frontex

Frontex, le ombre sul controllo delle frontiere UE

Dopo le denunce sul coinvolgimento nei respingimenti illegittimi al confine orientale dell’UE, il Parlamento europeo ha istituito una commissione d’inchiesta per verificare l’operato e la gestione di Frontex.


Negli ultimi mesi, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, meglio nota come Frontex, è finita nel mirino delle accuse sui respingimenti illegittimi dei migranti e sulle violazioni dei diritti umani ai confini marittimi tra Grecia e Turchia e alla frontiera terrestre tra Croazia e Bosnia Erzegovina.

Nel documentare la prassi delle riammissioni informali operata dagli agenti della polizia di frontiera, in violazione del diritto dei migranti a richiedere asilo e a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, l’inchiesta congiunta pubblicata lo scorso ottobre da alcune testate giornalistiche, tra cui la tedesca Der Spiegel, e i rapporti delle ONG che da anni monitorano la cosiddetta rotta balcanica hanno evidenziato il coinvolgimento dell’agenzia europea di frontiera nelle operazioni di pushbacks, sollevando così alcuni dubbi sull’operato (ma anche sulla gestione e la struttura) di quella che è considerata ormai una vera e propria “conquista” dell’Unione europea.

L’espansione di Frontex

Sebbene infatti le istituzioni dell’Ue siano sempre state consapevoli che la gestione dei flussi migratori e degli accessi sui territori nazionali sarebbe rimasta prerogativa esclusiva dei singoli Stati in ossequio al principio di sovranità, ciò non ha impedito loro di cercare, negli anni, una collaborazione con i governi finalizzato al controllo delle frontiere esterne dell’Europa, per prevenire l’ingresso irregolare degli stranieri.

Nata nel 2004, come Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, Frontex è in breve diventata uno degli elementi portanti dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’UE, assistendo gli Stati membri dell’Area Schengen (l’area degli Stati membri dell’Unione e degli altri Paesi associati, che sancisce i confini esterni dell’Unione) nella protezione delle frontiere esterne per il tramite di funzionari contemporaneamente dispiegati in tutta Europa.

Nel 2016, le competenze di Frontex sono state potenziate con la creazione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera che ha sostituito l’organo precedente, pur mantenendone, di fatto, il nome. Oltre al controllo delle migrazioni, alla nuova Agenzia è stato affidato il compito della gestione e, dunque, il pattugliamento delle frontiere, con maggiori responsabilità anche nella lotta alla criminalità transfrontaliera. 

Anche i servizi di Search and Rescue sono rientrati ufficialmente nel suo mandato, con riferimento al controllo e alla gestione dei flussi nel contesto della sorveglianza delle frontiere marittime. In altre parole, la guardia costiera e di frontiera europea agisce assieme all’autorità degli Stati membri responsabili della gestione delle frontiere, sia per sostenere gli Stati che si trovano a far fronte all’emergenza di ingenti flussi migratori che per coordinare e dirigere la gestione complessiva delle frontiere esterne dell’Unione, in un regime di responsabilità condivisa con le autorità nazionali. 

Nel corso degli anni, oltre alle competenze, anche il budget di risorse che l’UE ha destinato all’Agenzia di frontiera è aumentato in maniera esponenziale, passando dai 238 milioni previsti per il 2016, ai 281 milioni per il 2017, fino ai 322 milioni di euro stanziati per il 2020. Il bilancio europeo 2021-2027 ha destinato all’immigrazione quasi 23 miliardi, di cui cinque e mezzo alla gestione delle frontiere. 

Anche il numero del personale impegnato da Frontex ha subito una crescita vertiginosa (sono attualmente operativi oltre 1.500 funzionari, destinati a raggiungere le 10.000 unità entro il 2027, di cui 7.000 distaccate dalle forze dell’ordine nazionali) così come la dotazione di aerei, elicotteri e altre attrezzature radar che hanno reso sempre più incisivo l’impatto della presenza di Frontex ai confini marittimi e terrestri dell’UE.

frontex
Le presunte violazioni dei diritti umani: l’inchiesta del Parlamento europeo

Il codice frontiere Schengen, che sancisce le regole che si applicano a chiunque attraversi le frontiere esterne dell’area, stabilisce che la sorveglianza di frontiera deve «impedire l’attraversamento non autorizzato delle frontiere», nonché scoraggiare l’elusione dei controlli ai valichi di frontiera, nel rispetto però del principio di non respingimento.

Il respingimento dei migranti alle frontiere deve essere infatti circondato da alcune particolari garanzie che derivano dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951, dagli strumenti a tutela dei diritti umani, come la CEDU e, nel caso specifico degli Stati membri dell’UE, anche dalla Carta europea dei diritti fondamentali, che all’art. 19 vieta le espulsioni collettive.  

Il rimpatrio dei soggetti che non soddisfano le condizioni di ingresso previste dal codice Schengen, quindi, può essere disposto dallo Stato d’approdo solo con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise e senza che, nei Paesi di rinvio, vi sia il rischio di subire torture o trattamenti inumani e degradanti.

A Frontex, giornalisti e organizzazioni umanitarie contestano proprio il coinvolgimento nelle espulsioni collettive dei migranti in violazione delle norme internazionali sui diritti dell’uomo. In particolare, secondo le recenti denunce, l’Agenzia avrebbe partecipato attivamente ad almeno un respingimento sull’Egeo, presenziandone altri sia al confine turco-greco che alla frontiera terrestre croato-bosniaca. 

In ogni caso, non avrebbe segnalato né tanto meno sospeso la prassi illegittima delle riammissioni, come ha invece obbligo di fare, per il tramite del suo direttore esecutivo, ogniqualvolta sussistano violazioni gravi dei diritti fondamentali o degli obblighi in materia di protezione internazionale (art. 25 del Regolamento UE che istituisce l’Agenzia).

Delle ombre emerse sull’operato dell’Agenzia europea di frontiera si sta facendo carico, anche in seguito alle sollecitazioni della Commissione, il Parlamento europeo. A fine gennaio, i deputati della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) hanno deciso di istituire il Frontex Scrutiny Working Group, un gruppo di lavoro finalizzato a indagare sull’operato di Frontex e a esaminare le accuse relative al ruolo dell’agenzia di sicurezza delle frontiere dell’UE nei respingimenti illegali dei richiedenti asilo. 

Della commissione d’inchiesta, presieduta dall’euro-deputata maltese Roberta Metsola (PPE), faranno parte quattordici deputati, due per gruppo politico, ad eccezione di quelli di estrema destra, che sostengono a spada tratta l’azione dell’Agenzia.

Lo scorso dicembre, in un’audizione dinanzi alla commissione LIBE, il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, aveva respinto ogni accusa. Le sue parole non avevano però convinto il Parlamento Ue, tanto che in molti ne avevano richiesto le dimissioni. La commissione d’inchiesta avrà tempo sino a giugno per far luce sulle responsabilità dell’Agenzia e valutare a chi “dare ragione”. 

Oltre che sulla questione dei respingimenti e del rispetto dei diritti umani, la commissione d’inchiesta si è proposta di verificare anche il funzionamento della struttura interna dell’Agenzia oltre che la ripartizione dei fondi a essa destinati. L’idea, all’interno del Parlamento, è infatti quella che i problemi di Frontex vadano anche oltre alla presunta violazione dei diritti umani. 

La struttura verticalizzata di Frontex (cui fa capo, da sempre, un unico direttivo esecutivo) avrebbe determinato una chiusura rispetto agli organi comunitari. Non sempre, peraltro, l’Agenzia ha mostrato totale trasparenza sulle sue attività nei confronti del Parlamento europeo, specie con riferimento alla ripartizione delle risorse a essa destinate dall’UE. E tanto non solo rispetto all’acquisto di armamenti o alla scelta dei fornitori, ma anche relativamente a esose quanto ingiustificabili spese da parte del personale, come alcune feste milionarie.

La militarizzazione dei confini europei

In ogni caso, la descrizione di Frontex come un vero e proprio corpo militare, che ha la funzione di controllare le frontiere per il tramite di metodi non proprio conformi, a quanto pare, alle norme a tutela dei diritti umani, e le cui risorse in denaro (ma anche in armamenti) sono destinate ad aumentare sempre di più nei prossimi anni, ben si inserisce nel solco di una più generale e progressiva chiusura dei confini operata dagli Stati europei.

Come scrive Il Post, specie con riferimento all’Europa orientale, che dal 2015 si trova a gestire ingenti flussi di migranti lungo la rotta balcanica, le inchieste giornalistiche e i report delle organizzazioni umanitarie hanno evidenziato come gli Stati europei di frontiera (Ungheria in primis, ma anche Croazia e Romania) si siano gradualmente dotati di strumenti e tecnologie utilizzati in ambito militare (telecamere termiche e a infrarossi, rilevatori di battiti cardiaci, droni) e di come tale maggiore disponibilità di armamenti abbia finito per accrescere (quasi legittimandola) l’azione violenta delle forze nazionali di polizia di frontiera.

Il timore, adesso, è che la “militarizzazione” degli Stati “esterni” dell’Ue sia stata finanziata (e continui a essere finanziata) con i fondi europei stanziati per far fronte ai flussi migratori. E il fatto che il bilancio per il controllo dei confini e la gestione delle migrazioni continui ad aumentare sempre di più non depone certo a favore di una diversa conclusione. Sul fronte immigrazione, a quanto pare, il futuro dell’Europa non riserva nessun cambiamento di rotta. L’UE continuerà a investire (e parecchio) sulla logica emergenziale piuttosto che sull’integrazione.


Foto di Copertinahttps://www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20160701IPR34480/meps-back-plans-to-pool-policing-of-eu-external-borders