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Forti turbolenze monetarie per la lira turca

Dal 22 marzo, la lira turca è in altalena a causa delle intromissioni politiche del Presidente Erdogan in materia monetaria.


La decisione che ha innescato la slavina di vendite sulla lira turca ha un’origine chiara: il licenziamento del Presidente della Banca Centrale turca Naci Agbal da parte del Presidente Erdogan. Il motivo del contendere fra la Banca Centrale e la Presidenza turca riguarda proprio la materia monetaria e, in particolare, i tassi d’interesse. La Turchia soffre, in questo momento, di una forte crisi fiduciaria nei confronti della sua valuta e della sua economia, che determina in larga parte una forte crescita dell’inflazione. 

Le cause profonde della crisi economica turca sono già state affrontate sulle nostre pagine (rimandiamo alla lettura di quest’articolo del 2019 per un quadro più completo sulle difficoltà relative ai fondamentali economici del Paese). Quello che è necessario sottolineare è come le storture economiche abbiano un impatto profondo sulla dinamica dei prezzi, ovvero sull’inflazione.

Proprio per contrastare l’inflazione, in doppia cifra per tutto il 2020 e anche all’inizio di quest’anno, era stato nominato il dimissionario Presidente della Banca Centrale. Applicando una politica monetaria classica, per combattere l’inflazione Agbal ha aumentato i tassi d’interesse e questa strategia lo ha posto in forte contrasto con il Presidente Erdogan. Le ragioni sono evidenti: una politica monetaria restrittiva, fondata sul consolidamento dei tassi, tende a rastrellare il risparmio sul mercato distogliendolo dagli investimenti e, quindi, in ultima analisi, porta a deprimere l’attività economica. 

Proprio l’economia ha rappresentato, nell’ultimo triennio, la base di erosione del consenso della Presidenza turca e della riduzione dei consensi del partito di governo. Il calo di fiducia e popolarità del Presidente Erdogan e del suo Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) si è ulteriormente acuito dopo l’introduzione delle politiche monetarie restrittive che hanno messo una forte ipoteca sulla crescita del Paese.  

lira turca

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la decisione di Naci Agbal di aumentare ulteriormente i tassi di interesse, portandoli al 19 per cento: una soglia incredibilmente alta per un’economia avanzata come quella turca, volta a contrastare la fiammata inflazionistica di quasi il 16 per cento di febbraio. I mercati erano stati rassicurati dalla figura del “falco” Agbal e, dalla sua nomina, il Paese mediorientale aveva visto crescere gli investimenti esteri, attratti anche dai tassi di interesse nominali sui propri titoli di debito. Questo afflusso di capitale aveva arrestato il crollo del valore della lira turca e ne aveva, in parte, riaffermato la solidità, seppure in una situazione economica traballante. 

La riapertura dei mercati, dopo il licenziamento, ha aperto il diluvio di vendite: la fuga dei capitali dal Paese è stata evidente, provocando il crollo della lira turca. In questa tempesta valutaria, un accenno particolare è da destinare agli investitori giapponesi che molto avevano creduto e scommesso sulla nuova guida della Banca Centrale, investendo fortemente nel Paese della mezzaluna. 

Le ragioni di questa scelta stavano, innanzitutto, nei “favolosi” tassi di interesse concessi dal debito turco (e a cascata dalle imprese turche) e, in secondo luogo, dalla stabilità della moneta garantita dal nuovo Presidente della Banca Centrale. Le dimissioni hanno fatto “saltare il tappo”, portando gli investitori asiatici a scappare dagli investimenti turchi per arrestare le perdite anche di fronte al fortissimo rischio valutario. 

Il crollo della lira turca è stato repentino, perdendo oltre il 15 per cento nella giornata del 22 marzo e chiudendo con un calo del 10 per cento. La manovra sul tasso di cambio è anche quasi preclusa da parte della Banca Centrale, che vede le sue riserve attestarsi fra i 25 e i 30 miliardi di dollari americani. Una nuova fiammata di vendite sarebbe quindi destinata a essere non contrastata e di questo gli investitori internazionali sono abbastanza consapevoli. Non è un caso che il calo di valore della moneta abbia bruciato sostanzialmente quanto è stato guadagnato in questi mesi di Presidenza Agbal.

Quello che spaventa ulteriormente gli investitori internazionali è la pietra tombale posta dalla decisione di Erdogan circa l’indipendenza della politica monetaria. Il neo-nominato Presidente della Banca Centrale, Sahap Kavcioglu, si è posto immediatamente in scia alle determinazioni presidenziali, secondo le quali la causa della crescita dell’inflazione starebbe appunto nella crescita dei tassi di interesse. La nomina, del resto, non è casuale: Kavcioglu è un ex parlamentare membro del partito del Presidente (AKP) e ne ha sempre sostenuto la politica economica come editorialista del quotidiano filogovernativo Yeni Safak. Il breve periodo di indipendenza dell’autorità di politica monetaria è definitivamente tramontato.

Quello che accadrà non è di facile previsione. Una nuova fuga di capitali o un attacco speculativo sulla lira turca sarebbe difficilmente contrastabile dalle autorità monetarie e porterebbe quasi certamente a un avvitamento del valore della moneta nazionale. Il problema rimane anche a livello interno, oltre che internazionale: i turchi, per proteggersi dall’inflazione, continuano a comprare valute pregiate, aggravando ulteriormente le difficoltà della Lira stessa. 

Non è casuale l’appello lanciato al popolo turco dal Presidente Erdogan, durante il Congresso dell’AKP, volto all’acquisto di strumenti finanziari e investimenti nazionali per rafforzare l’economia interna. Un cambio di passo per rassicurare i mercati è, comunque, da escludere: si continuerà, probabilmente, con una navigazione a vista, temporeggiando. La speranza è che la crisi turca non si allarghi ad altri Paesi in via di sviluppo.


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