non performing exposure

Non-Performing Exposures ai tempi del Covid-19

Cosa sono le Non-Performing Exposures e quali sono le previsioni per il prossimo biennio per le imprese italiane a seguito della pandemia?


Qualsiasi banca, attraverso l’esercizio dell’attività creditizia, si espone al cosiddetto rischio di credito; pertanto, diventa fondamentale verificare, nel continuo, lo stato di salute delle proprie esposizioni.  In una classificazione di alto livello, i crediti possono essere distinti in (i) crediti in bonis o (ii) Non-Performing Exposures (“NPE” o “esposizioni deteriorate” o “crediti deteriorati”). Con specifico riferimento a quest’ultima categoria, il contesto europeo si è a lungo distinto per la presenza di un ventaglio molto eterogeneo di definizioni. 

Grazie al processo di omogeneizzazione condotto dall’European Banking Authority (EBA) – culminato nel 2013 con la pubblicazione del “Final draft Implementing Technical Standards On Supervisory reporting on forbearance and non-performing exposures under article 99(4) of Regulation (EU) No 575/2013” – si è giunti a elaborare una definizione di NPE condivisa all’interno dell’UE, da ultimo contenuta all’interno del Regolamento di esecuzione (UE) 2015/1278 (che modifica il Regolamento di esecuzione UE n. 680/2014).

Come definito al paragrafo 145 dell’allegato V del suddetto Regolamento, sono considerate Non-performing exposures quelle che soddisfano almeno uno dei due seguenti criteri: 
esposizioni rilevanti scadute da oltre 90 giorni;
– è considerato improbabile che il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie senza l’escussione delle garanzie, indipendentemente dall’esistenza di importi scaduti o dal numero di giorni di arretrato.

non-performing exposures

In conformità con tali criteri,  la Banca d’Italia il 21 gennaio 2015, con la pubblicazione del 7° aggiornamento della Circolare n. 272 del 30 luglio 2008, ha ridefinito le classi delle esposizioni creditizie deteriorate come segue:

sofferenze (bad loans): il complesso delle esposizioni creditizie per cassa e “fuori bilancio” nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca. Un’operazione “fuori bilancio” è considerata deteriorata se, nel caso di utilizzo, può dar luogo a un’esposizione che presenta il rischio di non essere pienamente rimborsata, rispettando le condizioni contrattuali. Le garanzie vanno, in ogni caso, classificate come deteriorate se l’esposizione garantita soddisfa le condizioni per essere classificata come deteriorata;

inadempienze probabili (unlikely to pay): la classificazione in tale categoria è, innanzitutto, il risultato del giudizio della banca circa l’improbabilità che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie;

esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate (past due): esposizioni creditizie per cassa, diverse da quelle classificate tra le sofferenze o le inadempienze probabili che, alla data di riferimento della segnalazione, sono scadute o sconfinanti.

La banca, dinanzi a un peggioramento dello stato di salute del credito, potrebbe decidere di fornire delle concessioni al debitore, quali ad esempio la modifica dei termini e delle condizioni del contratto originario o rifinanziamento totale/parziale del debito. Tali esposizioni, a seconda dei casi, rientrano comunque in una delle suddette categorie.

Come specificato anche da Borsa Italiana, dinanzi a un processo di deterioramento di un credito, la banca potrebbe altresì intervenire con svalutazioni – riducendo dunque il valore del credito in bilancio (per avvicinarlo a quello ritenuto recuperabile) – e accantonamenti, incrementando le risorse proprie a copertura di una esposizione a rischio crescente. 

Dall’esecuzione o meno di questi tipi di interventi nasce la distinzione tra crediti deteriorati lordi e crediti deteriorati netti (ossia che escludono le svalutazioni e gli accantonamenti già effettuati in bilancio). Pertanto, in base al quadro fin qui delineato, si può incorrere in un deterioramento del credito in base a diversi fattori che possono variare da una inadeguatezza soltanto temporanea del debitore di far fronte ai propri obblighi, a situazioni di accertata insolvenza. 

Le previsioni per il prossimo biennio per le imprese italiane

Il fenomeno delle Non-performing exposures è sicuramente un tema da maneggiare con estrema cura. Un elevato stock di crediti deteriorati tende a minare la solidità di una banca in quanto, da un lato, determina una forte compressione degli utili, dall’altro limita la possibilità di erogare credito alle famiglie e alle imprese. Se le metastasi di un tale fenomeno si espandessero a livello generalizzato all’intero sistema bancario, esso potrebbe determinare importanti malfunzionamenti nel meccanismo di allocazione del credito.

Al fine di analizzare l’impatto della pandemia Covid-19 sulle NPE nel biennio 2021-2022, con esclusivo riguardo ai crediti delle imprese italiane, può risultare interessante osservare i risultati ottenuti dal lavoro congiunto di Cerved e dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI). A partire dal 2014, il lavoro congiunto di queste due importanti realtà italiane sul tema in oggetto ha contribuito ad ampliare il set informativo a disposizione degli analisti e, più in generale, di tutti gli operatori interessati. 

Da ultimo, lo scorso febbraio, è stato pubblicato il documento dal titolo “Outlook ABI-Cerved sui crediti deteriorati delle imprese” (da ora in poi “Outlook”), il cui focus è stato la stima dell’andamento del tasso di deterioramento (consuntivo e prospettico) delle Non-performing exposures delle imprese, ossia il rapporto tra il numero delle posizioni creditizie che nel corso dell’anno si deteriorano – quindi che passano da crediti in bonis a NPE – e lo stock di posizioni non deteriorate all’inizio dello stesso anno.  

La stima dei tassi di deterioramento è ottenuta attraverso un processo che utilizza uno score di Cerved disponibile per il complesso delle società italiane, il CeBi-Score4, come valutazione sintetica del rischio economico-finanziario di un’impresa, trasformandolo in indicatori individuali del rischio delle singole società o Expected Individual Default Rates (EIDR) e riproporzionando gli EIDR riproporzionati sulla serie storica pubblicata dalla Banca d’Italia.

L’Outlook offre due tipi di prospettive: una più specifica, in cui l’analisi di distingue per dimensione di impresa, per settore e per area geografica; una più generale, che permette una valutazione complessiva dell’andamento del tasso di deterioramento. Prendendo in considerazione la prospettiva più granulare delle proiezioni 2021-2022 nelle 3 categorie di approfondimento, si stima che:

– a livello dimensionale, tutte le classi faranno registrare un netto aumento dei flussi di nuovi crediti deteriorati nel 2021, seguito da una riduzione nell’anno successivo che, tuttavia, non basterà per riportarsi sui livelli pre-pandemia. Al termine del periodo di previsione, l’incremento del tasso di deterioramento risulterà più significativo per le medie imprese, dall’1,7 per cento del 2019 al 2,9 per cento del 2022 (+1,2 per cento), e per le microimprese, dal 3,1 per cento del 2019 al 3,9 per cento del 2022 (+0,8 per cento). Relativamente più contenuto l’incremento per le grandi imprese, dall’1,3 per cento del 2019 al 1,8 per cento del 2022 (+0,5 per cento), e le piccole imprese, dal 2,1 per cento del 2019 al 2,6 per cento del 2022 (+0,5 per cento);

– a livello settoriale, la crescita dei tassi di deterioramento sarà diffusa a tutti i comparti dell’economia italiana, con il trend destinato a invertirsi nel 2022 in tutti i settori eccetto quello edilizio, in cui invece i tassi continueranno a crescere. Al termine del periodo di previsione, l’incremento del tasso di deterioramento risulterà più significativo nel comparto dei servizi, dal 2,8 per cento del 2019 al 3,8 per cento del 2022 (+1,0 per cento), e dell’edilizia, dal 4,0 per cento del 2019 al 4,9 per cento del 2022 (+0,9 per cento). Relativamente più contenuto l’incremento del comparto industriale, dal 2,3 per cento del 2019 al 2,9 per cento del 2022 (+0,6 per cento). Il settore agricolo risulterà quello con il minor divario rispetto ai livelli del 2019, dal 3,1 per cento del 2019 al 3,2 per cento del 2022 (+0,1 per cento);

– a livello di area geografica, si registrerà in tutte le macroaree un netto aumento dei flussi di nuovi crediti deteriorati nel 2021, seguito da una riduzione nell’anno successivo che, tuttavia, non basterà per riportarsi sui livelli pre-pandemia. Al termine del periodo di previsione, l’incremento del tasso di deterioramento risulterà più significativo nel Centro Italia, dal 3,4 per cento del 2019 al 4,4 per cento del 2022 (+1,0 per cento), e al Sud Italia, dal 4,2 per cento del 2019 al 5,0 per cento del 2022 (+0,8 per cento). Relativamente più contenuto l’incremento nel Nord-Est, dal 2,1 per cento del 2019 al 2,8 per cento del 2022 (+0,7 per cento), e nel Nord-Ovest, dal 2,4 per cento del 2019 al 3,1 per cento del 2022 (+0,7 per cento). 

Alla luce di quanto analizzato nelle tre suddette categorie di analisi, è implicito che al termine del periodo di previsione, anche a livello complessivo, la stima preveda un generale incremento del tasso di deterioramento rispetto ai livelli pre-pandemia dal 2,9 per cento del 2019 al 3,7 per cento (+0,8 per cento). Quest’ultimo si attesterà, quindi, a livelli simili al periodo pre-crisi finanziaria del 2007 (3,7 per cento), ma sarà ampiamente distante dai picchi raggiunti nel 2012 (7,5 per cento). 

Come diceva il noto Eduardo De Filippo nel lontano 1945 in “Napoli Milionaria”: “S’ha da aspettà, Ama’. Ha da passà ‘a nuttata”.


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