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Elon Musk e il teatro capitalista delle neuroscienze

A metà tra il guru di una setta e l’imprenditore geniale, nonché nella top 3 degli uomini più ricchi al mondo, Elon Musk ha costruito una narrazione più vicina al teatro che al progresso tecnologico.


Scimmie che giocano a Ping-Pong con il pensiero, gite fuori porta nello spazio e colonie umane su Marte, intelligenze artificiali gentili, macchine elettriche e super green a guida autonoma, trapani giganti scava gallerie e lanciafiamme: sono solo alcuni tra gli obiettivi o i risultati ottenuti dalle aziende dell’eccentrico imprenditore di origini sudafricane Elon Musk. O almeno, è così che vengono raccontati.

La figura di Elon Musk è a metà tra il guru di una setta e l’imprenditore geniale, nonché nella top 3 degli uomini più ricchi al mondo – secondo per l’esattezza, ma in un serrato e continuo tête-à-tête con Jeff Bezos, patron di Amazon. Grazie anche a un uso “pop” dei social – che non lo hanno però reso immune agli scivoloni, come nel caso delle critiche al lockdown seguito alla prima ondata di Covid negli Stati Uniti – è riuscito ad accattivarsi la generale simpatia dell’opinione pubblica, a differenza dei concorrenti del mondo IT. 

Del resto non si presenta come l’algido imprenditore a la Bezos, né come il nerd impacciato e arrivista a la Zuckerberg, né tanto meno ricorda l’etereo Bill Gates. Ha il sorriso bonario dell’ispettore Gadget ma anche la scaltrezza intraprendente di McGyver, sempre pronto a proteggerci dalle insidie della tecnologia e dalle minacce della modernità. 

La narrazione che accompagna le aziende dell’imprenditore americano è infatti contraddistinta da un catastrofismo diffuso: l’unica ancora di salvezza dell’umanità è rappresentata dai suoi prodotti. Per evitare l’estinzione della specie umana, o prepararsi al peggio in caso di eventi naturali catastrofici estremi, ecco che si delinea la corsa alla colonizzazione di Marte, promossa da SpaceX. In controtendenza al consumo di combustibili fossili, ecco le ultratecnologiche macchine elettriche di Tesla. 

Alle paure legate a un’eventuale “rivolta delle macchine” – sollevate peraltro anche dal compianto Stephen Hawking – che raggiunta un’intelligenza e consapevolezza tale di sé stesse potrebbero entrare in conflitto con il genere umano, Musk risponde con OpenAI, che ha tra i suoi obiettivi quello di rendere “intellegibili” le reti neurali e le tecnologie usate nello sviluppo di un’intelligenza artificiale “amichevole”.

Se OpenAI rappresenta la componente software di questa attività di ricerca, Neuralink intende sviluppare la componente hardware, con l’intenzione di permettere agli esseri umani di interagire in maniera più rapida e pervasiva con dispositivi sempre più intelligenti. 

Neuralink nasce nel 2016 con l’obiettivo di costruire delle interfacce cervello-computer (brain-computer interfaces) impiantabili. Secondo il principio per cui i neuroni del nostro cervello sono interconnessi tra loro e comunicano tramite stimoli di natura elettrofisiologica – ergo, da un segnale elettrico non troppo diverso da quello dei microchip in silicio – le interfacce cervello-computer mirano a “tradurre” il segnale nervoso in informazione processabile da un computer, uno smartphone, o altri dispositivi pensati ad hoc, come ad esempio strumenti riabilitativi, o joystick “neurali”. Permettendo, in teoria, di compiere attività complesse con la sola forza del pensiero. 

L’obiettivo, nell’immediato, è quello di combattere gravi disabilità nervose, quali paralisi parziali o totali. Se l’obiettivo a breve termine può sembrare ambizioso, quello a lungo termine mira a creare una razza umana “aumentata”, in cui realtà biologica e tecnologia siano in sinergia tra loro, non in conflitto. Il tutto condito da accenni più o meno espliciti all’universo nerd, con “download” di conoscenza aggiuntiva, passando per lo stoccaggio della coscienza dei defunti o più semplicemente di ricordi che, volendo provare a fare un elenco delle citazioni proveniente dal mondo sci-fi, si farebbe prima a individuare quali mancano.

Quella della brain-computer interface non è una tecnologia nuova: gli studi su un’interfaccia cervello-computer sono una realtà di ricerca ormai da diversi anni, già in parte impiegati per fini riabilitativi. È il caso della stimolazione cerebrale profonda, per cui dei piccoli dispositivi impiantati forniscono un’elettrostimolazione a scopo terapeutico per i più disparati disturbi, epilessia e parkinson tra tutti. 

Un esempio probabilmente più famoso e diffuso di interfaccia cervello-computer è rappresentato dagli impianti cocleari, come trattamento per la sordità, che chi ha avuto modo di guardare Sound of Metal, film candidato agli Oscar 2021, interpretato da Riz Ahmed ed Olivia Cooke, ha ben presente.

Elon Musk sta ripetendo con Neuralink e le brain-computer interfaces quanto già fatto con SpaceX nel settore aerospaziale e Tesla in quello delle auto elettriche: trascinare nell’economia di consumo prodotti e tecnologie tradizionalmente legate al mondo della ricerca, nonostante le difficoltà relative alla loro ingegnerizzazione e alla riproduzione in serie, di fatto senza alcuna vera concorrenza. 

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Questa modalità velocizza di certo i processi di innovazione tecnologica, ma può rivelarsi una strada pericolosa da intraprendere, specie se si pensa ai settori a cui punta e al fatto che non sono ancora regolamentati: è quanto si è già visto con i social network e il mercato dei dati, con la crescita di organizzazioni che per influenza e potere politico acquisito ricordano più delle monarchie assolute di epoca medievale che delle aziende IT. Elon Musk si è mostrato molto più scaltro di così, puntando letteralmente alla Luna. Ed è proprio con SpaceX che ha combinato più disastri.

Il lancio dello Starman a bordo della sua Tesla rosso fiammante, oltre a essere un’operazione di marketing di rara mitomania, rappresenta un rischio biologico, dal momento che potrebbe non essere stato sterilizzato, allo scopo di evitare eventuali contaminazioni da parte di microrganismi terrestri in ambienti extraterrestri – operazione di routine per i veicoli della Nasa. 

Musk dal canto suo non si è espresso a riguardo. Un pasticcio altrettanto grave è rappresentato dalla mancata schermatura dei satelliti Starlink mandati in orbita da SpaceX che, riflettendo la luce solare, bruciano le acquisizioni di immagini astronomiche: per un fotoamatore dedito agli scatti astronomici a lunga esposizione, questa può rappresentare un’enorme scocciatura. Ben più di un’enorme scocciatura può risultare per i team di astrofisici. 

Azienda più di nicchia e meno conosciuta ma componente fondamentale nel quadro della “sopravvivenza” alle macchine è OpenAI, che nasce nel 2015 come laboratorio di ricerca indipendente e no-profit sull’intelligenza artificiale, salvo diventare una società a scopo di lucro nel 2019, dando il via ad una collaborazione con Microsoft, su una commessa miliardaria del dipartimento della difesa statunitense

Di fatto, OpenAI concentra i suoi sforzi di ricerca su tematiche molto simili a quelle della concorrente DeepMind, una sussidiaria di Alphabet Inc. (alias Google): per rendere l’idea, OpenAI è riuscita a sviluppare una rete in grado di sconfiggere il campione umano di Dota2, un videogame Battle Arena. DeepMind è invece riuscita a creare una rete con la capacità di imparare le regole di diversi giochi e, ad addestramento avvenuto, ottenere performance paragonabili a quelle di vecchi modelli già in grado di sconfiggere campioni umani di Go, gioco da tavolo cinese.

La costituzione di un laboratorio indipendente di ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale, più che l’intenzione di salvaguardare il genere umano dalla minaccia dell’IA, mostra quindi la volontà di emanciparsi dai giganti concorrenti, quali appunto Alphabet ed IBM: è una mossa di rara visione a lungo termine e genio imprenditoriale, ma che poco o nulla ha a che vedere con il benessere del genere umano tutto. 

Nel caso di Neuralink, Elon Musk ha sicuramente il merito di aver reso noto al grande pubblico un prodotto conosciuto fino ad allora solo dagli addetti ai lavori. Tuttavia, addurre come motivazione per lo sviluppo di una simile tecnologia il timore della rivolta delle macchine suona quanto meno ridicolo, al limite del complottismo. 

Non fosse altro che rivela come ci si stia sforzando a non vedere le criticità più immediate. Prima tra tutte, un device simile ha il potenziale per diventare la tecnologia più invasiva, in termini di privacy, che sia stata mai pensata: è noto quanto la raccolta dati sugli utenti, da parte di Facebook o altri social, risulti problematica in termini di privacy, che pure non sono per loro natura minimamente accurati quanto dei set di dati raccolti su un’interfaccia cervello-computer.

In termini di potenzialità commerciali, qualora raggiungesse uno sviluppo adeguato da permettere l’impianto a lungo termine, avrebbe un effetto devastante sul mercato dell’hi tech, oltre a rappresentare una gigantesca rivoluzione, di proporzioni decisamente maggiori rispetto a quella avuta con la diffusione degli smartphone. Alcune aziende, tra le più influenti e ricche nel panorama dei device tecnologici (soprattutto degli smartphone) sarebbero destinate a ritirarsi dal mercato: ciò potrebbe tranquillamente sancire la fine di un gigante come Apple. 

Ma quanto sarebbe etico, come avviene per i prodotti Apple ad esempio, non concedere l’upgrade, per un mancato pagamento, come avviene con i vecchi modelli di iPhone? E se si riuscisse ad hackerare un dispositivo simile, si avrebbe potenzialmente accesso alle emozioni del possessore del device? A chi apparterrebbero i dati raccolti da un dispositivo così intimo? 

L’aspetto più controverso di Neuralink non è la componente innovativa in sé: la brain-computer interface del resto rappresenterebbe per gli smartphone quello che gli smartphone hanno rappresentato per i telefoni cellulari – oltre ad essere totalmente controproducente tentare di rallentare o arrestare il progresso tecnologico. 

A dire il vero l’aspetto critico non è neanche quello legato alla narrazione mitizzata con cui Elon Musk ammanta i suoi prodotti: è ammirevole questo continuo porre i propri obiettivi un gradino più su, rendendo pop la figura dell’uomo aumentato, così come guardare alla realtà umana come un’entità unica, di specie. Il grosso problema è il muoversi diabolicamente in senso monopolistico, approfittando dell’assenza di regolamentazione in settori che a malapena si riescono ad intravedere, con l’intenzione di ipotecare un’influenza e un potere che difficilmente riuscirà a perdere.

A questo punto, non ci rimane che sperare che quelli del MIT abbiano ragione, quando dicono che la retorica di Musk è solo teatro, non neuroscienze. Onestamente non si stenta a crederlo, ma è sempre meglio restare in guardia.


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