“Cavalli di Troia” in Europa? I rapporti della Cina con Serbia e Ungheria

L’Unione Europea non è mai stata così poco unita: Stati Uniti che tirano da un lato, Cina che spinge dall’altro. E dentro i palazzi di Bruxelles, volontà opposte sulle alleanze.


Un’Europa sempre più divisa al suo interno. Tra tensioni e pressioni esterne, il quadro è quello di  un’Unione Europea che di unito ha ben poco, con interessi personali e nazionali diversi, e spesso drammaticamente opposti. Da un lato, abbiamo i grandi ritorni: gli Stati Uniti che con le pressioni agli storici alleati della NATO hanno portato al congelamento di un accordo dalle basi già fragili con la Cina, principale avversario statunitense sul piano internazionale.

Dall’altro lato il colosso cinese, la cui forza economica attira molti dentro l’Unione Europea. Il suddetto accordo nasceva da uno sforzo perlopiù di matrice tedesca; alla Germania, infatti, interessava molto poter trattare apertamente con Cina e Russia, già partner economici stabili, seppur non apertamente dichiarati.

Così non è, invece, per altri Stati dell’Unione Europea. Due nomi saltano immediatamente all’occhio: Serbia e Ungheria. La prima sta apertamente beneficiando della “Belt and Road Initiative”, con investimenti cinesi sul territorio, export migliorato e prestiti per cifre altissime che stanno creando una situazione di debito dal Paese balcanico verso la Cina. Inoltre, la Serbia è uno di due Stati che, in maniera particolarmente esplicita, si sono esposti contro le risoluzioni europee in materia di diritti umani, specialmente su Tibet e Hong Kong, che l’Unione ha cercato di proporre in modo coeso e unito contro le azioni del governo di Pechino.

Ma è l’Ungheria lo stato che ancora più apertamente mostra simpatie nei confronti della Cina. A livello diplomatico, molti sono stati i paletti posti da Budapest alle azioni che potenzialmente sfavorevoli alla Cina. Il governo del Canada, infatti, aveva lanciato una petizione internazionale per proibire l’utilizzo della detenzione come strumento di ricatto nelle relazioni diplomatiche, in seguito a una serie di arresti avvenuti a Pechino, come risposta all’arresto a Vancouver e all’estradizione negli USA di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei. Nonostante il nome della Cina non venga mai fatto all’interno della petizione, solo il governo di Budapest, nell’Unione Europea, non ha ratificato il documento.

Questo è solamente uno di tanti episodi: in linea generale, infatti, Budapest osteggia e rallenta tutte le iniziative sul piano degli affari esteri di Bruxelles, che richiedono unanimità per essere approvati. Si citava, ad esempio, il tentativo europeo di manifestare supporto morale ai manifestanti pro democrazia di Hong Kong. In quell’occasione l’Ungheria, dopo aver ottenuto una diluizione della dichiarazione di supporto alla protesta, avrebbe infine rifiutato la ratifica del sostegno finale, ricevendo anche critiche dalla Germania

Anche le mozioni in favore della minoranza degli Uiguri sarebbero state accolte allo stesso modo, con una sorta di fronte comune tra Serbia e Ungheria, entrambe ormai dichiaratamente aperte allo scambio con il governo di Pechino su tanti fronti: ideologia, cooperazione militare, tecnologia e infrastrutture.

Soprattutto in quest’ultimo ambito, il premier ungherese ha parlato di numerosi accordi tra Pechino e l’Ungheria, uno dei quali riguarda il progetto ora associato alla “Via della Seta”: la ferrovia che collegherà Belgrado e Budapest, progetto messo in campo dai tre primi ministri di Cina, Ungheria e Serbia. 

Il governo ungherese si è impegnato a finanziare i lavori tramite un prestito della banca cinese Exim, con un modus operandi simile a quello avvenuto in Montenegro. Anche nella sfera tecnologica, specialmente sulla questione di Huawei, l’Ungheria sembra remare contro l’Unione Europea. A Budapest fa riferimento il centro logistico più grande tra quelli situati fuori dalla Cina e la compravendita della maggior parte dei materiali usati dalla multinazionale cinese in Europa proverrebbe da fornitori ungheresi.

Proprio in Ungheria, inoltre, i vaccini provenienti sia dalla Russia che – soprattutto – dalla Cina sono stati ampiamente utilizzati, con lo stesso premier Viktor Orbán che ha fatto ricorso a Sinovac, azione in seguito ripetuta dal collega serbo Aleksandar Vučić.

Oltre a queste mosse clamorose in materia di diplomazia internazionale, specialmente quella in materia di vaccini, a metà gennaio è stata annunciata l’intenzione di inaugurare a Budapest un campus dell’università cinese Fudan, due anni dopo la cacciata della Central European University, una delle università più prestigiose (e liberali) del Vecchio continente, decisa nel quadro del generale attacco al mondo dell’accademia che sarebbe stato condotto da Orban.

La preoccupazione dell’Europa, quindi, sembra essere quella di avere due “ingressi posteriori”, due veri e propri “cavalli di Troia” pronti a esporre le debolezze dell’Unione Europea e scoprire il fianco alla Cina, in un momento particolarmente delicato delle relazioni internazionali che dovrebbe invece vedere una cooperazione multilaterale, in primis sulla questione del Covid, per poi passare a tutte quelle altre problematiche che richiederebbero uno sforzo mondiale, dall’economia al clima. Uno sforzo collettivo che, al momento, con questi nuovi fronti che si stanno creando, sembra ben lontano dal realizzarsi.


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