Temblores dall’inizio del paro sono stati registrati 1443 casi di violenza compiuti dalle forze dell’ordine, di cui: 31 manifestanti sono stati uccisi; 216 sono state vittime di violenza fisica; 814 hanno subito arresti arbitrari; 21 vittime hanno subito un attacco agli occhi; 77 sono i casi relativi ai colpi di arma da fuoco; e, infine, 10 sono vittime di violenza sessuale da parte della polizia. Purtroppo, ancora non si hanno dati certi sul numero dei manifestanti desaparecidos.

Non è la prima volta che Temblores si occupa di temi legati alla violenza delle forze dell’ordine: quest’anno ha pubblicato un report dal titolo Bolillo, Dios y Patria – trad. Manganelli, Dio e Patria – in cui sono raccolti casi di violenza (documentata) commessi dalla polizia colombiana dal 2017 al 2019, per spiegare che la violenza messa in atto delle forze dell’ordine non è dovuta al comportamento di pochi individui, ma trova il fondamento in un problema strutturale e sistematico che affonda le proprie radici nell’omissione legislativa nell’idea secondo cui la forza garantisce l’ordine.

L’idea secondo cui la violenza perpetrata dalle forze dell’ordine è problema strutturale è fortemente condivisa dal Comité Nacional del Paro, costituito da organizzazioni del lavoro, organizzazioni sociali e dai movimenti studenteschi. Il Comitato ha convocato una nuova manifestazione in settimana per chiedere al governo Duque di ascoltare le loro richieste in materia di economia, salute e lavoro. Il Comitato ha aggiunto che le proteste non avranno fine fino a quando il governo non deciderà di negoziare le richieste già esposte durante le manifestazioni avvenute alla fine del 2020.

Infine, il Comitato ha affermato espressamente che le proteste non si fermeranno fino a quando non verrà proclamata la fine della militarizzazione delle città, in modo da garantire ai cittadini colombiani il diritto di protesta sancito dalla costituzione e il ripristino delle libertà democratiche.


Immagine in copertina di National Police of Colombia

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